|
|
|
LUNEDI
|
 |
 |
Notiziario Marketpress di
Lunedì 15 Aprile 2013 |
 |
|
 |
STAMINALI: ZAIA, “ADESSO AVANTI TUTTA CON LA SPERIMENTAZIONE. PERSO ANCHE TROPPO TEMPO. LA SANITA’ VENETA PRONTA A ESSERNE PROTAGONISTA” |
|
|
 |
|
|
Venezia, 15 aprile 2013 - “Adesso avanti tutta senza tentennamenti. Il
Veneto ha numerose strutture sanitarie adatte per qualità tecnologica e
scientifica e si candida ufficialmente ad avviare al più presto la
sperimentazione sull’uso delle cellule staminali. Si è perso anche troppo
tempo. Ora, alla luce del decreto Balduzzi che finalmente delinea un cammino
concreto, lavoriamo tutti per dare una speranza alle mamme e ai papà di bambini
tanto malati”.
Lo sottolinea il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia, che
commenta positivamente le aperture contenute nel decreto del ministro della
salute sulle cellule staminali e si dice “umanamente vicino ai genitori che
oggi manifestano a Roma”.
“Da tempo – aggiunge Zaia – sostengo l’opportunità di erogare queste
cure, anche se di tipo compassionevole, a condizione che sia accertata la loro
non nocività. E’ quindi indispensabile che si realizzi al più presto, secondo i
tempi scientifici necessari, una sperimentazione nella quale inserire i bambini
malati. Senza contare – conclude Zaia – che così facendo di fatto li si cura,
ma al contempo si aprono significativi spiragli alla ricerca di terapie sempre
più efficaci per combattere le malattie rare”.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
AOSTA: AL VIA IL PROGETTO EUROPEO INTÉGRATION ET BIEN-êTRE DANS LES ALPES |
|
|
 |
|
|
Aosta,
15 aprile 2013 - L’assessorato della sanità, salute e politiche sociali informa
che mercoledì 17 aprile, alle ore 15, ad Aosta, nella Sala dell’Assessorato, si
svolgerà la riunione di lancio del progetto Interreg Intégration et bien-être
dans les Alpes, cofinanziato dal Programma di Cooperazione transfrontaliera
Italia-francia (Alcotra) 2007-2013.
Il
progetto è stato avviato il 14 gennaio 2013 ed è promosso dalla Struttura
disabilità dell’Assessorato della sanità, salute e politiche sociali, in
qualità di capofila, in partenariato con la Struttura flora, fauna, caccia e
pesca dell’Assessorato dell’agricoltura e risorse naturali, con il Conseil
Général de la Haute-savoie e con l’associazione francese Aapei- Esat Ferme de
Chosal.
Intégration
et bien-être dans les Alpes mira a contribuire all’integrazione sociale delle
persone con disabilità tramite attività ricreative all’aperto, di scoperta
dell’ambiente e dei contesti naturali di montagna promuovendo l’accessibilità e
la fruizione di sentieri e di strutture ricettive adattati alle esigenze dei
destinatari, per vivere la montagna come opportunità e non come vincolo.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
SANITA’: LISTE D’ATTESA; IN VENETO OSPEDALI APERTI PER LA DIAGNOSTICA ANCHE DALLE 20 ALLE 24 E NEI GIORNI FESTIVI E PREFESTIVI. ZAIA, “RIVOLUZIONE CULTURALE CHE GUARDA ALLE ESIGENZE DI 5 MILIONI DI VENETI. E’ UNA SFIDA DELL’INTERA COMUNITA’” |
|
|
 |
|
|
Venezia, 15 aprile 2013 - Ospedali aperti di notte dalle 20 alle 24 per
almeno due giorni alla settimana e nei giorni festivi e prefestivi in Veneto
per rispondere alla stringente necessità di limitare le liste d’attesa. Questa
vera e propria “rivoluzione culturale”, come l’ha definita il presidente della
Regione Luca Zaia, è stata presentata e illustrata oggi alle direzioni
strategiche delle Ullss e Aziende Ospedaliere nel corso di un incontro tenutosi
a Venezia dallo stesso Zaia, affiancato dall’assessore alla sanità Luca Coletto
e dal segretario regionale per la sanità Domenico Mantoan.
La novità, unica in Italia, è stata messa nero su bianco in una
delibera della Giunta regionale e prevede che l’intera rete ospedaliera veneta
debba essere attivata entro il prossimo primo settembre, demandando ai
direttori generali la definizione operativa e organizzativa su base
territoriale. I servizi interessati sono quelli ambulatoriali ma soprattutto
radiologici, per ottimizzare al massimo l’utilizzo prima di tutto dei grandi
macchinari come Tac e Risonanze Magnetiche.
“E’ una nuova filosofia, una vera rivoluzione – ha detto Zaia – che si
rivolge prima di tutto ai 5 milioni di veneti, che sappiamo curare molto bene,
ma che ci chiedono tempi più veloci per gli esami e le visite. Avviciniamo la sanità
alla gente, rendiamo più efficiente l’intero sistema, creiamo una vera e
propria rete di presa in carico del paziente che, attraverso i Centri Unici di
Prenotazione, troverà non solo assistenza per la prenotazione singola, ma anche
per la definizione del percorso di controlli ed esami dopo una fase acuta
passata in ospedale. Il tutto nei tempi più brevi possibili, perché l’obiettivo
tendenziale è quello di chiudere le liste d’attesa o, nel peggiore dei casi, di
ridurle al minimo fisiologico”.
“E’ una sfida dell’intera comunità – ha detto ancora Zaia – che
lanciamo assieme a tutti gli operatori della sanità che hanno dimostrato tanta
disponibilità e senso civico e che ringrazio sin d’ora”.
L’intera operazione sarà finanziata con circa 30 milioni di euro
l’anno, frutto della razionalizzazione di spesa già in atto, destinati al
pagamento del personale e delle spese organizzative. Ai lavoratori, ovviamente,
è garantito il pieno rispetto degli accordi sindacali. Laddove apparisse
necessario, i direttori generali potranno attivare anche nuove assunzioni.
Centrale sarà la funzione del Centro Unico di Prenotazione e del Cup
Manager, la cui attività dovrà essere anche di vera e propria assistenza al
cittadino, fornendo indicazioni e consigli sulla via più breve e comoda da
seguire per ottenere la prestazione. Dovranno anche essere attivati sistemi di
intercettazione delle prenotazioni con tempi di attesa superiori a quanto
prescritto e verifiche immediate se il sistema elettronico dovesse indicare
tempi anomali e realizzata un gestione integrata delle agende che comprenda
anche il privato convenzionato. Ogni direttore generale dovrà realizzare il
“Piano Aziendale Liste Attesa” e attivare un Tavolo di Monitoraggio sulle
attese per visite e prestazioni e per i percorsi diagnostico terapeutici.
“Lo spirito – ha sottolineato da parte sua l’assessore Coletto – è
quello di avvicinare l’ospedale al territorio e dare una nuova grande
opportunità anche a chi lavora ed è costretto a prendersi ferie e permessi per
andare in ospedale negli orari abituali. Senza contare che più si usano i
macchinari e prima si ammortizzano, ottenendo così anche un obiettivo di
ottimizzazione dei costi”.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
IN AUMENTO DONATORI E TRAPIANTI. L´EMILIA-ROMAGNA SI CONFERMA AL DI SOPRA DELLA MEDIA NAZIONALE E TRA LE REALTÀ PIÙ AVANZATE D´EUROPA. I DATI 2012 DEL RAPPORTO CURATO DAL CENTRO RIFERIMENTO TRAPIANTI REGIONALE. |
|
|
 |
|
|
Bologna, 15 aprile 2013 –
Aumentano i donatori utilizzati, i tessuti e gli organi trapiantati in
Emilia-romagna. I dati di attività della Rete regionale di donazione e
trapianto confermano l’efficienza del sistema e registrano risultati al di
sopra della media nazionale.
Nel 2012 i donatori utilizzati sono stati 110 pari a 25,3 per milione
di abitanti (21,8 nel 2011; 18,9 la media nel 2012 a livello nazionale), il
numero complessivo di organi prelevati è stato 315 (23 in più rispetto al 2011)
e, di questi, 283 sono stati trapiantati (l’89,8%, anche in questo caso 23 in
più rispetto al 2011); i tessuti trapiantati in Emilia-romagna sono stati 4.046
(3.353 nel 2011).
Le opposizioni al prelievo sono state 25,3% (inferiori alla media
nazionale, pari a 29,3%).
