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Notiziario Marketpress di Lunedì 15 Aprile 2013
STAMINALI: ZAIA, “ADESSO AVANTI TUTTA CON LA SPERIMENTAZIONE. PERSO ANCHE TROPPO TEMPO. LA SANITA’ VENETA PRONTA A ESSERNE PROTAGONISTA”  
 
Venezia, 15 aprile 2013 - “Adesso avanti tutta senza tentennamenti. Il Veneto ha numerose strutture sanitarie adatte per qualità tecnologica e scientifica e si candida ufficialmente ad avviare al più presto la sperimentazione sull’uso delle cellule staminali. Si è perso anche troppo tempo. Ora, alla luce del decreto Balduzzi che finalmente delinea un cammino concreto, lavoriamo tutti per dare una speranza alle mamme e ai papà di bambini tanto malati”. Lo sottolinea il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia, che commenta positivamente le aperture contenute nel decreto del ministro della salute sulle cellule staminali e si dice “umanamente vicino ai genitori che oggi manifestano a Roma”. “Da tempo – aggiunge Zaia – sostengo l’opportunità di erogare queste cure, anche se di tipo compassionevole, a condizione che sia accertata la loro non nocività. E’ quindi indispensabile che si realizzi al più presto, secondo i tempi scientifici necessari, una sperimentazione nella quale inserire i bambini malati. Senza contare – conclude Zaia – che così facendo di fatto li si cura, ma al contempo si aprono significativi spiragli alla ricerca di terapie sempre più efficaci per combattere le malattie rare”.  
   
   
AOSTA: AL VIA IL PROGETTO EUROPEO INTÉGRATION ET BIEN-êTRE DANS LES ALPES  
 
Aosta, 15 aprile 2013 - L’assessorato della sanità, salute e politiche sociali informa che mercoledì 17 aprile, alle ore 15, ad Aosta, nella Sala dell’Assessorato, si svolgerà la riunione di lancio del progetto Interreg Intégration et bien-être dans les Alpes, cofinanziato dal Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia-francia (Alcotra) 2007-2013. Il progetto è stato avviato il 14 gennaio 2013 ed è promosso dalla Struttura disabilità dell’Assessorato della sanità, salute e politiche sociali, in qualità di capofila, in partenariato con la Struttura flora, fauna, caccia e pesca dell’Assessorato dell’agricoltura e risorse naturali, con il Conseil Général de la Haute-savoie e con l’associazione francese Aapei- Esat Ferme de Chosal. Intégration et bien-être dans les Alpes mira a contribuire all’integrazione sociale delle persone con disabilità tramite attività ricreative all’aperto, di scoperta dell’ambiente e dei contesti naturali di montagna promuovendo l’accessibilità e la fruizione di sentieri e di strutture ricettive adattati alle esigenze dei destinatari, per vivere la montagna come opportunità e non come vincolo.  
   
   
SANITA’: LISTE D’ATTESA; IN VENETO OSPEDALI APERTI PER LA DIAGNOSTICA ANCHE DALLE 20 ALLE 24 E NEI GIORNI FESTIVI E PREFESTIVI. ZAIA, “RIVOLUZIONE CULTURALE CHE GUARDA ALLE ESIGENZE DI 5 MILIONI DI VENETI. E’ UNA SFIDA DELL’INTERA COMUNITA’”  
 
Venezia, 15 aprile 2013 - Ospedali aperti di notte dalle 20 alle 24 per almeno due giorni alla settimana e nei giorni festivi e prefestivi in Veneto per rispondere alla stringente necessità di limitare le liste d’attesa. Questa vera e propria “rivoluzione culturale”, come l’ha definita il presidente della Regione Luca Zaia, è stata presentata e illustrata oggi alle direzioni strategiche delle Ullss e Aziende Ospedaliere nel corso di un incontro tenutosi a Venezia dallo stesso Zaia, affiancato dall’assessore alla sanità Luca Coletto e dal segretario regionale per la sanità Domenico Mantoan. La novità, unica in Italia, è stata messa nero su bianco in una delibera della Giunta regionale e prevede che l’intera rete ospedaliera veneta debba essere attivata entro il prossimo primo settembre, demandando ai direttori generali la definizione operativa e organizzativa su base territoriale. I servizi interessati sono quelli ambulatoriali ma soprattutto radiologici, per ottimizzare al massimo l’utilizzo prima di tutto dei grandi macchinari come Tac e Risonanze Magnetiche. “E’ una nuova filosofia, una vera rivoluzione – ha detto Zaia – che si rivolge prima di tutto ai 5 milioni di veneti, che sappiamo curare molto bene, ma che ci chiedono tempi più veloci per gli esami e le visite. Avviciniamo la sanità alla gente, rendiamo più efficiente l’intero sistema, creiamo una vera e propria rete di presa in carico del paziente che, attraverso i Centri Unici di Prenotazione, troverà non solo assistenza per la prenotazione singola, ma anche per la definizione del percorso di controlli ed esami dopo una fase acuta passata in ospedale. Il tutto nei tempi più brevi possibili, perché l’obiettivo tendenziale è quello di chiudere le liste d’attesa o, nel peggiore dei casi, di ridurle al minimo fisiologico”. “E’ una sfida dell’intera comunità – ha detto ancora Zaia – che lanciamo assieme a tutti gli operatori della sanità che hanno dimostrato tanta disponibilità e senso civico e che ringrazio sin d’ora”. L’intera operazione sarà finanziata con circa 30 milioni di euro l’anno, frutto della razionalizzazione di spesa già in atto, destinati al pagamento del personale e delle spese organizzative. Ai lavoratori, ovviamente, è garantito il pieno rispetto degli accordi sindacali. Laddove apparisse necessario, i direttori generali potranno attivare anche nuove assunzioni. Centrale sarà la funzione del Centro Unico di Prenotazione e del Cup Manager, la cui attività dovrà essere anche di vera e propria assistenza al cittadino, fornendo indicazioni e consigli sulla via più breve e comoda da seguire per ottenere la prestazione. Dovranno anche essere attivati sistemi di intercettazione delle prenotazioni con tempi di attesa superiori a quanto prescritto e verifiche immediate se il sistema elettronico dovesse indicare tempi anomali e realizzata un gestione integrata delle agende che comprenda anche il privato convenzionato. Ogni direttore generale dovrà realizzare il “Piano Aziendale Liste Attesa” e attivare un Tavolo di Monitoraggio sulle attese per visite e prestazioni e per i percorsi diagnostico terapeutici. “Lo spirito – ha sottolineato da parte sua l’assessore Coletto – è quello di avvicinare l’ospedale al territorio e dare una nuova grande opportunità anche a chi lavora ed è costretto a prendersi ferie e permessi per andare in ospedale negli orari abituali. Senza contare che più si usano i macchinari e prima si ammortizzano, ottenendo così anche un obiettivo di ottimizzazione dei costi”.  
   
   
IN AUMENTO DONATORI E TRAPIANTI. L´EMILIA-ROMAGNA SI CONFERMA AL DI SOPRA DELLA MEDIA NAZIONALE E TRA LE REALTÀ PIÙ AVANZATE D´EUROPA. I DATI 2012 DEL RAPPORTO CURATO DAL CENTRO RIFERIMENTO TRAPIANTI REGIONALE.  
 
