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Notiziario Marketpress di Lunedì 02 Luglio 2012
LE PRESTAZIONI SCADENTI DEI SITI WEB SCORAGGIANO GLI ACQUISTI ONLINE DI CHI UTILIZZA UN TABLET  
 
Uno studio globale rivela che il 70% degli utenti di tablet si aspetta che un sito venga caricato in meno di due secondi e che nel 46% dei casi un’esperienza negativa li porterà sui siti di aziende concorrenti Compuware, multinazionale leader nel mercato software e servizi per la gestione e il funzionamento ottimale delle applicazioni It, ha pubblicato i risultati del primo studio globale riguardante le aspettative che gli utenti tablet nutrono rispetto alle prestazioni web. La ricerca rivela che chi fa uso di dispositivi di ultima generazione si aspetta molto dai siti web in termini di performance prestazioni: secondo la survey, un terzo degli intervistati è poco propenso all’acquisto di prodotti online di aziende che non soddisfano queste aspettative. Gli utenti tablet vorrebbero che i siti web lavorassero in maniera ottimale. Le loro prospettive sono state in parte condizionate dalla potenza dei pc con veloci reti e dalla presenza di aziende forti come Amazon e Google, impegnate nel fornire siti altamente performanti, su qualunque piattaforma. Tuttavia, il nuovo studio intitolato ‘Engaging the Table User: What They Expect from Websites’ riferisce che quattro utenti tablet su dieci hanno riscontrato problemi con l’accesso ai siti web, con le loro funzioni, sperimentandone anche il crash. Tra questi, due terzi hanno inoltre lamentato la lentezza del caricamento. Altri risultati emersi della ricerca sono: Prestazioni web scadenti sui tablet incidono sul profitto. · Un’esperienza web scadente porterà il 46% degli utenti tablet sui siti di aziende concorrenti; il 35% difficilmente visiterà da un’altra piattaforma lo stesso sito web; il 33% sarà scoraggiato nell’acquisto di prodotti di quell’azienda. · Circa la metà degli utenti tablet che riscontrano problemi riguardanti l’accesso tornerà su un sito web solo una o due volte. Le aspettative degli utenti tablet sulle prestazioni web sono elevate. · Circa il 70% degli utenti tablet si aspetta che un sito web si carichi in meno di due secondi. I problemi sui siti web sono comuni tra gli utenti tablet. · Tra i problemi segnalati dagli utenti, il tempo di caricamento è il più citato (66%), seguito dal crash dei siti (44%), da problemi con le funzioni dei siti (42%), e con il formato dei siti (40%). “Consumatori e aziende utilizzano dispositivi tablet per ogni cosa: dalla navigazione web ai social network, alle applicazioni aziendali mission-critical che aumentano la produttività dei dipendenti e incrementano i ricavi” ha dichiarato Massimo Zompetta, Regional Director South Emea di Compuware “Tuttavia, secondo i risultati della ricerca, le aziende non soddisfano le aspettative degli utenti tablet sulle prestazioni web. Chi fa uso di dispositivi di ultima generazione in genere tende a spendere molto di più per acquisti online, dunque le aziende che sottovalutano le esigenze di questi utenti lo fanno a loro rischio e pericolo”. Compuware, The Technology Performance Company, mette a disposizione delle imprese soluzioni software, esperienza e best practice per garantire il funzionamento ottimale delle applicazioni e garantire valore al business. Compuware supporta i Cio nell’ottimizzare le prestazioni delle applicazioni end to end di organizzazioni leader in tutto il mondo, incluse 46 delle prime 50 aziende classificate da Fortune 500. Per ulteriori informazioni su Compuware, visita il sito www.Compuware.com    
   