Durante la presentazione del Rapporto sulle attività di donazione e
trapianto in Emilia-romagna (aggiornato al 31 dicembre 2012) pubblicato dal
Centro riferimento trapianti dell’Emilia-romagna (Crt-er), l’assessore
regionale alle politiche per la salute Carlo Lusenti ha evidenziato che «i dati
sono buoni, tipici di un sistema storicamente solido e di qualità che, anche in
una fase molto difficile come questa di risorse calanti, riesce ogni anno a
migliorare i propri risultati. Resta da parte nostra l’impegno, non solo a
difendere l’esistente, ma introdurre quegli elementi di innovazione che ci
consentiranno di fare ulteriori passi in avanti».
Inoltre, l’assessore Lusenti ha sottolineato che «nel caso dei
trapianti il principale fattore limitante non è la capacità di risposta dei
servizi ma la disponibilità di organi utilizzabili. Infatti il sistema di
espianto e trapianto è costruito proprio per adattarsi a tale disponibilità. Da
qui l’importanza della donazione, una scelta di grande responsabilità».
Lorenza Ridolfi, presidente Airt e responsabile del Centro riferimento
trapianti dell’Emilia-romagna, ha aggiunto che «l’Airt costituisce un sistema
di integrazione interregionale (riunisce Le Regioni Piemonte, Valle d´Aosta,
Emilia-romagna, Toscana, Puglia e la Provincia Autonoma di Bolzano), che ha
permesso di sviluppare, attraverso programmi collaborativi, le attività di
donazione e trapianto nell’area, raggiungendo i livelli delle Regioni più
avanzate d’Europa».
Lusenti ha presentato inoltre una sperimentazione avviata in
Emilia-romagna per favorire la donazione di midollo osseo, il cui trapianto è
molto importante per curare alcune malattie del sangue, come la leucemia.
In alternativa al prelievo di sangue che viene solitamente effettuato
per diventare donatori ed essere quindi iscritti nel registro mondiale, oggi in
Emilia-romagna, prima regione in Italia e tra le pochissime al mondo, viene
proposta anche una modalità meno invasiva: un semplice strisciata, attuata con
una piccola spatola, della mucosa orale; in questo modo vengono prelevate un
po’ di cellule del donatore sulle quali si eseguono gli esami necessari.
Donazione e trapianto in Emilia-romagna - i dati al 31 dicembre 2012 -
Sono stati dunque 110 nel 2012 i donatori utilizzati in Emilia-romagna,
pari a 25,3 per milione di abitanti (pmp). L’età media è stata di 59,1 anni
(era stata di 58,4 anni nel 2011). Il protocollo regionale per la sicurezza del
donatore e la qualità degli organi donati ha consentito di utilizzare con buoni
risultati donatori che solo pochi anni fa non erano considerati idonei dalla
comunità internazionale (di questi, 20 i donatori di età superiore a 75 anni).
Le opposizioni al prelievo sono state il 25,3% (28,4% nel 2011, 27,1%
nel 2010; 29,3% la media nazionale nel 2012). Nel 2012, le fasce di età
pediatrica e tra i 25 e i 34 anni sono quelle dove le opposizioni hanno
raggiunto i livelli più elevati, pur in presenza di numeri bassi, quindi
statisticamente poco significativi.
Rene
Sono stati 149 i trapianti di rene (136 nel 2011) nei tre Centri di
Parma (Ospedale Maggiore), Modena (Policlinico), Bologna (S. Orsola-malpighi).
Di questi 21 i trapianti da donatore vivente consanguineo o affine.
Rispetto alla popolazione regionale, il numero di trapianti di rene è
stato di 29,5 per milione di abitanti, sempre al di sopra della media nazionale
(26,8 pmp). L’indice di trapianto (percentuale di reni impiantati rispetto a
quelli prelevati in regione), che fornisce un riscontro significativo della
qualità del processo di donazione e prelievo, è stato dell’85,9%.
In Emilia-romagna è attiva la lista di attesa unica per il trapianto di
rene, che assicura ogni trapianto al ricevente più compatibile con il donatore
(indipendentemente dalla sede di iscrizione in lista: Bologna, Modena, Parma).
Al 31 dicembre 2012 le persone in lista d’attesa erano 1.171. I tempi medi di
attesa delle persone iscritte in lista sono di poco superiori ai 3 anni. La
sopravvivenza dei pazienti trapiantati in Emilia-romagna a 5 anni dal trapianto
è vicina al 94% (un po’ superiore al dato nazionale, intorno al 92%).
Rispetto alla prevenzione, prosegue il progetto dedicato
all’insufficienza renale progressiva (Pirp): sono 13.755 le persone inserite
nel registro regionale e seguite congiuntamente da nefrologi e medici di
famiglia per ritardarne al massimo, se non evitare, l’entrata in dialisi.
Cuore -
I trapianti di cuore eseguiti dal Centro del S. Orsola-malpighi di
Bologna sono stati 20, di cui 1 combinato con fegato (4,6 per milione di
abitanti).
Il dato è inferiore a quello dello scorso anno (32 trapianti nel 2011,
il numero più alto in Italia) ed è in linea con un complessivo calo a livello
nazionale. Diminuiscono, fortunatamente, i donatori più giovani perché
diminuiscono le morti per trauma da incidente stradale; l’età media dei
donatori, più elevata, ha dunque influenzato il risultato del 2012.
Il programma interregionale “Adonhers”, avviato in Emilia-romagna e
Toscana, ha l’obiettivo di ampliare il numero dei potenziali donatori di cuore
e prevede lo studio dei donatori non ottimali per valutarne meglio l’idoneità,
attraverso l’esecuzione di un’indagine sulla funzionalità dell’organo (eco
stress farmacologico con dipiridamolo) prima della donazione.
L’indice di trapianto è stato pari al 90,9%, a dimostrazione
dell’efficienza del Centro trapianti nell’utilizzo degli organi provenienti
anche da altre regioni. Al 31 dicembre 2012 le persone in lista d’attesa erano
53. I tempi medi di attesa per le persone in lista sono di poco superiori di 1
anno. La sopravvivenza in Emilia-romagna a 5 anni dal trapianto è dell’82,5%
(il dato per l’Italia è 75%).
Fegato -
Sono stati 119 i trapianti di fegato (105 nel 2011), nei Centri di
Bologna (S. Orsola-malpighi) e Modena (Policlinico). Uno di questi trapianti è
stato effettuato con la tecnica split, che permette da un donatore di
effettuare trapianti su due persone. Due trapianti sono stati invece effettuati
con la tecnica “domino” che consente di utilizzare il fegato di una persona
affetta da una malattia metabolica, l’amiloidosi, e sottoposta a trapianto, e
di trapiantarlo in un altro paziente affetto da patologie epatiche in fase
terminale, consentendogli una aspettativa di vita di almeno altri venti anni.
Rispetto alla popolazione regionale, il numero di trapianti è stato di
27,4 per milione di abitanti, che supera i livelli di eccellenza mondiale
(tradizionalmente raggiunti dalla Spagna). L’indice di trapianto si conferma
molto alto: 117,2%, a conferma dell’efficienza dei Centri trapianto regionali
che utilizzano organi non trapiantati per vari motivi in altre regioni.
In Emilia-romagna è attiva la lista di attesa unica per il trapianto di
fegato. Questo prevede l’allocazione di ogni organo donato al ricevente in
condizioni più gravi, indipendentemente dalla sede di iscrizione in lista
(Bologna o Modena). Al 31 dicembre 2012, le persone in lista d’attesa erano
226. I tempi medi di attesa sono di circa 2 anni. La sopravvivenza in
Emilia-romagna a 5 anni dal trapianto è superiore al 70% (paragonabile al dato
italiano).
Polmone -
Sono stati 3 i trapianti di polmone, 1 bipolmonare e 2 singoli,
effettuati al S. Orsola-malpighi di Bologna. Al 31 dicembre 2012 le persone in
lista d’attesa erano 15. Il tempo medio di attesa è di 1 anno e mezzo circa.
Intestino – Multiviscerale -
Nel 2012 non sono stati effettuati trapianti di intestino multi
viscerali. I follow-up delle 50 persone che hanno ricevuto il trapianto negli
anni precedenti sono in linea con i dati internazionali (Bologna è l’unico
Centro nazionale attivo per questo tipo di trapianti).
Tessuti e cellule -
L’attività delle banche regionali dei tessuti ha permesso di
trapiantare in Emilia-romagna 624 corrnee (476 nel 2011) e 82 sclere (membrana
bianca dell´occhio, 57 nel 2011), 16
valvole cardiache (9), 79 segmenti vascolari (67), 174 trapianti di cute
(157), 616 sono stati i trapianti di segmenti ossei massivi (569) e 2.253
quelli di osso lavorato (1.896), 202 (122) quelli di membrana amniotica.