Bologna, 15 aprile 2013 – Aumentano i donatori utilizzati, i tessuti e gli organi trapiantati in Emilia-romagna. I dati di attività della Rete regionale di donazione e trapianto confermano l’efficienza del sistema e registrano risultati al di sopra della media nazionale. Nel 2012 i donatori utilizzati sono stati 110 pari a 25,3 per milione di abitanti (21,8 nel 2011; 18,9 la media nel 2012 a livello nazionale), il numero complessivo di organi prelevati è stato 315 (23 in più rispetto al 2011) e, di questi, 283 sono stati trapiantati (l’89,8%, anche in questo caso 23 in più rispetto al 2011); i tessuti trapiantati in Emilia-romagna sono stati 4.046 (3.353 nel 2011). Le opposizioni al prelievo sono state 25,3% (inferiori alla media nazionale, pari a 29,3%). Durante la presentazione del Rapporto sulle attività di donazione e trapianto in Emilia-romagna (aggiornato al 31 dicembre 2012) pubblicato dal Centro riferimento trapianti dell’Emilia-romagna (Crt-er), l’assessore regionale alle politiche per la salute Carlo Lusenti ha evidenziato che «i dati sono buoni, tipici di un sistema storicamente solido e di qualità che, anche in una fase molto difficile come questa di risorse calanti, riesce ogni anno a migliorare i propri risultati. Resta da parte nostra l’impegno, non solo a difendere l’esistente, ma introdurre quegli elementi di innovazione che ci consentiranno di fare ulteriori passi in avanti». Inoltre, l’assessore Lusenti ha sottolineato che «nel caso dei trapianti il principale fattore limitante non è la capacità di risposta dei servizi ma la disponibilità di organi utilizzabili. Infatti il sistema di espianto e trapianto è costruito proprio per adattarsi a tale disponibilità. Da qui l’importanza della donazione, una scelta di grande responsabilità». Lorenza Ridolfi, presidente Airt e responsabile del Centro riferimento trapianti dell’Emilia-romagna, ha aggiunto che «l’Airt costituisce un sistema di integrazione interregionale (riunisce Le Regioni Piemonte, Valle d´Aosta, Emilia-romagna, Toscana, Puglia e la Provincia Autonoma di Bolzano), che ha permesso di sviluppare, attraverso programmi collaborativi, le attività di donazione e trapianto nell’area, raggiungendo i livelli delle Regioni più avanzate d’Europa». Lusenti ha presentato inoltre una sperimentazione avviata in Emilia-romagna per favorire la donazione di midollo osseo, il cui trapianto è molto importante per curare alcune malattie del sangue, come la leucemia. In alternativa al prelievo di sangue che viene solitamente effettuato per diventare donatori ed essere quindi iscritti nel registro mondiale, oggi in Emilia-romagna, prima regione in Italia e tra le pochissime al mondo, viene proposta anche una modalità meno invasiva: un semplice strisciata, attuata con una piccola spatola, della mucosa orale; in questo modo vengono prelevate un po’ di cellule del donatore sulle quali si eseguono gli esami necessari. Donazione e trapianto in Emilia-romagna - i dati al 31 dicembre 2012 - Sono stati dunque 110 nel 2012 i donatori utilizzati in Emilia-romagna, pari a 25,3 per milione di abitanti (pmp). L’età media è stata di 59,1 anni (era stata di 58,4 anni nel 2011). Il protocollo regionale per la sicurezza del donatore e la qualità degli organi donati ha consentito di utilizzare con buoni risultati donatori che solo pochi anni fa non erano considerati idonei dalla comunità internazionale (di questi, 20 i donatori di età superiore a 75 anni). Le opposizioni al prelievo sono state il 25,3% (28,4% nel 2011, 27,1% nel 2010; 29,3% la media nazionale nel 2012). Nel 2012, le fasce di età pediatrica e tra i 25 e i 34 anni sono quelle dove le opposizioni hanno raggiunto i livelli più elevati, pur in presenza di numeri bassi, quindi statisticamente poco significativi. Rene Sono stati 149 i trapianti di rene (136 nel 2011) nei tre Centri di Parma (Ospedale Maggiore), Modena (Policlinico), Bologna (S. Orsola-malpighi). Di questi 21 i trapianti da donatore vivente consanguineo o affine. Rispetto alla popolazione regionale, il numero di trapianti di rene è stato di 29,5 per milione di abitanti, sempre al di sopra della media nazionale (26,8 pmp). L’indice di trapianto (percentuale di reni impiantati rispetto a quelli prelevati in regione), che fornisce un riscontro significativo della qualità del processo di donazione e prelievo, è stato dell’85,9%. In Emilia-romagna è attiva la lista di attesa unica per il trapianto di rene, che assicura ogni trapianto al ricevente più compatibile con il donatore (indipendentemente dalla sede di iscrizione in lista: Bologna, Modena, Parma). Al 31 dicembre 2012 le persone in lista d’attesa erano 1.171. I tempi medi di attesa delle persone iscritte in lista sono di poco superiori ai 3 anni. La sopravvivenza dei pazienti trapiantati in Emilia-romagna a 5 anni dal trapianto è vicina al 94% (un po’ superiore al dato nazionale, intorno al 92%). Rispetto alla prevenzione, prosegue il progetto dedicato all’insufficienza renale progressiva (Pirp): sono 13.755 le persone inserite nel registro regionale e seguite congiuntamente da nefrologi e medici di famiglia per ritardarne al massimo, se non evitare, l’entrata in dialisi. Cuore - I trapianti di cuore eseguiti dal Centro del S. Orsola-malpighi di Bologna sono stati 20, di cui 1 combinato con fegato (4,6 per milione di abitanti). Il dato è inferiore a quello dello scorso anno (32 trapianti nel 2011, il numero più alto in Italia) ed è in linea con un complessivo calo a livello nazionale. Diminuiscono, fortunatamente, i donatori più giovani perché diminuiscono le morti per trauma da incidente stradale; l’età media dei donatori, più elevata, ha dunque influenzato il risultato del 2012. Il programma interregionale “Adonhers”, avviato in Emilia-romagna e Toscana, ha l’obiettivo di ampliare il numero dei potenziali donatori di cuore e prevede lo studio dei donatori non ottimali per valutarne meglio l’idoneità, attraverso l’esecuzione di un’indagine sulla funzionalità dell’organo (eco stress farmacologico con dipiridamolo) prima della donazione. L’indice di trapianto è stato pari al 90,9%, a dimostrazione dell’efficienza del Centro trapianti nell’utilizzo degli organi provenienti anche da altre regioni. Al 31 dicembre 2012 le persone in lista d’attesa erano 53. I tempi medi di attesa per le persone in lista sono di poco superiori di 1 anno. La sopravvivenza in Emilia-romagna a 5 anni dal trapianto è dell’82,5% (il dato per l’Italia è 75%). Fegato - Sono stati 119 i trapianti di fegato (105 nel 2011), nei Centri di Bologna (S. Orsola-malpighi) e Modena (Policlinico). Uno di questi trapianti è stato effettuato con la tecnica split, che permette da un donatore di effettuare trapianti su due persone. Due trapianti sono stati invece effettuati con la tecnica “domino” che consente di utilizzare il fegato di una persona affetta da una malattia metabolica, l’amiloidosi, e sottoposta a trapianto, e di trapiantarlo in un altro paziente affetto da patologie epatiche in fase terminale, consentendogli una aspettativa di vita di almeno altri venti anni. Rispetto alla popolazione regionale, il numero di trapianti è stato di 27,4 per milione di abitanti, che supera i livelli di eccellenza mondiale (tradizionalmente raggiunti dalla Spagna). L’indice di trapianto si conferma molto alto: 117,2%, a conferma dell’efficienza dei Centri trapianto regionali che utilizzano organi non trapiantati per vari motivi in altre regioni. In Emilia-romagna è attiva la lista di attesa unica per il trapianto di fegato. Questo prevede l’allocazione di ogni organo donato al ricevente in condizioni più gravi, indipendentemente dalla sede di iscrizione in lista (Bologna o Modena). Al 31 dicembre 2012, le persone in lista d’attesa erano 226. I tempi medi di attesa sono di circa 2 anni. La sopravvivenza in Emilia-romagna a 5 anni dal trapianto è superiore al 70% (paragonabile al dato italiano). Polmone - Sono stati 3 i trapianti di polmone, 1 bipolmonare e 2 singoli, effettuati al S. Orsola-malpighi di Bologna. Al 31 dicembre 2012 le persone in lista d’attesa erano 15. Il tempo medio di attesa è di 1 anno e mezzo circa. Intestino – Multiviscerale - Nel 2012 non sono stati effettuati trapianti di intestino multi viscerali. I follow-up delle 50 persone che hanno ricevuto il trapianto negli anni precedenti sono in linea con i dati internazionali (Bologna è l’unico Centro nazionale attivo per questo tipo di trapianti). Tessuti e cellule - L’attività delle banche regionali dei tessuti ha permesso di trapiantare in Emilia-romagna 624 corrnee (476 nel 2011) e 82 sclere (membrana bianca dell´occhio, 57 nel 2011), 16 valvole cardiache (9), 79 segmenti vascolari (67), 174 trapianti di cute (157), 616 sono stati i trapianti di segmenti ossei massivi (569) e 2.253 quelli di osso lavorato (1.896), 202 (122) quelli di membrana amniotica. In Emilia-romagna sono stati inoltre eseguiti 118 trapianti allogenici (erano stati 109 nel 2011) di cellule staminali emopoietiche (fonte delle cellule il midollo osseo, il sangue periferico o il sangue del cordone ombelicale donato dalle donne che partoriscono); sono stati inoltre eseguiti 326 trapianti di midollo osseo autologo (cellule dello stesso paziente, erano stati 384 nel 2011). Sono state raccolte e certificate dalla Banca regionale 260 unità di sangue cordonale, pronte per essere utilizzate in bambini affetti da leucemia in tutto il mondo.  
   