In Emilia-romagna sono stati inoltre eseguiti 118 trapianti allogenici
(erano stati 109 nel 2011) di cellule staminali emopoietiche (fonte delle
cellule il midollo osseo, il sangue periferico o il sangue del cordone
ombelicale donato dalle donne che partoriscono); sono stati inoltre eseguiti
326 trapianti di midollo osseo autologo (cellule dello stesso paziente, erano
stati 384 nel 2011).
Sono state raccolte e certificate dalla Banca regionale 260 unità di
sangue cordonale, pronte per essere utilizzate in bambini affetti da leucemia
in tutto il mondo.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
RAPPORTO LIGURE AIDS, IN AUMENTO LA TENDENZA A PRESENTARSI IN RITARDO ALLA PRIMA DIAGNOSI. CRESCE IL CONTAGIO NELLE ETÀ PIÙ AVANZATE DAI PROSSIMI MESI A TUTTI I RICOVERATI OPERATIVO IL TEST HIV |
|
|
 |
|
|
Genova, 15 aprile 2013 - Ammontano a circa 5.000 le persone in Liguria
con Hiv/aids. In particolare al 31 dicembre 2012 i soggetti affetti da Aids e
notificati erano 3.332, di cui 3.106 residenti in Liguria, mentre nel periodo
2001-2012 le nuove diagnosi di infezione da Hiv sono state 1.384, con
un´incidenza media annua pari a 7,3 per 100.000 abitanti. Un dato quest´ultimo
che, dopo il picco registrato nel 2004 di 9,8 casi per 100.000 abitanti, si è
stabilizzato nell´ultimo triennio con circa 6 casi per 100.000 abitanti. Sono
queste alcune indicazioni provenienti dal report annuale 2012 sull´Aids redatto
dal dipartimento salute della Regione Liguria e presentato l’ 11 aprile dall´assessore
alla sanità, Claudio Montaldo, insieme a Giancarlo Icardi, direttore del
dipartimento di scienze della salute e a Sergio Schiaffino, dirigente del
settore prevenzione, sanità pubblica della Regione Liguria e ai componenti
della commissione regionale sull´Aids/hiv che ricostruisce l´andamento delle
nuove diagnosi da Hiv dal 2001 ad oggi, come raccomandano le organizzazioni
internazionali. Un monitoraggio epidemiologico regionale che comprende i casi
di residenti liguri notificati da strutture cliniche del territorio o da
strutture di altre regioni e che rappresenta uno strumento di valutazione dei
bisogni assistenziali e quindi fondamentale per la programmazione sanitaria.
A fronte dei 1.384 casi di infezione da Hiv segnalati negli ultimi 10
anni, mediamente in Liguria si sono presentate presso i centri clinici 2/3
persone alla settimana a cui è stata diagnosticata per la prima volta una
positività al test anti-Hiv. Le fasce di età più interessate dal fenomeno
risultano quelle tra i 25 e i 34 e tra i 35 e i 44, con percentuali
rispettivamente del 25,9% e del 34,5%, seguono poi le classi di età tra 45 e 54
anni (19,5%) e gli over 55 (12,3%). Risulta inoltre in aumento l´età al momento
della segnalazione di una nuova diagnosi: si è infatti passati da 38 anni di età
media nel 2001 a 42 nel 2012. Per quanto riguarda il sesso in Liguria le nuove
diagnosi hanno riguardato, nel 30% dei casi segnalati nell´ultimo decennio,
soggetti di sesso femminile, mentre, considerando la nazionalità, gli italiani
costituiscono il 77,2% del totale. Risulta evidente una differenza tra maschi e
femmine: i maschi italiani rappresentano l´83% di tutti i maschi, mentre le
donne italiane sono il 62,7% sul totale delle femmine. Ancora una volta si
conferma come la via di trasmissione eterosessuale sia preponderante nelle
donne: costituisce infatti circa l´86% delle nuove diagnosi nei soggetti di
sesso femminile, così come negli individui di sesso maschile i contatti
sessuali (etero e omo/bisessuali) rappresentano la principale modalità d´esposizione,
con valori intorno all´80% del totale.
Una delle principali criticità che ha evidenziato il sistema di
sorveglianza è la tendenza dei soggetti a presentarsi in ritardo alla prima
diagnosi di sieropositività. Una diagnosi tardiva nell´infezione da Hiv, cioè
quando la persona è già in stato avanzato di malattia ha ripercussioni
nell´evoluzione e della prognosi della malattia e facilita un´aumentata
diffusione dell´infezione. Obiettivo della Regione Liguria quello di lavorare
contro la tendenza da parte dei soggetti a presentarsi in ritardo alla prima
diagnosi di sieropositività. "Per questo – ha spiegato l´assessore alla
salute, Claudio Montaldo – nei prossimi mesi renderemo operativa la procedura
di prevedere, per tutti i ricoverati e con la garanzia della privacy, il test
per diagnosticare la sieropositività e rendere così le persone consapevoli del
proprio stato, oltre a consentire di intervenire prima e ridurre così il tasso
di mortalità". Tra i casi di Aids notificati in Liguria, dal 2001 ad oggi,
la maggior parte ha contratto l´infezione per via sessuale, superando quelli da
tossicodipendenza (363 contro 292) e, a partire dal 2005, sono diventati la
prima causa di esposizione, con un rapporto di 3 a 1 nell´ultimo biennio.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
ALLARME PER LA CARENZA DI DONATORI V CONGRESSO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER LA SICUREZZA E LA QUALITÀ NEI TRAPIANTI (FIRENZE 10-12 APRILE 2013) |
|
|
 |
|
|
Firenze,
15 aprile 2013. Mancano i donatori di cuore. Da almeno tre anni a questa parte,
la forbice tra i pazienti in attesa di trapianto per scompenso cardiaco
avanzato e gli organi disponibili si è molto divaricata. I donatori -anche in
una Regione per tradizione generosa come la Toscana- ci sono, ma sono troppo
anziani. E intanto lo scompenso cardiaco si conferma sempre più come uno più
grandi dei big killer al mondo, causa di oltre 100 mila decessi l’anno in
Europa e altrettanti negli Stati Uniti e con oltre 2 milioni di nuove diagnosi
ogni anno. “Gold standard del trattamento è il trapianto cardiaco – ricorda il
dottor Massimo Maccherini, Direttore del Centro Trapianti di cuore della Regione
Toscana (Azienda Ospedaliera Senese) -che però assomma tra Europa e Stati Uniti
non più di 5.000 trapianti l’anno”. “La Toscana – spiega il professor Franco
Filipponi, presidente della Sisqt – rappresenta un’eccellenza nelle donazioni
(è la Regione con il più alto tasso di donazioni di tutta Italia, con 30
donatori per milioni di abitanti), anche grazie al fatto di aver adottato già
dal 1998 il modello spagnolo messo a punto da Rafael Matesanz, direttore
dell’Organizzazione Nazionale Trapianti Spagnoli. Questo modello è sia un hub
telematico (il ‘cuore ‘ del sistema, al Careggi di Firenze, riceve
continuamente input da tutte le Rianimazioni della Regione, relativamente alla
presenza di possibili donatori), che di formazione. Grazie a questo sistema, nel
corso di pochi anni, ci siamo avvicinati agli eccellenti risultati conseguiti
ormai da anni dalla Spagna, che è il Paese con più donatori d’organo al mondo”.
“In Italia – spiega il dottor Maccherini – ci siamo attestati per molti anni
intorno ai 350 trapianti di cuore l’anno; ma negli ultimi 3 anni abbiamo avuto
un progressivo calo delle donazioni utili, perché, come accade in Toscana, è
molto elevata l’età dei donatori, in media circa 70 anni”. Per far fronte al
problema, la Regione Toscana, insieme a quella Emilia Romagna, ha sviluppato un
protocollo di valutazione dei cuori cosiddetti ‘marginali’, cioè con dei
problemi teorici, che potrebbe essere anche solo quello dell’età, o veri e
propri problemi di contrattilità, che non si possiamo conoscere prima. Si
chiama Adonhers (Aged donor heart rescue by stress echo) ed è un test
ecocardiografico di facile esecuzione (è un eco-stress alla dobutamina e
dipiridamolo, che si fa sul candidato donatore in morte cerebrale), che ha
permesso di recuperare un 10% dei donatori che una volta non sarebbero stati
considerati per il trapianto di cuore. “Il test per ora è stato utilizzato solo
in Toscana e in Emilia – spiega il dottor Maccherini – ma da quest’anno il
Centro Nazionale Trapianti l’ha recepito a livello nazionale, per cui verrà
utilizzato in tutta l’Italia”. Messo a punto dai ricercatori del Cnr di Pisa e
del Sant’orsola Malpighi di Bologna, Adhoners
è un test che non ha eguali al mondo.
Questo sistema non solo permette di avere un maggior numero di cuori a disposizione
per il trapianto ma, cosa ancora più importante per la sicurezza del paziente,
certifica che si tratti di cuori in buono stato e non di cuori di ‘seconda
scelta’, anche se prelevati da donatori ‘marginali’.
Finora
la scelta del donatore si è basata sui dati dell’International Society for
Heart and Lung Transplantation, relativi alle curve di sopravvivenza del
paziente trapiantato in base all’età del donatore. La sopravvivenza a 15 anni
di un paziente trapiantato con il cuore di un trentenne è pari al 65%; con un
donatore 60enne, la sopravvivenza a 15 anni è del 35%. L’idea del test Adonhers
è proprio quella di identificare, anche tra i donatori più anziani, quelli con
un cuore valido e senza problemi, per poterlo utilizzare con sicurezza per un trapianto.
Ma la soluzione alla scarsità delle donazioni di cuore non viene solo dai
donatori ‘marginali’, ma anche dalle soluzioni tecnologiche più avanzate.
“Vista la scarsità di organi – spiega Maccherini – tutti i centri trapianti, in
particolare qui in Toscana, si sono spostati, soprattutto nei pazienti con
problemi seri e in lista da tempo, sull’approccio tecnologico, cioè sul
supporto meccanico cardiaco che può essere ‘bridging’, cioè a ponte verso la
soluzione del trapianto, o ‘destination therapy’, cioè definitivo, come vera e
propria alternativa al trapianto. Ed è questa seconda soluzione in particolare
che sta dando risultati molto interessanti. Il supporto meccanico definitivo
(il ‘ventricolo artificiale sinistro’ o Vad, Ventricular Assist Device, oppure
un vero e proprio cuore artificiale) è la scelta obbligata per i pazienti che
non hanno indicazione al trapianto (ad esempio quelli che non trovano un
donatore compatibile o quelli che non possono assumere gli immunosoppressori).
I costi di questi sistemi sono naturalmente elevati (il solo device costa dai
75.000 ai 95.000 euro) ma, nel caso della ‘destination therapy’, sono
praticamente sovrapponibili a quelli di un trapianto cardiaco tradizionale. La
Regione Toscana, quattro anni fa, ha varato un programma specifico per il
supporto dei Vad (la copertura annuale è pari a 550.000 euro l’anno), non
essendo previsto per questi device un rimborso da Drg. Ovviamente, solo il
Centro Trapianti è autorizzato a impiantare i Vad, anche per evitare pericolose
derive dal punto di vista economico. Quest’anno abbiamo festeggiato un paziente
che vive col Vad da 4 anni ed è il più vecchio survivor d’Italia e tra un mese
e mezzo anche un secondo paziente impiantato da noi festeggerà i 4 anni
dall’impianto. Ma nel mondo ci sono anche due casi di sopravvivenza intorno
agli 8 anni”. Il device che viene utilizzato in Toscana, il Jarvik 2000, è
quello che offre i vantaggi migliori anche per la vita di relazione del
paziente perché la pila che lo alimenta (che il paziente tiene in tasca) si
collega con un cavetto ad uno spinotto al titanio posizionato dietro l’orecchio
del paziente. Nei vecchi modelli, l’alimentazione veniva erogata attraverso un
cavetto che usciva dall’addome del paziente (è quello ancora utilizzato negli Usa).
Con il nuovo modello, il paziente può fare la doccia e svolgere una vita di
relazione normale. Ovviamente il paziente con un device meccanico non deve
prendere immunosoppressori, ma solo anticoagulanti, peraltro a dosaggi anche
più bassi di quelli necessari in caso di impianto di una valvola cardiaca
meccanica.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
IL TELEFONO SALVA LA VITA. MA ANCHE… UN VIDEOGIOCO! SEMPRE PIÙ DIFFUSO L’USO DELLE TECNOLOGIE (TELEFONINI E INTERNET) PER MIGLIORARE L’ADERENZA ALLE TERAPIE ANTI-RIGETTO E AD UNO STILE DI VITA SALUTARE. |
|
|
 |
|
|
Firenze,
15 aprile 2013. Il trapianto prolunga la vita e la rende migliore, è insomma
quello che si dice ‘una storia di successo’. Tuttavia la sopravvivenza è strettamente
correlata al lavoro che viene fatto dal team trapiantologico, subito
all’indomani del trapianto. Il primo anno dopo il trapianto è cioè fondamentale
per la sopravvivenza a lungo termine e per il successo stesso del trapianto. E
la parola chiave per il successo è ‘aderenza’: alle terapie immunosoppressive
innanzitutto, che proteggono dal rigetto del trapianto e ad uno stile di vita
adeguato. “Questi pazienti –
ricorda Fabienne Dobbels, Psicologa
presso il Centre for Health Services and Nursing Research dell’Università
Cattolica di Lovanio (Belgio) e membro del gruppo di ricerca internazionale
Leuven-basel Adherence Research Group – dal momento del trapianto, sono
obbligati a prendere una complessa terapia a base di farmaci anti-rigetto a
vita e a seguire uno stile di vita salutare. Che è poi quello che tutti
dovremmo fare: seguire una dieta sana, fare esercizio fisico, non fumare,
assumere alcol con moderazione o addirittura evitarlo”. Non è facile però
seguire alla lettera tutte queste prescrizioni e alcuni pazienti hanno dei
momenti di scoraggiamento e di stanchezza, che li portano ad abbandonare
farmaci e buon senso. L’identikit del paziente a rischio di non aderenza è
complesso, multidimensionale e particolare al tempo stesso. Possono entrare in ballo
fattori di tipo culturale, socio-economico o altri che riguardano la famiglia,
il team trapiantologico, la città o il Paese nel quale vive il paziente.
E
naturalmente l’adolescenza è un importante fattore di rischio di non aderenza.
“Bisogna anche considerare – prosegue la dottoressa Dobbels - che i pazienti
vedono il team trapiantologico per un’ora alla settimana o al mese, mentre il
vero sforzo è quello che viene richiesto loro, nel seguire le prescrizioni 24
ore al giorno, 7 giorni la settimana. Completamente in balia della loro buona
volontà, senza la presenza di medici, infermieri o psicologi. In più, come
tutti sanno, c’è carenza di staff e sovraffollamento negli ospedali; è dunque
sempre troppo poco il tempo che si può dedicare a questi pazienti. Tutto viene
affidato all’autogestione – prosegue la Dobbles – e questa può essere insegnata
e implementata nella pratica quotidiana. In questo possono essere di grande
aiuto le health technologies”. Per e-health, si intendono le Ict (tecnologie
per l’informazione e la comunicazione) applicate alla salute. Si va dalla
telemedicina, alla tele-care (cioè al monitoraggio di una persona anziana che
vive da sola in casa), alla tele-health, definita come uno scambio interattivo
di informazioni tra un paziente e un medico a distanza. “Quest’ultima – spiega
la Dobbels – non solo viene usata per monitorare a distanza e scambiare
informazioni ma anche per fornire feedback, sostenere psicologicamente i
pazienti e supportare i loro comportamenti salutari. “Ci sono diverse opzioni
strumentali: dagli Sms (tutti abbiamo ormai un telefono cellulare) a Internet.