   
RAPPORTO LIGURE AIDS, IN AUMENTO LA TENDENZA A PRESENTARSI IN RITARDO ALLA PRIMA DIAGNOSI. CRESCE IL CONTAGIO NELLE ETÀ PIÙ AVANZATE DAI PROSSIMI MESI A TUTTI I RICOVERATI OPERATIVO IL TEST HIV  
 
Genova, 15 aprile 2013 - Ammontano a circa 5.000 le persone in Liguria con Hiv/aids. In particolare al 31 dicembre 2012 i soggetti affetti da Aids e notificati erano 3.332, di cui 3.106 residenti in Liguria, mentre nel periodo 2001-2012 le nuove diagnosi di infezione da Hiv sono state 1.384, con un´incidenza media annua pari a 7,3 per 100.000 abitanti. Un dato quest´ultimo che, dopo il picco registrato nel 2004 di 9,8 casi per 100.000 abitanti, si è stabilizzato nell´ultimo triennio con circa 6 casi per 100.000 abitanti. Sono queste alcune indicazioni provenienti dal report annuale 2012 sull´Aids redatto dal dipartimento salute della Regione Liguria e presentato l’ 11 aprile dall´assessore alla sanità, Claudio Montaldo, insieme a Giancarlo Icardi, direttore del dipartimento di scienze della salute e a Sergio Schiaffino, dirigente del settore prevenzione, sanità pubblica della Regione Liguria e ai componenti della commissione regionale sull´Aids/hiv che ricostruisce l´andamento delle nuove diagnosi da Hiv dal 2001 ad oggi, come raccomandano le organizzazioni internazionali. Un monitoraggio epidemiologico regionale che comprende i casi di residenti liguri notificati da strutture cliniche del territorio o da strutture di altre regioni e che rappresenta uno strumento di valutazione dei bisogni assistenziali e quindi fondamentale per la programmazione sanitaria. A fronte dei 1.384 casi di infezione da Hiv segnalati negli ultimi 10 anni, mediamente in Liguria si sono presentate presso i centri clinici 2/3 persone alla settimana a cui è stata diagnosticata per la prima volta una positività al test anti-Hiv. Le fasce di età più interessate dal fenomeno risultano quelle tra i 25 e i 34 e tra i 35 e i 44, con percentuali rispettivamente del 25,9% e del 34,5%, seguono poi le classi di età tra 45 e 54 anni (19,5%) e gli over 55 (12,3%). Risulta inoltre in aumento l´età al momento della segnalazione di una nuova diagnosi: si è infatti passati da 38 anni di età media nel 2001 a 42 nel 2012. Per quanto riguarda il sesso in Liguria le nuove diagnosi hanno riguardato, nel 30% dei casi segnalati nell´ultimo decennio, soggetti di sesso femminile, mentre, considerando la nazionalità, gli italiani costituiscono il 77,2% del totale. Risulta evidente una differenza tra maschi e femmine: i maschi italiani rappresentano l´83% di tutti i maschi, mentre le donne italiane sono il 62,7% sul totale delle femmine. Ancora una volta si conferma come la via di trasmissione eterosessuale sia preponderante nelle donne: costituisce infatti circa l´86% delle nuove diagnosi nei soggetti di sesso femminile, così come negli individui di sesso maschile i contatti sessuali (etero e omo/bisessuali) rappresentano la principale modalità d´esposizione, con valori intorno all´80% del totale. Una delle principali criticità che ha evidenziato il sistema di sorveglianza è la tendenza dei soggetti a presentarsi in ritardo alla prima diagnosi di sieropositività. Una diagnosi tardiva nell´infezione da Hiv, cioè quando la persona è già in stato avanzato di malattia ha ripercussioni nell´evoluzione e della prognosi della malattia e facilita un´aumentata diffusione dell´infezione. Obiettivo della Regione Liguria quello di lavorare contro la tendenza da parte dei soggetti a presentarsi in ritardo alla prima diagnosi di sieropositività. "Per questo – ha spiegato l´assessore alla salute, Claudio Montaldo – nei prossimi mesi renderemo operativa la procedura di prevedere, per tutti i ricoverati e con la garanzia della privacy, il test per diagnosticare la sieropositività e rendere così le persone consapevoli del proprio stato, oltre a consentire di intervenire prima e ridurre così il tasso di mortalità". Tra i casi di Aids notificati in Liguria, dal 2001 ad oggi, la maggior parte ha contratto l´infezione per via sessuale, superando quelli da tossicodipendenza (363 contro 292) e, a partire dal 2005, sono diventati la prima causa di esposizione, con un rapporto di 3 a 1 nell´ultimo biennio.  
   
   
ALLARME PER LA CARENZA DI DONATORI V CONGRESSO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER LA SICUREZZA E LA QUALITÀ NEI TRAPIANTI (FIRENZE 10-12 APRILE 2013)  
 
Firenze, 15 aprile 2013. Mancano i donatori di cuore. Da almeno tre anni a questa parte, la forbice tra i pazienti in attesa di trapianto per scompenso cardiaco avanzato e gli organi disponibili si è molto divaricata. I donatori -anche in una Regione per tradizione generosa come la Toscana- ci sono, ma sono troppo anziani. E intanto lo scompenso cardiaco si conferma sempre più come uno più grandi dei big killer al mondo, causa di oltre 100 mila decessi l’anno in Europa e altrettanti negli Stati Uniti e con oltre 2 milioni di nuove diagnosi ogni anno. “Gold standard del trattamento è il trapianto cardiaco – ricorda il dottor Massimo Maccherini, Direttore del Centro Trapianti di cuore della Regione Toscana (Azienda Ospedaliera Senese) -che però assomma tra Europa e Stati Uniti non più di 5.000 trapianti l’anno”. “La Toscana – spiega il professor Franco Filipponi, presidente della Sisqt – rappresenta un’eccellenza nelle donazioni (è la Regione con il più alto tasso di donazioni di tutta Italia, con 30 donatori per milioni di abitanti), anche grazie al fatto di aver adottato già dal 1998 il modello spagnolo messo a punto da Rafael Matesanz, direttore dell’Organizzazione Nazionale Trapianti Spagnoli. Questo modello è sia un hub telematico (il ‘cuore ‘ del sistema, al Careggi di Firenze, riceve continuamente input da tutte le Rianimazioni della Regione, relativamente alla presenza di possibili donatori), che di formazione. Grazie a questo sistema, nel corso di pochi anni, ci siamo avvicinati agli eccellenti risultati conseguiti ormai da anni dalla Spagna, che è il Paese con più donatori d’organo al mondo”. “In Italia – spiega il dottor Maccherini – ci siamo attestati per molti anni intorno ai 350 trapianti di cuore l’anno; ma negli ultimi 3 anni abbiamo avuto un progressivo calo delle donazioni utili, perché, come accade in Toscana, è molto elevata l’età dei donatori, in media circa 70 anni”. Per far fronte al problema, la Regione Toscana, insieme a quella Emilia Romagna, ha sviluppato un protocollo di valutazione dei cuori cosiddetti ‘marginali’, cioè con dei problemi teorici, che potrebbe essere anche solo quello dell’età, o veri e propri problemi di contrattilità, che non si possiamo conoscere prima. Si chiama Adonhers (Aged donor heart rescue by stress echo) ed è un test ecocardiografico di facile esecuzione (è un eco-stress alla dobutamina e dipiridamolo, che si fa sul candidato donatore in morte cerebrale), che ha permesso di recuperare un 10% dei donatori che una volta non sarebbero stati considerati per il trapianto di cuore. “Il test per ora è stato utilizzato solo in Toscana e in Emilia – spiega il dottor Maccherini – ma da quest’anno il Centro Nazionale Trapianti l’ha recepito a livello nazionale, per cui verrà utilizzato in tutta l’Italia”. Messo a punto dai ricercatori del Cnr di Pisa e del Sant’orsola Malpighi di Bologna, Adhoners è un test che non ha eguali al mondo. Questo sistema non solo permette di avere un maggior numero di cuori a disposizione per il trapianto ma, cosa ancora più importante per la sicurezza del paziente, certifica che si tratti di cuori in buono stato e non di cuori di ‘seconda scelta’, anche se prelevati da donatori ‘marginali’. Finora la scelta del donatore si è basata sui dati dell’International Society for Heart and Lung Transplantation, relativi alle curve di sopravvivenza del paziente trapiantato in base all’età del donatore. La sopravvivenza a 15 anni di un paziente trapiantato con il cuore di un trentenne è pari al 65%; con un donatore 60enne, la sopravvivenza a 15 anni è del 35%. L’idea del test Adonhers è proprio quella di identificare, anche tra i donatori più anziani, quelli con un cuore valido e senza problemi, per poterlo utilizzare con sicurezza per un trapianto. Ma la soluzione alla scarsità delle donazioni di cuore non viene solo dai donatori ‘marginali’, ma anche dalle soluzioni tecnologiche più avanzate. “Vista la scarsità di organi – spiega Maccherini – tutti i centri trapianti, in particolare qui in Toscana, si sono spostati, soprattutto nei pazienti con problemi seri e in lista da tempo, sull’approccio tecnologico, cioè sul supporto meccanico cardiaco che può essere ‘bridging’, cioè a ponte verso la soluzione del trapianto, o ‘destination therapy’, cioè definitivo, come vera e propria alternativa al trapianto. Ed è questa seconda soluzione in particolare che sta dando risultati molto interessanti. Il supporto meccanico definitivo (il ‘ventricolo artificiale sinistro’ o Vad, Ventricular Assist Device, oppure un vero e proprio cuore artificiale) è la scelta obbligata per i pazienti che non hanno indicazione al trapianto (ad esempio quelli che non trovano un donatore compatibile o quelli che non possono assumere gli immunosoppressori). I costi di questi sistemi sono naturalmente elevati (il solo device costa dai 75.000 ai 95.000 euro) ma, nel caso della ‘destination therapy’, sono praticamente sovrapponibili a quelli di un trapianto cardiaco tradizionale. La Regione Toscana, quattro anni fa, ha varato un programma specifico per il supporto dei Vad (la copertura annuale è pari a 550.000 euro l’anno), non essendo previsto per questi device un rimborso da Drg. Ovviamente, solo il Centro Trapianti è autorizzato a impiantare i Vad, anche per evitare pericolose derive dal punto di vista economico. Quest’anno abbiamo festeggiato un paziente che vive col Vad da 4 anni ed è il più vecchio survivor d’Italia e tra un mese e mezzo anche un secondo paziente impiantato da noi festeggerà i 4 anni dall’impianto. Ma nel mondo ci sono anche due casi di sopravvivenza intorno agli 8 anni”. Il device che viene utilizzato in Toscana, il Jarvik 2000, è quello che offre i vantaggi migliori anche per la vita di relazione del paziente perché la pila che lo alimenta (che il paziente tiene in tasca) si collega con un cavetto ad uno spinotto al titanio posizionato dietro l’orecchio del paziente. Nei vecchi modelli, l’alimentazione veniva erogata attraverso un cavetto che usciva dall’addome del paziente (è quello ancora utilizzato negli Usa). Con il nuovo modello, il paziente può fare la doccia e svolgere una vita di relazione normale. Ovviamente il paziente con un device meccanico non deve prendere immunosoppressori, ma solo anticoagulanti, peraltro a dosaggi anche più bassi di quelli necessari in caso di impianto di una valvola cardiaca meccanica.  
   
   
IL TELEFONO SALVA LA VITA. MA ANCHE… UN VIDEOGIOCO! SEMPRE PIÙ DIFFUSO L’USO DELLE TECNOLOGIE (TELEFONINI E INTERNET) PER MIGLIORARE L’ADERENZA ALLE TERAPIE ANTI-RIGETTO E AD UNO STILE DI VITA SALUTARE.  
 
Firenze, 15 aprile 2013. Il trapianto prolunga la vita e la rende migliore, è insomma quello che si dice ‘una storia di successo’. Tuttavia la sopravvivenza è strettamente correlata al lavoro che viene fatto dal team trapiantologico, subito all’indomani del trapianto. Il primo anno dopo il trapianto è cioè fondamentale per la sopravvivenza a lungo termine e per il successo stesso del trapianto. E la parola chiave per il successo è ‘aderenza’: alle terapie immunosoppressive innanzitutto, che proteggono dal rigetto del trapianto e ad uno stile di vita adeguato. “Questi pazienti – ricorda Fabienne Dobbels, Psicologa presso il Centre for Health Services and Nursing Research dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) e membro del gruppo di ricerca internazionale Leuven-basel Adherence Research Group – dal momento del trapianto, sono obbligati a prendere una complessa terapia a base di farmaci anti-rigetto a vita e a seguire uno stile di vita salutare. Che è poi quello che tutti dovremmo fare: seguire una dieta sana, fare esercizio fisico, non fumare, assumere alcol con moderazione o addirittura evitarlo”. Non è facile però seguire alla lettera tutte queste prescrizioni e alcuni pazienti hanno dei momenti di scoraggiamento e di stanchezza, che li portano ad abbandonare farmaci e buon senso. L’identikit del paziente a rischio di non aderenza è complesso, multidimensionale e particolare al tempo stesso. Possono entrare in ballo fattori di tipo culturale, socio-economico o altri che riguardano la famiglia, il team trapiantologico, la città o il Paese nel quale vive il paziente. E naturalmente l’adolescenza è un importante fattore di rischio di non aderenza. “Bisogna anche considerare – prosegue la dottoressa Dobbels - che i pazienti vedono il team trapiantologico per un’ora alla settimana o al mese, mentre il vero sforzo è quello che viene richiesto loro, nel seguire le prescrizioni 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana. Completamente in balia della loro buona volontà, senza la presenza di medici, infermieri o psicologi. In più, come tutti sanno, c’è carenza di staff e sovraffollamento negli ospedali; è dunque sempre troppo poco il tempo che si può dedicare a questi pazienti. Tutto viene affidato all’autogestione – prosegue la Dobbles – e questa può essere insegnata e implementata nella pratica quotidiana. In questo possono essere di grande aiuto le health technologies”. Per e-health, si intendono le Ict (tecnologie per l’informazione e la comunicazione) applicate alla salute. Si va dalla telemedicina, alla tele-care (cioè al monitoraggio di una persona anziana che vive da sola in casa), alla tele-health, definita come uno scambio interattivo di informazioni tra un paziente e un medico a distanza. “Quest’ultima – spiega la Dobbels – non solo viene usata per monitorare a distanza e scambiare informazioni ma anche per fornire feedback, sostenere psicologicamente i pazienti e supportare i loro comportamenti salutari. “Ci sono diverse opzioni strumentali: dagli Sms (tutti abbiamo ormai un telefono cellulare) a Internet. E’ possibile ad esempio mandare un Sms per ricordare al paziente (si fa soprattutto con i giovani trapiantati) che è ora di prendere le medicine; il paziente è tenuto a rispondere con un Sms in codice e se non risponde al messaggio, viene mandato un altro Sms; se non risponde neppure a questo, un membro del team trapiantologico o il medico stesso cercherà di contattarlo al telefono. Con gli Sms si possono ricordare ai pazienti i loro appuntamenti, o anche mandare messaggi ‘motivazionali’ tipo: ‘è meglio che non fumi’, ‘c’è il sole fuori, perché non esci a fare una passeggiata’, ecc. Ci sono anche programmi su Internet che non servono tanto ad educare il paziente, quanto a sfruttare la componente di interattività, come forum, chat rooms, videogame per teenager, gruppi di discussione; altri programmi infine consentono di avere accesso al proprio medico per ricevere un consiglio personalizzato”. “Al Mit di Boston – ricorda Sabina de Geest, docente di Scienze Infermieristiche presso l’Università di Basilea (Svizzera) e presso l’Università Cattolica di Lovanio – hanno sviluppato una comunità virtuale, alla quale prendono parte, attraverso un avatar, i pazienti trapiantati in età pediatrica. Nelle diverse ‘stanze’ della community, i giovani pazienti possono farsi delle chiacchierate, scrivere delle loro esperienze, raccontare come vivono l’esperienza del trapianto. In questa fascia d’età inoltre viene dato sempre più spazio ai videogames, per sviluppare alcuni specifici tipi di competenze e di conoscenze, che possono essere relative al lavoro in team o alle soluzioni di situazioni conflittuali. In un videogame, prima di superare un livello per passare al successivo, devi raggiungere determinati obiettivi; nel caso dei piccoli pazienti trapiantati la ‘prova’ da superare può essere una domanda del tipo: ‘cosa devi fare se dimentichi di prendere le tue medicine?’ E solo azzeccando la risposta corretta, possono accedere al livello successivo”. “Nell’adolescenza e nelle patologie croniche – ricorda la dottoressa Dobbels – ci sono tre aspetti da prendere in considerazione: 1) l’adolescente vive in diversi contesti: come individuo, in famiglia, nella comunità, all’interno di un contesto sanitario; 2) l’uso delle tecnologie è un elemento che merita assolutamente di essere integrato nell’approccio di cura che si intende utilizzare; 3) è assolutamente necessario prendere in considerazione il peer group, cioè il gruppo dei suoi pari, i suoi amici e coetanei”. “L’adolescenza è una fase peculiare della vita – prosegue la de Geest – necessaria per diventare un individuo, attraverso un processo di individuazione e separazione. Ma se hai una malattia cronica e hai avuto un trapianto, ti ritrovi un carico di responsabilità e cose da fare sulle spalle, in un momento in cui i ragazzi hanno solo voglia di fare esperienze nuove e sfidare la vita, infischiandosene di rischi e pericoli. Naturalmente tutto questo passa anche attraverso una sfida a tutto ciò che rappresenti l’autorità, dai genitori, agli insegnanti, ai medici e alle infermiere. Se si vuole avere successo con questi pazienti, bisogna avere ben chiari tutti questi aspetti e raggiungerli col loro linguaggio, che passa attraverso la tecnologia (telefonini e internet) e il gruppo dei loro pari”. “I teenager – conclude la Dobbles -sono di certo la popolazione più ‘telefonabile’ sulla faccia della terra. Ma in realtà tutte le persone a rischio di scarsa aderenza alle terapie o agli stili di vita, come appunto i trapiantati, a qualunque età possono trarre enormi benefici da programmi che sfruttino la comunicazione attraverso il telefono”.  
   