E’ possibile ad esempio mandare un Sms per ricordare al paziente (si fa
soprattutto con i giovani trapiantati) che è ora di prendere le medicine; il
paziente è tenuto a rispondere con un Sms in codice e se non risponde al
messaggio, viene mandato un altro Sms; se non risponde neppure a questo, un
membro del team trapiantologico o il medico stesso cercherà di contattarlo al
telefono. Con gli Sms si possono ricordare ai pazienti i loro appuntamenti, o
anche mandare messaggi ‘motivazionali’ tipo: ‘è meglio che non fumi’, ‘c’è il
sole fuori, perché non esci a fare una passeggiata’, ecc. Ci sono anche programmi su Internet che non servono tanto
ad educare il paziente, quanto a sfruttare la componente di interattività, come
forum, chat rooms, videogame per teenager, gruppi di discussione; altri
programmi infine consentono di avere accesso al proprio medico per ricevere un
consiglio personalizzato”. “Al Mit di Boston – ricorda Sabina de Geest, docente
di Scienze Infermieristiche presso l’Università di Basilea (Svizzera) e presso
l’Università Cattolica di Lovanio – hanno sviluppato una comunità virtuale,
alla quale prendono parte, attraverso un avatar, i pazienti trapiantati in età
pediatrica. Nelle diverse ‘stanze’ della community, i giovani pazienti possono
farsi delle chiacchierate, scrivere delle loro esperienze, raccontare come
vivono l’esperienza del trapianto. In questa fascia d’età inoltre viene dato
sempre più spazio ai videogames, per sviluppare alcuni specifici tipi di
competenze e di conoscenze, che possono essere relative al lavoro in team o
alle soluzioni di situazioni conflittuali. In un videogame, prima di superare
un livello per passare al successivo, devi raggiungere determinati obiettivi;
nel caso dei piccoli pazienti trapiantati la ‘prova’ da superare può essere una
domanda del tipo: ‘cosa devi fare se dimentichi di prendere le tue medicine?’ E
solo azzeccando la risposta corretta, possono accedere al livello successivo”.
“Nell’adolescenza e nelle patologie croniche – ricorda la dottoressa Dobbels –
ci sono tre aspetti da prendere in considerazione: 1) l’adolescente vive in
diversi contesti: come individuo, in famiglia, nella comunità, all’interno di
un contesto sanitario; 2) l’uso delle tecnologie è un elemento che merita
assolutamente di essere integrato nell’approccio di cura che si intende
utilizzare; 3) è assolutamente necessario prendere in considerazione il peer
group, cioè il gruppo dei suoi pari, i suoi amici e coetanei”. “L’adolescenza è
una fase peculiare della vita – prosegue la de Geest – necessaria per diventare
un individuo, attraverso un processo di individuazione e separazione. Ma se hai
una malattia cronica e hai avuto un trapianto, ti ritrovi un carico di
responsabilità e cose da fare sulle spalle, in un momento in cui i ragazzi
hanno solo voglia di fare esperienze nuove e sfidare la vita, infischiandosene
di rischi e pericoli. Naturalmente tutto questo passa anche attraverso una
sfida a tutto ciò che rappresenti l’autorità, dai genitori, agli insegnanti, ai
medici e alle infermiere. Se si vuole avere successo con questi pazienti,
bisogna avere ben chiari tutti questi aspetti e raggiungerli col loro
linguaggio, che passa attraverso la tecnologia (telefonini e internet) e il
gruppo dei loro pari”. “I teenager – conclude la Dobbles -sono di certo la
popolazione più ‘telefonabile’ sulla faccia della terra. Ma in realtà tutte le
persone a rischio di scarsa aderenza alle terapie o agli stili di vita, come
appunto i trapiantati, a qualunque età possono trarre enormi benefici da
programmi che sfruttino la comunicazione attraverso il telefono”.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
CAMPANIA, PIANO DI RIENTRO SANITÀ, RAGGIUNTO EQUILIBRIO ECONOMICO DI BILANCIO. DA ROMA VIA LIBERA ALLO SBLOCCO DI RISORSE PER 287 MILIONI DI EURO - CALDORO: È LA CONFERMA CHE STRADA INTRAPRESA È QUELLA GIUSTA |
|
|
 |
|
|
Napoli, 15 aprile 2013 - Il Tavolo tecnico per la verifica degli
adempimenti regionali e il Comitato permanente per la verifica dei Livelli
Essenziali di Assistenza, riuniti in seduta congiunta, hanno attestato il
raggiungimento dell´equilibrio economico nel bilancio per la sanità in
Campania.
Il Tavolo e il Comitato, nel prendere atto del lavoro svolto dalla
struttura commissariale nell’attuazione del piano dei pagamenti finalizzato
all’estinzione dei debiti pregressi, hanno deciso di sbloccare le risorse
vincolate relative agli anni 2008, 2009 e 2010 per un totale di 287 milioni di
euro.
In attuazione dei decreti commissariali relativi al debito sanitario,
sono stati sottoscritti fino ad oggi 31 accordi quadro per procedure di
liquidazione e pagamento delle posizioni debitorie pregresse delle singole Asl
per un valore di 1.800 milioni di euro, con un risparmio di 150 milioni.
Il Tavolo e il Comitato hanno espresso altresì un giudizio positivo sui
risultati raggiunti con gli interventi relativi alla rete assistenziale
territoriale residenziale e domiciliare, sui notevoli risparmi conseguiti sulla
spesa farmaceutica con l’incentivazioni all’uso e alla distribuzione dei
farmaci a brevetto scaduto e simili, sul superamento delle criticità sul ruolo
di Soresa come centrale acquisti beni e servizi, sul miglioramento operato
nella sanità veterinaria e per la sicurezza degli alimenti.
Infine, su sollecitazione della Regione Campania in merito alla
necessità dell´ulteriore sblocco del turn over per rispondere alle legittime
esigenze delle strutture ospedaliere, Tavolo e Comitato hanno assunto l´impegno
a velocizzare le procedure per le assunzioni.
"I giudizi espressi da Tavolo e Comitato - ha sottolineato il
presidente della Regione Campania Stefano Caldoro - confermano che la strada è
quella giusta.
"Ora è necessario rendere attuativo lo sblocco del turn
over", ha concluso il presidente.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
FIBROMIALGIA: AFFLIGGE 290.000 LOMBARDI. |
|
|
 |
|
|
Milano, 15 Aprile 2013 – Approfondire le cause della fibromialgia, non
solo tra medici e paramedici, ma soprattutto con gli stessi pazienti che ne
sono affetti. Questo il focus dell’Xi Congresso Nazionale dell’Associazione
Italiana Sindrome Fibromialgica Onlus, che si è svolta sabato 13 Aprile, presso
l’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “L. Sacco” di Milano. L’aisf Onlus,
nata oltre 10 anni fa allo scopo di destare maggiore attenzione intorno alla
fibromialgia, patologia a lungo sottodiagnosticata e sottotrattata, anche
quest’anno chiama a raccolta pazienti, comuni cittadini, clinici,
fisioterapisti, psicologi, medici del lavoro e politici per trattare un nuovo
specifico aspetto della patologia.
Solo in Lombardia, la fibromialgia colpisce oltre 290.000 persone – in
linea con la media nazionale che vede una prevalenza del 3% della popolazione –
ed è una malattia prevalentemente femminile, con un rapporto di 1 a 9 tra
uomini e donne, nelle quali l’esordio tende a verificarsi in età
pre-menopausale. Si manifesta come un vero e proprio “assemblaggio di dolori”,
non solo a livello muscolare, ma in tutto quello che “si muove” all’interno
dell’organismo, causando ad esempio sofferenza nel tratto gastrointestinale,
cefalee emicraniche o muscolo-tensive. A questo si sommano stanchezza cronica,
disturbi del sonno e di carattere neuro-cognitivo, a volte problemi degli occhi
che diventano meno fluenti. Spesso la patologia ha un ritardo diagnostico che
può aggirarsi anche in anni; i pazienti consultano diversi medici senza
arrivare a una soluzione, venendo perfino etichettati come malati immaginari.
“Cercheremo di fornire risposte alla domanda fondamentale che si pone
chi soffre di questa malattia ‘perché si diventa fibromialgici?’. Da qui il
titolo stesso del Congresso”, dichiara il dottor Piercarlo Sarzi Puttini,
Presidente Aisf Onlus e Direttore Unità Operativa di Reumatologia A.o. Luigi
Sacco. “La patologia è caratterizzata da una ridotta soglia di sopportazione
del dolore dovuta ad alterazioni a livello di sistema nervoso centrale, che
portano il paziente a sentire dolore anche per stimoli che di solito non
dovrebbero provocarlo. A partire da una predisposizione genetica, molteplici
sono le cause che possono innescare questa condizione: eventi stressanti,
traumi fisici o psichici, depressione, disturbi di personalità o malattie
infiammatorie croniche. Passeremo quindi in rassegna tutti questi aspetti e li
analizzeremo, per contribuire a una migliore conoscenza della sindrome
fibromialgica da parte di chi ne soffre e da parte di chi la deve curare”.