   
CAMPANIA, PIANO DI RIENTRO SANITÀ, RAGGIUNTO EQUILIBRIO ECONOMICO DI BILANCIO. DA ROMA VIA LIBERA ALLO SBLOCCO DI RISORSE PER 287 MILIONI DI EURO - CALDORO: È LA CONFERMA CHE STRADA INTRAPRESA È QUELLA GIUSTA  
 
Napoli, 15 aprile 2013 - Il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei Livelli Essenziali di Assistenza, riuniti in seduta congiunta, hanno attestato il raggiungimento dell´equilibrio economico nel bilancio per la sanità in Campania. Il Tavolo e il Comitato, nel prendere atto del lavoro svolto dalla struttura commissariale nell’attuazione del piano dei pagamenti finalizzato all’estinzione dei debiti pregressi, hanno deciso di sbloccare le risorse vincolate relative agli anni 2008, 2009 e 2010 per un totale di 287 milioni di euro. In attuazione dei decreti commissariali relativi al debito sanitario, sono stati sottoscritti fino ad oggi 31 accordi quadro per procedure di liquidazione e pagamento delle posizioni debitorie pregresse delle singole Asl per un valore di 1.800 milioni di euro, con un risparmio di 150 milioni. Il Tavolo e il Comitato hanno espresso altresì un giudizio positivo sui risultati raggiunti con gli interventi relativi alla rete assistenziale territoriale residenziale e domiciliare, sui notevoli risparmi conseguiti sulla spesa farmaceutica con l’incentivazioni all’uso e alla distribuzione dei farmaci a brevetto scaduto e simili, sul superamento delle criticità sul ruolo di Soresa come centrale acquisti beni e servizi, sul miglioramento operato nella sanità veterinaria e per la sicurezza degli alimenti. Infine, su sollecitazione della Regione Campania in merito alla necessità dell´ulteriore sblocco del turn over per rispondere alle legittime esigenze delle strutture ospedaliere, Tavolo e Comitato hanno assunto l´impegno a velocizzare le procedure per le assunzioni. "I giudizi espressi da Tavolo e Comitato - ha sottolineato il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro - confermano che la strada è quella giusta. "Ora è necessario rendere attuativo lo sblocco del turn over", ha concluso il presidente.  
   
   
FIBROMIALGIA: AFFLIGGE 290.000 LOMBARDI.  
 
Milano, 15 Aprile 2013 – Approfondire le cause della fibromialgia, non solo tra medici e paramedici, ma soprattutto con gli stessi pazienti che ne sono affetti. Questo il focus dell’Xi Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica Onlus, che si è svolta sabato 13 Aprile, presso l’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “L. Sacco” di Milano. L’aisf Onlus, nata oltre 10 anni fa allo scopo di destare maggiore attenzione intorno alla fibromialgia, patologia a lungo sottodiagnosticata e sottotrattata, anche quest’anno chiama a raccolta pazienti, comuni cittadini, clinici, fisioterapisti, psicologi, medici del lavoro e politici per trattare un nuovo specifico aspetto della patologia. Solo in Lombardia, la fibromialgia colpisce oltre 290.000 persone – in linea con la media nazionale che vede una prevalenza del 3% della popolazione – ed è una malattia prevalentemente femminile, con un rapporto di 1 a 9 tra uomini e donne, nelle quali l’esordio tende a verificarsi in età pre-menopausale. Si manifesta come un vero e proprio “assemblaggio di dolori”, non solo a livello muscolare, ma in tutto quello che “si muove” all’interno dell’organismo, causando ad esempio sofferenza nel tratto gastrointestinale, cefalee emicraniche o muscolo-tensive. A questo si sommano stanchezza cronica, disturbi del sonno e di carattere neuro-cognitivo, a volte problemi degli occhi che diventano meno fluenti. Spesso la patologia ha un ritardo diagnostico che può aggirarsi anche in anni; i pazienti consultano diversi medici senza arrivare a una soluzione, venendo perfino etichettati come malati immaginari. “Cercheremo di fornire risposte alla domanda fondamentale che si pone chi soffre di questa malattia ‘perché si diventa fibromialgici?’. Da qui il titolo stesso del Congresso”, dichiara il dottor Piercarlo Sarzi Puttini, Presidente Aisf Onlus e Direttore Unità Operativa di Reumatologia A.o. Luigi Sacco. “La patologia è caratterizzata da una ridotta soglia di sopportazione del dolore dovuta ad alterazioni a livello di sistema nervoso centrale, che portano il paziente a sentire dolore anche per stimoli che di solito non dovrebbero provocarlo. A partire da una predisposizione genetica, molteplici sono le cause che possono innescare questa condizione: eventi stressanti, traumi fisici o psichici, depressione, disturbi di personalità o malattie infiammatorie croniche. Passeremo quindi in rassegna tutti questi aspetti e li analizzeremo, per contribuire a una migliore conoscenza della sindrome fibromialgica da parte di chi ne soffre e da parte di chi la deve curare”. Ancora oggi, in effetti, si evidenzia un forte bisogno informativo verso questa condizione, non ancora riconosciuta quale malattia vera e propria, con le difficoltà che ne conseguono a livello diagnostico-terapeutico. “Sul fronte dei trattamenti farmacologici, ad esempio, mentre negli Stati Uniti ci sono tre farmaci che hanno l’indicazione per la fibromialgia – sottolinea Sarzi Puttini –, in Europa usiamo questi stessi farmaci, che hanno però indicazione per il dolore cronico diffuso, o sono classificati come antidepressivi o anticonvulsivanti i quali, con altri meccanismi d’azione, agiscono sui neurotrasmettitori del dolore innalzandone la soglia. A questo proposito, di fondamentale importanza è il dialogo che il clinico instaura col proprio assistito, cui deve spiegare che la prescrizione dell’antidepressivo avviene non tanto perché lui abbia la depressione, condizione che comunque a volte si accompagna alla sindrome fibromialgica, ma perché si vuole agire in senso antidolorifico”. La comunicazione medico-paziente nell’ambito di un’efficace gestione della patologia fibromialgica assume quindi un ruolo essenziale. In particolare nel momento della diagnosi occorre, da parte di chi cura, un intenso sforzo di ascolto del racconto del malato, dei segni e dei sintomi che riferisce, perché solo così si può effettivamente individuare la malattia, altrimenti non rintracciabile secondo parametri organici, marcatori, lastre, esami di laboratorio. Una diagnosi sbagliata, che spesso attribuisce un’etichetta infiammatoria al problema, porta poi il paziente a sottoporsi a trattamenti inadatti. “In Lombardia, grazie anche all’attività di Aisf Onlus, la fibromialgia viene diagnosticata sempre di più - aggiunge Sarzi Puttini -, anche dalla medicina del territorio. E per rafforzare l’alleanza di cura con i pazienti, l’Associazione ha realizzato un manuale rivolto a loro, affinché possano documentarsi sulla malattia. Noi medici abbiamo infatti una funzione di ‘coach’, dobbiamo supportare il malato nel gestire il proprio percorso terapeutico”. Questo percorso, oltre al trattamento farmacologico, deve prevedere la fisioterapia, che aiuta ad innalzare la soglia del dolore, per lo meno per la parte muscolo-scheletrica, e la terapia psicologica, che permette al paziente di comprendere meglio le sue problematiche e se ci sono meccanismi di comportamento che possono essere modificati per migliorare lo stato di salute. Sono molte quindi le figure professionali coinvolte nella cura della fibromialgia; solo con questo approccio multidisciplinare è possibile gestirne la complessità. La sindrome fibromialgica è, inoltre, una malattia dal pesante impatto economico: una quota di pazienti viene ricoverata in ospedale, una quota è gestita in ambulatorio, generando numerose visite e trattamenti terapeutici durante tutto l’arco dell’anno. “Recenti studi hanno rilevato come il paziente fibromialgico perde molte giornate di lavoro e alcuni possono arrivare anche a perdere il posto. Situazioni di questo tipo andrebbero evitate, perché l’occupazione per il paziente è un’importante fonte di distrazione dai sintomi e di mantenimento di collegamento con la vita sociale, che altrimenti rischierebbe di perdersi o di limitarsi all’ambiente familiare”, conclude Sarzi Puttini.  
   
   
DOLORE CRONICO PER 1 CITTADINO SU 4 IN EMILIA ROMAGNA. IL 12 E 13 APRILE A RIMINI, ORTOPEDICI “A SCUOLA” PER IMPARARE A GESTIRLO  
 
Rimini, 15 aprile 2013 – Il 25% degli abitanti dell’Emilia Romagna combatte, più o meno frequentemente, contro un dolore cronico di origine non oncologica, che nel 67% dei casi è dovuto ad artrosi e osteoartrosi. La frequenza e la rilevanza del dolore nelle patologie osteoarticolari fa comprendere il ruolo centrale dello specialista ortopedico, chiamato sempre più spesso a gestire nella pratica clinica pazienti che soffrono. Per formare gli ortopedici a un adeguato trattamento del problema, Rimini ha ospitato il 12 e 13 aprile il corso di aggiornamento “Ortopedia e Dolore. Il punto di vista dell´ortopedico e del terapista del dolore”. Alla due giorni di lavori, che si è tenuta presso l’Hotel Sporting di Viale Amerigo Vespucci, si parlato nello specifico del dolore correlato a patologie di natura osteoarticolare. “Un adeguato trattamento del dolore in ortopedia è essenziale”, dichiara Giancarlo Caruso, Responsabile dell’Ambulatorio di Terapia del Dolore dell’Ospedale Bellaria, Azienda Usl di Bologna, tra i relatori dell’evento. “Sia per il paziente sottoposto a intervento chirurgico, in cui un’efficace gestione del dolore postoperatorio permette una dimissione anticipata, meno complicanze e un recupero più rapido; sia per il paziente affetto da dolore cronico, al quale possiamo restituire una migliore qualità di vita e una ritrovata capacità lavorativa. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la stragrande maggioranza dei casi di dolore cronico è di natura non tumorale e riguarda, nel 50%, persone in età lavorativa. Questo aspetto è fondamentale se si considera che, in base a recenti dati Inail, solo per il mal di schiena ogni anno in Italia si arriva a perdere fino a 30 milioni di ore di lavoro”. La Legge 38 sulla terapia del dolore e le cure palliative, varata nel marzo 2010, si è proposta di tutelare il diritto a non soffrire per i 15 milioni di italiani con dolore, attraverso un equo accesso a un’assistenza qualificata e un approccio terapeutico più appropriato. A questo proposito i farmaci oppiacei rappresentano una valida alternativa per il trattamento del dolore d’intensità moderata-severa, ma il loro impiego nel nostro Paese è ancora limitato. Alla luce delle attuali pratiche inerenti la gestione del dolore cronico in ambito ortopedico, durante il corso si procederà all´analisi dei fattori limitanti l´applicazione della Legge 38/2010 e alla discussione del possibile miglioramento della gestione del paziente, mediante l´adeguato utilizzo delle recenti risorse terapeutiche disponibili.  
   
   
TERREMOTO/EMILIA, UN´ORDINANZA COMMISSARIALE COPRE, PER QUASI 3,8 MILIONI DI EURO, LE SPESE DI NATURA SANITARIA EFFETTUATE DAL 20 MAGGIO AL 29 LUGLIO DA AZIENDE SANITARIE E OSPEDALIERE DEL MODENESE E FERRARESE  
 
Bologna, 15 aprile 2013 - Quasi 3,8 milioni di euro per ulteriori spese di natura sanitaria sostenute dalle aziende sanitarie regionali nel periodo dal 20 maggio al 29 luglio. È quanto stabilisce un´ordinanza (la numero 47 del 11 aprile 2013) emanata oggi dal Commissario delegato alla ricostruzione e presidente della Regione Vasco Errani. Il provvedimento è consultabile sul sito www.Regione.emilia-romagna.it/terremoto  nella sezione ‘Atti per la ricostruzione’. Le ulteriori risorse stanziate (esattamente 3 milioni e 775 mila euro) con l’ordinanza andranno alle Aziende Usl e Aziende Ospedaliere di Modena e Ferrara che hanno realizzato gli interventi nelle aree colpite dal sisma. Il provvedimento, in allegato, elenca ciascuno degli interventi e la relativa previsione di spesa le cui risorse provengono dal Fondo per la ricostruzione (l’art. 2, comma 6, del D.l. 74/2012 convertito nella legge n. 122/2012). L’ordinanza sarà pubblicata sul Bollettino ufficiale telematico della Regione Emilia-romagna (Burert).  
   