Ancora oggi, in effetti, si evidenzia un forte bisogno informativo
verso questa condizione, non ancora
riconosciuta quale malattia vera e propria, con le difficoltà che ne
conseguono a livello diagnostico-terapeutico. “Sul fronte dei trattamenti
farmacologici, ad esempio, mentre negli Stati Uniti ci sono tre farmaci che
hanno l’indicazione per la fibromialgia
– sottolinea Sarzi Puttini –, in Europa usiamo questi stessi farmaci,
che hanno però indicazione per il dolore cronico diffuso, o sono classificati
come antidepressivi o anticonvulsivanti i quali, con altri meccanismi d’azione,
agiscono sui neurotrasmettitori del dolore innalzandone la soglia. A questo
proposito, di fondamentale importanza è il dialogo che il clinico instaura col
proprio assistito, cui deve spiegare che la prescrizione dell’antidepressivo
avviene non tanto perché lui abbia la depressione, condizione che comunque a
volte si accompagna alla sindrome fibromialgica, ma perché si vuole agire in
senso antidolorifico”.
La comunicazione medico-paziente nell’ambito di un’efficace gestione
della patologia fibromialgica assume quindi un ruolo essenziale. In particolare
nel momento della diagnosi occorre, da parte di chi cura, un intenso sforzo di
ascolto del racconto del malato, dei segni e dei sintomi che riferisce, perché
solo così si può effettivamente individuare la malattia, altrimenti non
rintracciabile secondo parametri organici, marcatori, lastre, esami di
laboratorio. Una diagnosi sbagliata, che spesso attribuisce un’etichetta
infiammatoria al problema, porta poi il paziente a sottoporsi a trattamenti
inadatti. “In Lombardia, grazie anche all’attività di Aisf Onlus, la
fibromialgia viene diagnosticata sempre di più - aggiunge Sarzi Puttini -,
anche dalla medicina del territorio. E per rafforzare l’alleanza di cura con i
pazienti, l’Associazione ha realizzato un manuale rivolto a loro, affinché
possano documentarsi sulla malattia. Noi medici abbiamo infatti una funzione di
‘coach’, dobbiamo supportare il malato nel gestire il proprio percorso terapeutico”.
Questo percorso, oltre al trattamento farmacologico, deve prevedere la
fisioterapia, che aiuta ad innalzare la soglia del dolore, per lo meno per la
parte muscolo-scheletrica, e la terapia psicologica, che permette al paziente
di comprendere meglio le sue problematiche e se ci sono meccanismi di
comportamento che possono essere modificati per migliorare lo stato di salute.
Sono molte quindi le figure professionali coinvolte nella cura della
fibromialgia; solo con questo approccio multidisciplinare è possibile gestirne
la complessità.
La sindrome fibromialgica è, inoltre, una malattia dal pesante impatto
economico: una quota di pazienti viene ricoverata in ospedale, una quota è
gestita in ambulatorio, generando numerose visite e trattamenti terapeutici durante
tutto l’arco dell’anno. “Recenti studi hanno rilevato come il paziente
fibromialgico perde molte giornate di lavoro e alcuni possono arrivare anche a
perdere il posto. Situazioni di questo tipo andrebbero evitate, perché
l’occupazione per il paziente è un’importante fonte di distrazione dai sintomi
e di mantenimento di collegamento con la vita sociale, che altrimenti
rischierebbe di perdersi o di limitarsi all’ambiente familiare”, conclude Sarzi
Puttini.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
DOLORE CRONICO PER 1 CITTADINO SU 4 IN EMILIA ROMAGNA. IL 12 E 13 APRILE A RIMINI, ORTOPEDICI “A SCUOLA” PER IMPARARE A GESTIRLO |
|
|
 |
|
|
Rimini, 15 aprile 2013 – Il 25% degli abitanti dell’Emilia Romagna
combatte, più o meno frequentemente, contro un dolore cronico di origine non
oncologica, che nel 67% dei casi è dovuto ad artrosi e osteoartrosi. La
frequenza e la rilevanza del dolore nelle patologie osteoarticolari fa
comprendere il ruolo centrale dello specialista ortopedico, chiamato sempre più
spesso a gestire nella pratica clinica pazienti che soffrono.
Per formare gli ortopedici a un adeguato trattamento del problema,
Rimini ha ospitato il 12 e 13 aprile il corso di aggiornamento “Ortopedia e
Dolore. Il punto di vista dell´ortopedico e del terapista del dolore”. Alla due
giorni di lavori, che si è tenuta presso l’Hotel Sporting di Viale Amerigo
Vespucci, si parlato nello specifico del dolore correlato a patologie di natura
osteoarticolare.
“Un adeguato trattamento del dolore in ortopedia è essenziale”,
dichiara Giancarlo Caruso, Responsabile dell’Ambulatorio di Terapia del Dolore
dell’Ospedale Bellaria, Azienda Usl di Bologna, tra i relatori dell’evento.
“Sia per il paziente sottoposto a intervento chirurgico, in cui un’efficace
gestione del dolore postoperatorio permette una dimissione anticipata, meno
complicanze e un recupero più rapido; sia per il paziente affetto da dolore
cronico, al quale possiamo restituire una migliore qualità di vita e una
ritrovata capacità lavorativa. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la
stragrande maggioranza dei casi di dolore cronico è di natura non tumorale e
riguarda, nel 50%, persone in età lavorativa. Questo aspetto è fondamentale se
si considera che, in base a recenti dati Inail, solo per il mal di schiena ogni
anno in Italia si arriva a perdere fino a 30 milioni di ore di lavoro”.
La Legge 38 sulla terapia del dolore e le cure palliative, varata nel
marzo 2010, si è proposta di tutelare il diritto a non soffrire per i 15
milioni di italiani con dolore, attraverso un equo accesso a un’assistenza
qualificata e un approccio terapeutico più appropriato. A questo proposito i
farmaci oppiacei rappresentano una valida alternativa per il trattamento del
dolore d’intensità moderata-severa, ma il loro impiego nel nostro Paese è
ancora limitato. Alla luce delle attuali pratiche inerenti la gestione del
dolore cronico in ambito ortopedico, durante il corso si procederà all´analisi
dei fattori limitanti l´applicazione della Legge 38/2010 e alla discussione del
possibile miglioramento della gestione del paziente, mediante l´adeguato
utilizzo delle recenti risorse terapeutiche disponibili.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
TERREMOTO/EMILIA, UN´ORDINANZA COMMISSARIALE COPRE, PER QUASI 3,8 MILIONI DI EURO, LE SPESE DI NATURA SANITARIA EFFETTUATE DAL 20 MAGGIO AL 29 LUGLIO DA AZIENDE SANITARIE E OSPEDALIERE DEL MODENESE E FERRARESE |
|
|
 |
|
|
Bologna, 15 aprile 2013 - Quasi
3,8 milioni di euro per ulteriori spese di natura sanitaria sostenute dalle
aziende sanitarie regionali nel periodo dal 20 maggio al 29 luglio. È quanto
stabilisce un´ordinanza (la numero 47 del 11 aprile 2013) emanata oggi dal
Commissario delegato alla ricostruzione e presidente della Regione Vasco
Errani.
Il provvedimento è consultabile sul sito
www.Regione.emilia-romagna.it/terremoto nella sezione ‘Atti per la
ricostruzione’.
Le ulteriori risorse stanziate (esattamente 3 milioni e 775 mila euro)
con l’ordinanza andranno alle Aziende Usl e Aziende Ospedaliere di Modena e
Ferrara che hanno realizzato gli interventi nelle aree colpite dal sisma.
Il provvedimento, in allegato, elenca ciascuno degli interventi e la
relativa previsione di spesa le cui risorse provengono dal Fondo per la
ricostruzione (l’art. 2, comma 6, del D.l. 74/2012 convertito nella legge n.
122/2012).
L’ordinanza sarà pubblicata sul Bollettino ufficiale telematico della
Regione Emilia-romagna (Burert).
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
CINEMA TEATRO DI CHIASSO: LE VOCI DI VITTORIO GASSMAN E CARMELO BENE PER IL DON CHISCIOTTE DI FRANCO BRANCIAROLI |
|
|
 |
|
|
Chiasso, 15 aprile 2013 - L’attore
e regista Franco Branciaroli porta in scena al Cinema Teatro di Chiasso una
personale rilettura del “Don Chisciotte” di Cervantes giovedì 25 aprile alle
20.30.
Dopo l´originale edizione di
“Finale di partita” in cui il protagonista parlava con la voce dell´ispettore
Clouseau, Branciaroli presenta lo spettacolo tratto dal testo di Miguel de
Cervantes e prodotto dal Ctb Teatro Stabile di Brescia, nel quale sarà
impegnato nel doppio ruolo di Don Chisciotte e Sancho Panza, cui darà,
imitandole, le voci di Vittorio Gassman e Carmelo Bene.