   
CINEMA TEATRO DI CHIASSO: LE VOCI DI VITTORIO GASSMAN E CARMELO BENE PER IL DON CHISCIOTTE DI FRANCO BRANCIAROLI  
 
Chiasso, 15 aprile 2013 - L’attore e regista Franco Branciaroli porta in scena al Cinema Teatro di Chiasso una personale rilettura del “Don Chisciotte” di Cervantes giovedì 25 aprile alle 20.30. Dopo l´originale edizione di “Finale di partita” in cui il protagonista parlava con la voce dell´ispettore Clouseau, Branciaroli presenta lo spettacolo tratto dal testo di Miguel de Cervantes e prodotto dal Ctb Teatro Stabile di Brescia, nel quale sarà impegnato nel doppio ruolo di Don Chisciotte e Sancho Panza, cui darà, imitandole, le voci di Vittorio Gassman e Carmelo Bene. Il vagabondare verbale, divertente e commovente, dei due mattatori ripercorrerà alcune delle scene più celebri del grande romanzo picaresco del siglo de oro spagnolo. “Li immagino nell´aldilà – spiega Branciaroli – mentre confessano che avrebbero sempre voluto mettere in scena il libro più d´avanguardia che ci sia, il Don Chisciotte. Li faccio parlare e così, accanto ai personaggi dell´Hidalgo e di Sancho, riprenderanno vita anche i loro dialoghi, i loro battibecchi, il loro immaginario”. Ecco dunque che le “maschere verbali” dei due grandi protagonisti della scena teatrale italiana, daranno anche occasione di ritrovare atmosfere di un gran teatro che non c´è più e che lo stesso Branciaroli, che con Bene ha recitato ai suoi esordi, ha preso per la coda: “Erano due avversari irriducibili – continua l´attore-regista – ma anche due artisti che si stimavano. E questa è una cosa che mi commuove”. E divertimento con un pizzico di nostalgia sarà infatti la temperatura emotiva dello spettacolo. Il finale? Non è una vera fine, cosa che sarebbe pertinente solo con il mondo dell´aldiquà, mentre nel tempo eterno i nostri due mattatori, e idealmente Branciaroli con loro, possono ripetere all´infinito, variandola e reinventandola, la rappresentazione. Prima dello spettacolo, alle ore 18.15, Franco Branciaroli sarà nel Foyer del Cinema Teatro di Chiasso per un incontro con il pubblico moderato dal giornalista della Tsi Maurizio Canetta. L’incontro fa parte del ciclo “Prima della recita – Incontri con i grandi protagonisti del teatro” organizzato dall’Associazione Amici del Cinema Teatro. Franco Branciaroli - Artisticamente nato a teatro, si presenta sul palcoscenico fin da subito come un interprete originale e molto attento. Studia alla scuola del Piccolo Teatro di Milano dove debutta nel 1970 con “Toller” di Tankred Dorst, per la recita di un autore atipico come Patrice Chéreau. Trasferitosi a Torino comincia a frequentare uomini illustri del panorama italiano: Aldo Trionfo, il grande attore e regista Carmelo Bene, Luca Ronconi e lo scrittore Giovanni Testori. Diretto da Trionfo in diversi spettacoli, entra definitivamente nel Teatro Stabile di Torino, portando nel 1974 “Gesù” di Carl Theodor Dreyer, passando poi al “Faust - Marlowe – Burlesque” accanto a Carmelo Bene. Fagocita tutto: da “Romeo e Giulietta” alla “Turandot”, da Maurizio Scaparro e Luigi Squarzina a Valentina Cortese. Non contento si mette in luce anche con le sue prime regie teatrali: “La vita è sogno”, “Peer Gynt” e “Gli spettri”. Durante gli Anni Novanta, recita ne “I due gemelli veneziani” per la regia di Ronconi e poi passa, nel 1993, al Teatro Romano di Verona, dove è regista e interprete di opere come “Re Lear”, “L´ispettore generale”, “La dodicesima notte”, “Macbeth”, “Otello” e “Medea” (dove veste abiti femminili con un notevole successo). Nel 2000 vince il premio Ubu come miglior attore protagonista per “La vita è sogno” diretto da Luca Ronconi. Uomo di teatro a tutto tondo, Branciaroli appare di rado sul grande schermo. Lavora nel 1981 con Michelangelo Antonioni ne “Il Mistero di Oberwald” e con Tinto Brass in cinque lungometraggi, dal 1984 al 2001. Nel 2007 fa parte del cast del film “I viceré”, accanto a Lando Buzzanca e Alessandro Preziosi. Nel 2008 è stato Re Claudio nell´”Amleto” di Shakespeare ancora accanto a Preziosi, successivamente interpreta un testo di Luca Doninelli nello spettacolo “L´assedio delle Ceneri”, diretto da Roberto Paci Dalò e curato da Gabriele Frasca per il Napoli Teatro Festival. Sempre nel 2008 partecipa alla serie tv “I liceali” nel ruolo di Vittorio Rizzo, padre di uno dei protagonisti.  
   
   
NUOVA LINEA DI PRODUZIONE DELL’ANTIMALARICO  
 
Torino, 11 aprile 2013 - Il presidente Roberto Cota è intervenuto l’11 aprile nello stabilimento Sanofi di Garessio per l’inaugurazione della nuova linea produttiva di artemisinina, ingrediente chiave delle principali terapie antimalariche che permetterà di aumentare la disponibilità di trattamenti nei Paesi in cui la malattia è endemica. Grazie ad una nuova tecnica che parte dall’acido artemisinico sarà possibile solo quest’anno passare dagli 80 a 120/130 milioni di trattamenti antimalarici per altrettanti pazienti, permettendo di ovviare ai limiti della produzione naturale di artemisinina, legata alla stagionalità e ai costi della coltivazione della pianta annua da cui è estratta. La cerimonia è stata per Cota l’occasione per ribadire che “non soltanto non dobbiamo arrenderci, e non dobbiamo pensare che il nostro sia un territorio dove non si può produrre, ma dobbiamo invece rilanciare, puntando su quelle che sono le nostre specificità, e dunque prodotti che si basano su ricerca e innovazione. Quando giochiamo su questo terreno, siamo sostanzialmente imbattibili o quasi, non c’è concorrenza che possa tenere”. Il presidente ha inoltre messo l’accento sul fatto che “uno stabilimento come questo tutto sommato non è facilissimo da raggiungere. Sappiamo che arrivare a Garessio non è come andare sulla tangenziale di Torino o in una zona facilmente raggiungibile. Questo lo dico perché questi territori che hanno una vocazione industriale e produttiva vanno valorizzati. Perché implementare uno stabilimento in un paese così piccolo? Che vantaggio può avere? Ha lo straordinario vantaggio di realizzare un’integrazione al 100% con il territorio che di solito dà anche una marcia in più per essere competitivi. Quando si visitano queste realtà produttive si scopre che sono tutti della partita e c’è una squadra unica. E di solito quando la squadra è compatta, è anche vincente”.  
   
   
SPENDING REVIEW: SICUREZZA E QUALITA’ DEI TRAPIANTI A RISCHIO?  
 