Il vagabondare verbale,
divertente e commovente, dei due mattatori ripercorrerà alcune delle scene più
celebri del grande romanzo picaresco del siglo de oro spagnolo. “Li immagino
nell´aldilà – spiega Branciaroli – mentre confessano che avrebbero sempre
voluto mettere in scena il libro più d´avanguardia che ci sia, il Don
Chisciotte. Li faccio parlare e così, accanto ai personaggi dell´Hidalgo e di
Sancho, riprenderanno vita anche i loro dialoghi, i loro battibecchi, il loro
immaginario”.
Ecco dunque che le “maschere
verbali” dei due grandi protagonisti della scena teatrale italiana, daranno
anche occasione di ritrovare atmosfere di un gran teatro che non c´è più e che
lo stesso Branciaroli, che con Bene ha recitato ai suoi esordi, ha preso per la
coda: “Erano due avversari irriducibili – continua l´attore-regista – ma anche
due artisti che si stimavano. E questa è una cosa che mi commuove”. E
divertimento con un pizzico di nostalgia sarà infatti la temperatura emotiva
dello spettacolo.
Il finale? Non è una vera
fine, cosa che sarebbe pertinente solo con il mondo dell´aldiquà, mentre nel
tempo eterno i nostri due mattatori, e idealmente Branciaroli con loro, possono
ripetere all´infinito, variandola e reinventandola, la rappresentazione.
Prima dello spettacolo, alle
ore 18.15, Franco Branciaroli sarà nel Foyer del Cinema Teatro di Chiasso per
un incontro con il pubblico moderato dal giornalista della Tsi Maurizio
Canetta.
L’incontro fa parte del ciclo
“Prima della recita – Incontri con i grandi protagonisti del teatro”
organizzato dall’Associazione Amici del Cinema Teatro.
Franco Branciaroli -
Artisticamente nato a teatro,
si presenta sul palcoscenico fin da subito come un interprete originale e molto
attento. Studia alla scuola del Piccolo Teatro di Milano dove debutta nel 1970
con “Toller” di Tankred Dorst, per la recita di un autore atipico come Patrice
Chéreau. Trasferitosi a Torino comincia a frequentare uomini illustri del
panorama italiano: Aldo Trionfo, il grande attore e regista Carmelo Bene, Luca
Ronconi e lo scrittore Giovanni Testori. Diretto da Trionfo in diversi
spettacoli, entra definitivamente nel Teatro Stabile di Torino, portando nel
1974 “Gesù” di Carl Theodor Dreyer, passando poi al “Faust - Marlowe –
Burlesque” accanto a Carmelo Bene. Fagocita tutto: da “Romeo e Giulietta” alla
“Turandot”, da Maurizio Scaparro e Luigi Squarzina a Valentina Cortese. Non
contento si mette in luce anche con le sue prime regie teatrali: “La vita è
sogno”, “Peer Gynt” e “Gli spettri”.
Durante gli Anni Novanta,
recita ne “I due gemelli veneziani” per la regia di Ronconi e poi passa, nel
1993, al Teatro Romano di Verona, dove è regista e interprete di opere come “Re
Lear”, “L´ispettore generale”, “La dodicesima notte”, “Macbeth”, “Otello” e
“Medea” (dove veste abiti femminili con un notevole successo). Nel 2000 vince
il premio Ubu come miglior attore protagonista per “La vita è sogno” diretto da
Luca Ronconi.
Uomo di teatro a tutto tondo,
Branciaroli appare di rado sul grande schermo. Lavora nel 1981 con Michelangelo
Antonioni ne “Il Mistero di Oberwald” e con Tinto Brass in cinque
lungometraggi, dal 1984 al 2001. Nel 2007 fa parte del cast del film “I
viceré”, accanto a Lando Buzzanca e Alessandro Preziosi. Nel 2008 è stato Re
Claudio nell´”Amleto” di Shakespeare ancora accanto a Preziosi, successivamente
interpreta un testo di Luca Doninelli nello spettacolo “L´assedio delle
Ceneri”, diretto da Roberto Paci Dalò e curato da Gabriele Frasca per il Napoli
Teatro Festival. Sempre nel 2008 partecipa alla serie tv “I liceali” nel ruolo
di Vittorio Rizzo, padre di uno dei protagonisti.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
NUOVA LINEA DI PRODUZIONE DELL’ANTIMALARICO |
|
|
 |
|
|
Torino, 11 aprile 2013 - Il presidente Roberto Cota è intervenuto l’11
aprile nello stabilimento Sanofi di Garessio per l’inaugurazione della nuova
linea produttiva di artemisinina, ingrediente chiave delle principali terapie
antimalariche che permetterà di aumentare la disponibilità di trattamenti nei
Paesi in cui la malattia è endemica. Grazie ad una nuova tecnica che parte
dall’acido artemisinico sarà possibile solo quest’anno passare dagli 80 a
120/130 milioni di trattamenti antimalarici per altrettanti pazienti,
permettendo di ovviare ai limiti della produzione naturale di artemisinina,
legata alla stagionalità e ai costi della coltivazione della pianta annua da
cui è estratta.
La cerimonia è stata per Cota l’occasione per ribadire che “non
soltanto non dobbiamo arrenderci, e non dobbiamo pensare che il nostro sia un
territorio dove non si può produrre, ma dobbiamo invece rilanciare, puntando su
quelle che sono le nostre specificità, e dunque prodotti che si basano su
ricerca e innovazione. Quando giochiamo su questo terreno, siamo
sostanzialmente imbattibili o quasi, non c’è concorrenza che possa tenere”.
Il presidente ha inoltre messo l’accento sul fatto che “uno
stabilimento come questo tutto sommato non è facilissimo da raggiungere.
Sappiamo che arrivare a Garessio non è come andare sulla tangenziale di Torino
o in una zona facilmente raggiungibile. Questo lo dico perché questi territori
che hanno una vocazione industriale e produttiva vanno valorizzati. Perché
implementare uno stabilimento in un paese così piccolo? Che vantaggio può
avere? Ha lo straordinario vantaggio di realizzare un’integrazione al 100% con
il territorio che di solito dà anche una marcia in più per essere competitivi.
Quando si visitano queste realtà produttive si scopre che sono tutti della
partita e c’è una squadra unica. E di solito quando la squadra è compatta, è anche
vincente”.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
 |
SPENDING REVIEW: SICUREZZA E QUALITA’ DEI TRAPIANTI A RISCHIO? |
|
|
 |
|
|
Firenze,
15 aprile 2013 - Rischio paralisi per il sistema trapianti. La crisi in epoca
di spending review, come tutte le crisi, ha due facce della medaglia, una
negativa e una positiva. “L’aspetto
negativo – afferma il professor Tommaso Bellandi, responsabile della qualità e
sicurezza dell’Organizzazione Toscana Trapianti – è quello legato al fatto che,
riducendosi le risorse a disposizione del Ssn, può diventare più difficile
anche arrivare alla donazione stessa. Nel momento in cui vengono approntati dei
tagli che comportano anche notevoli difficoltà nel sistema
dell’emergenza-urgenza, è chiaro che questo si ripercuote nel settore dei
trapianti, con il rischio di non poter disporre della donazione, neppure da
parte di quei pazienti che avevano dichiarato in vita la propria intenzione a
donare”. Per poter disporre di un
organo, è necessario che funzioni tutto un complesso sistema che va dal
ricovero in rianimazione di un paziente con lesioni cerebrali acute e che la
terapia intensiva sia in grado di segnalarlo come potenziale donatore, nel
momento in cui non sia possibile fare più nulla per salvarlo. Da questo momento
in poi, dovrebbero essere disponibili tutti i servizi di diagnostica, per fare
gli approfondimenti in merito al rischio infettivologico e neoplastico, per
attestare l’idoneità del donatore. Poi il potenziale donatore, se dichiarato
idoneo viene portato in sala operatoria per il prelievo, dove giunge una o più
équipe di prelevatori che può arrivare anche da un altro ospedale e addirittura
da un’altra Regione e questo naturalmente può comportare dei costi molto
elevati. Fatto il prelievo gli organi vanno portati ai centri trapianto e qui
va fatta un’ulteriore valutazione. Nel frattempo il centro trapianti deve
chiamare il ricevente in lista d’attesa. Tutto ciò naturalmente richiede
un’organizzazione estremamente tempestiva, preparata ed efficace a gestire
tutte le fasi che vanno dalla donazione, al trapianto, al follow up del
trapiantato. E attualmente, non esiste una codifica, cioè un Drg relativo al
costo di una donazione. “Con i tagli che sono già stati operati, in particolare
nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro, ma anche nelle altre – denuncia
il professor Bellandi – purtroppo questa operatività in alcuni casi non è più
garantita. Non ci sono ancora numeri ufficiali, ma cominciano ad esserci
diversi casi, in cui non si è arrivati ad una donazione perché la terapia
intensiva non poteva farsi carico di un potenziale donatore, per mancanza di
posti letto o di personale a disposizione per gestirli; o ancora a trapianti
che non sono stati fatti, pur in presenza del donatore, perché non c’era a
disposizione personale per andare a prelevare gli organi e poi trapiantarli. E
qui è il caso di ricordare che anche in questo settore così delicato, abbiamo
ancora tanto personale a contratto, precario, quindi tutto questo comporta
delle notevoli difficoltà”.
Migliorare
l’appropriatezza del sistema per fronteggiare la crisi. Ma la crisi, a ben
vedere, ha anche un aspetto positivo della medaglia. “Questa crisi ci mette di
fronte alla necessità di migliorare l’appropriatezza, garantendo al tempo
stesso la qualità e la sicurezza delle cure e delle cure sostitutive, come è il
caso dei trapianti. Così, partendo da una riflessione comune in molti Paesi
europei, è possibile cogliere questa occasione come un’opportunità per valutare
in modo più stringente sia le strutture dove vengono effettuate le attività di
donazione e trapianto – in particolare la rete delle rianimazioni, i servizi
diagnostica e i centri trapianto – sia come vengono condotti i processi
operativi all’interno di queste strutture”.
Necessario
rivedere i criteri di accreditamento dei vari centri trapianto. Per garantire
la qualità e la sicurezza nei trapianti ci deve essere una rianimazione dotata
di personale competente a gestire in modo efficace la fase dell’individuazione
della morte cerebrale e del mantenimento del potenziale donatore. E’ necessaria
inoltre in quella struttura, la presenza di un coordinamento locale che attivi
la segnalazione della presenza di un potenziale donatore e che proceda a
processare tutti i campioni ematici e istologici necessari per valutare appunto
l’idoneità del donatore. Queste valutazioni devono essere fatte in laboratori
con grandi volumi di attività e personale preparato a fornire delle risposte in
modo tempestivo e corretto. Lo stesso vale il trapianto. “Per quanto attiene ai
centri trapianto – spiega il professor Bellandi – abbiamo indicazioni a livello
nazionale su quelli che devono essere i volumi minimi di attività e quali
debbano essere le verifiche sui dati di outcome (la sopravvivenza del donatore
e degli organi). Ma quello che si potrebbe e si sta iniziando a fare, anche
nell’ambito di questo congresso, è di darsi degli standard ancor più puntuali e
precisi, rispetto sia alle caratteristiche strutturali del personale, alla
preparazione, alle tecnologie e anche sui processi operativi, cioè su come
debbano esser fatte le cose. Ad esempio, avere in un centro trapianti una
checklist del percorso chirurgico, che segua il paziente dal momento
dell’arrivo al centro trapianti, fino alle fasi di rientro dalla terapia
intensiva in reparto e al recupero della sua autonomia funzionale, è un
qualcosa che può aiutare a prevenire una serie di avventi avversi, legati alle
infezioni che il paziente può contrarre, agli errori di terapia, a errori di
tipo chirurgico, come le garze lasciate all’interno del sito chirurgico”.
I
numeri non sono sempre sinonimo di qualità. Ma… Si parla molto dell’importanza
dei volumi di attività ed è indubbio che un maggior numero di prestazioni di
interventi aumenti anche la qualità e la sicurezza degli interventi stessi e
gli esiti del paziente. “E’ difficile però rappresentare quanto i volumi
determino o meno la qualità e la sicurezza – sostiene il professor Bellandi –
perché questo rapporto non è così lineare. Dovremmo fare attenzione più a delle
soglie, sia minime che massime, di volumi. Sono stati pubblicati in proposito
dei lavori molto interessanti. Un recente studio americano ad esempio dimostra
che i volumi di attività sono rilevanti, ma che al di sotto e al di sopra di un
certo numero di interventi, quello che conta è soprattutto la formazione del
personale, l’esperienza degli operatori, la formazione continua, il fatto che
ci sia una supervisione e un sistema di autorizzazione e accreditamento, con
verifiche da parte di soggetti terzi. Anche tutte queste caratteristiche,
insieme ai volumi, contribuiscono a garantire la qualità e la sicurezza. Un
altro elemento importante è anche quello della distribuzione del numero di
intervento tra gli operatori. Perché in un centro ad alto volume, un chirurgo
fa il 90% degli interventi e gli altri si dividono il restante 10%, chi viene
operato dal chirurgo che fa il restante 10%, è come se fosse andato in un
centro a basso volume”.
I
numeri non sono tutto dunque, ma è pur vero che hanno un loro peso. “Quelli del
registro Europeo dei trapianti (Eltr) ad esempio – ricorda il professor Franco
Filipponi, presidente della Sisqt – dimostrano che i centri che superano ogni
anno almeno i 70 interventi l’anno danno maggiori garanzie sul versante della
qualità e la sicurezza. Gli Stati Uniti poi, hanno esplicitato questo concetto,
con una ancora maggior definizione, suddividendo i centri in base al volume dei
trapianti effettuati per anno in tre categorie:
- Alto : 78 – 215 casi all’anno
- Medio: 49 – 77 casi all’anno
- Basso: 5 – 48 casi all’anno
Un’analisi
multivariata, anche in questo caso, dimostra come l’aumento del numero di
procedure eseguite dal centro conferisca un rischio minore di fallimento
dell’organo trapiantato e di morte del ricevente tra la popolazione dei
riceventi di donatori ad alto Dri”.(donor Risk Index – Indice di rischio del
donatore)
Ridurre
il numero dei centri trapianti autorizzati? E’ un argomento scottante. Il
rapporto tra volumi e qualità di processi, sicurezza ed esiti, come visto non è
così lineare. “In epoca di spending review una revisione del sistema andrebbe
fatta, visto che non ci possiamo più permettere gli sprechi e le duplicazioni.
L’importante è che sia fatta mettendo sempre i pazienti al centro, cioè
cercando di garantire una distribuzione dei centri trapianti sul nostro territorio
nazionale, in modo tale da evitare viaggi della speranza, visto che anche
questi stanno diventando difficoltosi, perché alcuni pazienti non hanno più
nemmeno la possibilità di permettersi il viaggio e la permanenza di un
familiare in un’altra città. Bisogna pensare anche a questo, qualora si dovesse
decidere di riorganizzare la rete dei centri trapianti. Tutto dovrebbe essere
fatto nell’ottica di favorire al massimo la collaborazione e semmai anche
l’interscambiabilità del personale tra le strutture, proprio per garantire al
tempo stesso un’adeguata capacità operativa dei centri, sia dal punto di vista
dei volumi, che dell’accreditamento dei processi, che degli strumenti
operativi. E anche un facile accesso ai cittadini-pazienti su tutto il territorio
nazionale.
Definire
dei nuovi standard. Se ne stanno occupando da tempo le società scientifiche,
tra le quali anche la Sisqt. “ Saranno i decisori politici – spiega il
professor Bellandi – a decidere se accreditare le società scientifiche, che poi
potranno essere prese a riferimento per l’emanazione di linee guida, standard,
ecc. Oppure se rispolverare il programma nazionale linee guida dell’Istituto
Superiore di Sanità, come unico contenitore per far convergere le evidenze di
pratica clinica, che diverranno poi riferimento, anche operativo e normativo
per tutti i nostri centri. Il decreto Balduzzi prevede che vengano definite
delle linee guida e che su questo si basi anche la valutazione della sicurezza
dei nostri centri. E’ importante però che ci sia un accreditamento anche di chi
emana queste linee guida e poi anche di chi andrà a valutare i centri. Senza
tutti questi elementi diventa difficile poter superare la modalità attuale di
scelta del centro dove andare a farsi operare, che è soprattutto quella della
‘reputazione’ dei centri. “La Sisqt chiede a gran voce – afferma il professor
Franco Filipponi – un’accelerazione del processo di ridefinizione degli
standard di qualità per i trapianti e di capire chi deve fare che cosa. Ci
proponiamo anche come riferimento per tutto quanto riguardi la sicurezza e la
qualità nei trapianti. Un riferimento forte, competente, per condividere con
tutti gli operatori e le strutture del nostro Ssn una serie di indirizzi
relativi alle caratteristiche strutturali e del personale e alla valutazione
degli esiti, rispetto all’attività di trapianto di organi, tessuti e cellule”.
|
|
|
|
|
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|