Firenze, 15 aprile 2013 - Rischio paralisi per il sistema trapianti. La crisi in epoca di spending review, come tutte le crisi, ha due facce della medaglia, una negativa e una positiva. “L’aspetto negativo – afferma il professor Tommaso Bellandi, responsabile della qualità e sicurezza dell’Organizzazione Toscana Trapianti – è quello legato al fatto che, riducendosi le risorse a disposizione del Ssn, può diventare più difficile anche arrivare alla donazione stessa. Nel momento in cui vengono approntati dei tagli che comportano anche notevoli difficoltà nel sistema dell’emergenza-urgenza, è chiaro che questo si ripercuote nel settore dei trapianti, con il rischio di non poter disporre della donazione, neppure da parte di quei pazienti che avevano dichiarato in vita la propria intenzione a donare”. Per poter disporre di un organo, è necessario che funzioni tutto un complesso sistema che va dal ricovero in rianimazione di un paziente con lesioni cerebrali acute e che la terapia intensiva sia in grado di segnalarlo come potenziale donatore, nel momento in cui non sia possibile fare più nulla per salvarlo. Da questo momento in poi, dovrebbero essere disponibili tutti i servizi di diagnostica, per fare gli approfondimenti in merito al rischio infettivologico e neoplastico, per attestare l’idoneità del donatore. Poi il potenziale donatore, se dichiarato idoneo viene portato in sala operatoria per il prelievo, dove giunge una o più équipe di prelevatori che può arrivare anche da un altro ospedale e addirittura da un’altra Regione e questo naturalmente può comportare dei costi molto elevati. Fatto il prelievo gli organi vanno portati ai centri trapianto e qui va fatta un’ulteriore valutazione. Nel frattempo il centro trapianti deve chiamare il ricevente in lista d’attesa. Tutto ciò naturalmente richiede un’organizzazione estremamente tempestiva, preparata ed efficace a gestire tutte le fasi che vanno dalla donazione, al trapianto, al follow up del trapiantato. E attualmente, non esiste una codifica, cioè un Drg relativo al costo di una donazione. “Con i tagli che sono già stati operati, in particolare nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro, ma anche nelle altre – denuncia il professor Bellandi – purtroppo questa operatività in alcuni casi non è più garantita. Non ci sono ancora numeri ufficiali, ma cominciano ad esserci diversi casi, in cui non si è arrivati ad una donazione perché la terapia intensiva non poteva farsi carico di un potenziale donatore, per mancanza di posti letto o di personale a disposizione per gestirli; o ancora a trapianti che non sono stati fatti, pur in presenza del donatore, perché non c’era a disposizione personale per andare a prelevare gli organi e poi trapiantarli. E qui è il caso di ricordare che anche in questo settore così delicato, abbiamo ancora tanto personale a contratto, precario, quindi tutto questo comporta delle notevoli difficoltà”. Migliorare l’appropriatezza del sistema per fronteggiare la crisi. Ma la crisi, a ben vedere, ha anche un aspetto positivo della medaglia. “Questa crisi ci mette di fronte alla necessità di migliorare l’appropriatezza, garantendo al tempo stesso la qualità e la sicurezza delle cure e delle cure sostitutive, come è il caso dei trapianti. Così, partendo da una riflessione comune in molti Paesi europei, è possibile cogliere questa occasione come un’opportunità per valutare in modo più stringente sia le strutture dove vengono effettuate le attività di donazione e trapianto – in particolare la rete delle rianimazioni, i servizi diagnostica e i centri trapianto – sia come vengono condotti i processi operativi all’interno di queste strutture”. Necessario rivedere i criteri di accreditamento dei vari centri trapianto. Per garantire la qualità e la sicurezza nei trapianti ci deve essere una rianimazione dotata di personale competente a gestire in modo efficace la fase dell’individuazione della morte cerebrale e del mantenimento del potenziale donatore. E’ necessaria inoltre in quella struttura, la presenza di un coordinamento locale che attivi la segnalazione della presenza di un potenziale donatore e che proceda a processare tutti i campioni ematici e istologici necessari per valutare appunto l’idoneità del donatore. Queste valutazioni devono essere fatte in laboratori con grandi volumi di attività e personale preparato a fornire delle risposte in modo tempestivo e corretto. Lo stesso vale il trapianto. “Per quanto attiene ai centri trapianto – spiega il professor Bellandi – abbiamo indicazioni a livello nazionale su quelli che devono essere i volumi minimi di attività e quali debbano essere le verifiche sui dati di outcome (la sopravvivenza del donatore e degli organi). Ma quello che si potrebbe e si sta iniziando a fare, anche nell’ambito di questo congresso, è di darsi degli standard ancor più puntuali e precisi, rispetto sia alle caratteristiche strutturali del personale, alla preparazione, alle tecnologie e anche sui processi operativi, cioè su come debbano esser fatte le cose. Ad esempio, avere in un centro trapianti una checklist del percorso chirurgico, che segua il paziente dal momento dell’arrivo al centro trapianti, fino alle fasi di rientro dalla terapia intensiva in reparto e al recupero della sua autonomia funzionale, è un qualcosa che può aiutare a prevenire una serie di avventi avversi, legati alle infezioni che il paziente può contrarre, agli errori di terapia, a errori di tipo chirurgico, come le garze lasciate all’interno del sito chirurgico”. I numeri non sono sempre sinonimo di qualità. Ma… Si parla molto dell’importanza dei volumi di attività ed è indubbio che un maggior numero di prestazioni di interventi aumenti anche la qualità e la sicurezza degli interventi stessi e gli esiti del paziente. “E’ difficile però rappresentare quanto i volumi determino o meno la qualità e la sicurezza – sostiene il professor Bellandi – perché questo rapporto non è così lineare. Dovremmo fare attenzione più a delle soglie, sia minime che massime, di volumi. Sono stati pubblicati in proposito dei lavori molto interessanti. Un recente studio americano ad esempio dimostra che i volumi di attività sono rilevanti, ma che al di sotto e al di sopra di un certo numero di interventi, quello che conta è soprattutto la formazione del personale, l’esperienza degli operatori, la formazione continua, il fatto che ci sia una supervisione e un sistema di autorizzazione e accreditamento, con verifiche da parte di soggetti terzi. Anche tutte queste caratteristiche, insieme ai volumi, contribuiscono a garantire la qualità e la sicurezza. Un altro elemento importante è anche quello della distribuzione del numero di intervento tra gli operatori. Perché in un centro ad alto volume, un chirurgo fa il 90% degli interventi e gli altri si dividono il restante 10%, chi viene operato dal chirurgo che fa il restante 10%, è come se fosse andato in un centro a basso volume”. I numeri non sono tutto dunque, ma è pur vero che hanno un loro peso. “Quelli del registro Europeo dei trapianti (Eltr) ad esempio – ricorda il professor Franco Filipponi, presidente della Sisqt – dimostrano che i centri che superano ogni anno almeno i 70 interventi l’anno danno maggiori garanzie sul versante della qualità e la sicurezza. Gli Stati Uniti poi, hanno esplicitato questo concetto, con una ancora maggior definizione, suddividendo i centri in base al volume dei trapianti effettuati per anno in tre categorie: - Alto : 78 – 215 casi all’anno - Medio: 49 – 77 casi all’anno - Basso: 5 – 48 casi all’anno Un’analisi multivariata, anche in questo caso, dimostra come l’aumento del numero di procedure eseguite dal centro conferisca un rischio minore di fallimento dell’organo trapiantato e di morte del ricevente tra la popolazione dei riceventi di donatori ad alto Dri”.(donor Risk Index – Indice di rischio del donatore) Ridurre il numero dei centri trapianti autorizzati? E’ un argomento scottante. Il rapporto tra volumi e qualità di processi, sicurezza ed esiti, come visto non è così lineare. “In epoca di spending review una revisione del sistema andrebbe fatta, visto che non ci possiamo più permettere gli sprechi e le duplicazioni. L’importante è che sia fatta mettendo sempre i pazienti al centro, cioè cercando di garantire una distribuzione dei centri trapianti sul nostro territorio nazionale, in modo tale da evitare viaggi della speranza, visto che anche questi stanno diventando difficoltosi, perché alcuni pazienti non hanno più nemmeno la possibilità di permettersi il viaggio e la permanenza di un familiare in un’altra città. Bisogna pensare anche a questo, qualora si dovesse decidere di riorganizzare la rete dei centri trapianti. Tutto dovrebbe essere fatto nell’ottica di favorire al massimo la collaborazione e semmai anche l’interscambiabilità del personale tra le strutture, proprio per garantire al tempo stesso un’adeguata capacità operativa dei centri, sia dal punto di vista dei volumi, che dell’accreditamento dei processi, che degli strumenti operativi. E anche un facile accesso ai cittadini-pazienti su tutto il territorio nazionale. Definire dei nuovi standard. Se ne stanno occupando da tempo le società scientifiche, tra le quali anche la Sisqt. “ Saranno i decisori politici – spiega il professor Bellandi – a decidere se accreditare le società scientifiche, che poi potranno essere prese a riferimento per l’emanazione di linee guida, standard, ecc. Oppure se rispolverare il programma nazionale linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, come unico contenitore per far convergere le evidenze di pratica clinica, che diverranno poi riferimento, anche operativo e normativo per tutti i nostri centri. Il decreto Balduzzi prevede che vengano definite delle linee guida e che su questo si basi anche la valutazione della sicurezza dei nostri centri. E’ importante però che ci sia un accreditamento anche di chi emana queste linee guida e poi anche di chi andrà a valutare i centri. Senza tutti questi elementi diventa difficile poter superare la modalità attuale di scelta del centro dove andare a farsi operare, che è soprattutto quella della ‘reputazione’ dei centri. “La Sisqt chiede a gran voce – afferma il professor Franco Filipponi – un’accelerazione del processo di ridefinizione degli standard di qualità per i trapianti e di capire chi deve fare che cosa. Ci proponiamo anche come riferimento per tutto quanto riguardi la sicurezza e la qualità nei trapianti. Un riferimento forte, competente, per condividere con tutti gli operatori e le strutture del nostro Ssn una serie di indirizzi relativi alle caratteristiche strutturali e del personale e alla valutazione degli esiti, rispetto all’attività di trapianto di organi, tessuti e cellule”.