   
CYAN NETWORKS ANNUNCIA UN NUOVO ACCORDO DI DISTRIBUZIONE CON DOTFORCE  
 
La soluzione Secure Web è ora disponibile per il mercato delle medie imprese e per il settore scolastico. Cyan Networks, azienda specializzata nello sviluppo di web content gateway per la gestione del traffico Internet di aziende e istituzioni, annuncia di aver siglato un accordo per la distribuzione delle proprie soluzioni con Dotforce, azienda che vanta un’esperienza pluriennale nel settore della distribuzione di soluzioni innovative di Information & Communication Technology a livello nazionale. In base all’accordo, Dotforce distribuirà per Cyan Networks Secure Web, web content gateway di nuova generazione che offre l’analisi approfondita dei contenuti del traffico web garantendo non solo la sicurezza, ma anche la produttività e la salvaguardia degli asset It aziendali. L’accordo nasce da un progetto che intende proporre questa soluzione al mercato della media impresa, che appare oggi scarsamente sensibilizzato e incentivato all’utilizzo di soluzioni di filtro e gestione dei contenuti web fruibili dagli utenti aziendali. In una realtà in cui le medie imprese vengono scoraggiate dagli elevati costi di acquisizione e gestione delle soluzioni esistenti, Cyan Networks si propone come alternativa vincente, offrendo un prodotto che coniuga funzionalità e accessibilità in un vantaggioso rapporto qualità/prezzo. “Questa visione è perfettamente in linea con la nostra filosofia, che ci porta a proporre soluzioni in grado di tutelare la sicurezza e la privacy di aziende, persone, dati e applicazioni in un mondo It mobile e sempre connesso, aumentandone la produttività e riducendo i costi operativi e di gestione”, spiega Fabrizio Bressani, Amministratore di Dotforce. “L’ accordo concluso con Cyan Networks ci dà la possibilità di introdurre in un segmento nuovo del mercato una soluzione progettata per soddisfare le necessità attuali e future delle aziende.”. Grazie alla partnership con Dotforce, Cyan Networks avrà inoltre la possibilità di far conoscere i propri prodotti a mercati verticali come quello della scuola e dell’università. Il team di Dotforce sfrutterà infatti la particolare politica commerciale di Cyan per andare incontro alle esigenze del mercato education, spesso costretto a confrontarsi con i limiti imposti da un budget contenuto, che permette a scuole e università di implementare un accesso a Internet doverosamente filtrato da contenuti inappropriati. “Questa collaborazione rappresenta un’occasione unica per allargare il nostro bacino di utenza”, commenta Maurizio Caltabiano, General Channel Manager Italy & Switzerland di Cyan Networks. “Secure Web è una soluzione perfetta per la realtà delle medie imprese e siamo certi che il team di Dotforce saprà metterne in risalto le potenzialità. La possibilità di rivolgerci al mercato della scuola e dell’università, inoltre, ci mette di fronte a una sfida nuova che si tradurrà certamente in un’interessante possibilità di crescita e sviluppo”. ### Cyan Networks Software è una società viennese nata dal gruppo di sviluppatori di Csm, team dal grande knowhow Unix e Linux che negli anni 90 ha occupato un importante posto nell´ambito della security, sviluppando i proxy server per Sun Microsystems, Netscape e Nokia. Cyan sviluppa e commercializza Secure Web, potente content web gateway di nuova generazione completo, flessibile e scalabile per la gestione del traffico Internet di aziende, istituzioni educazionali e governative. La società, con sedi in Germania, Polonia, Uk, Italia e Russia, può contare su partnership tecnologiche di fama mondiale quali Eset, Underground8 e Pyramid. Www.cyan-networks.com  **** Dotforce Dotforce è un punto di riferimento in Italia, Spagna e Portogallo per le aziende alla ricerca di soluzioni di It security innovative. Le soluzioni distribuite da Dotforce hanno raggiunto significativi traguardi tecnologici, che si traducono nell’abilità di offrire benefici tangibili a tutti i livelli aziendali, nella convenienza e nell’elevata qualità. Dotforce si focalizza sulla protezione di dati e applicazioni, e sul miglioramento della produttività e della sicurezza. Dotforce offre una vasta gamma di servizi che includono la formazione dei partner, supporto pre e post vendita, servizi professionali. Www.dotforce.it    
   
   
NUOVO LOOK PER IL SITO ITALIANO DI PANDA SECURITY, ANCORA PIÙ INTUITIVO E RICCO DI UTILI STRUMENTI PER UTENTI E PARTNER  
 
Panda Security, The Cloud Security Company, leader nelle tecnologie dedicate alla protezione dalle minacce di Internet, rinnova il proprio sito italiano con numerose funzioni studiate per offrire a utenti e partner una navigazione ancora più agile e intuitiva, oltre a un ricco menù di servizi riservati. Con un look sempre più accattivante, il sito di Panda rappresenta un utile strumento per tutti coloro che desiderano conoscere e approfondire le tecnologie messe a disposizione dall’azienda per rispondere in modo adeguato alle differenti esigenze di protezione. Gli utenti potranno non solo consultare data sheet e schede tecniche per scoprire i benefici offerti, ma anche effettuare prove con le versioni trial per verificare l’efficacia delle differenti soluzioni, cloud e tradizionali, e testarne le capacità per una futura implementazione aziendale. Aggiornata anche l’area dedicata ai partner che, previa registrazione, potranno accedere alla sezione del programma di canale Panda Partner Program nella quale reperire informazioni utili per lo sviluppo di nuove opportunità di business. Per quanto riguarda il fronte consumer, è sempre attiva l’area di e-commerce che permette l’acquisto e il rinnovo direttamente online di tutte le soluzioni della gamma, oltre a contenere un link diretto al supporto tecnico disponibile su base continuativa in modalità 24/7. “Come noto, la presenza sul Web costituisce un elemento fondamentale a supporto del business, e poter disporre di un sito agile e immediato da utilizzare ci aiuta a rispondere in maniera sempre più tempestiva alle esigenze di clienti e partner,” commenta Alessandro Peruzzo, Amministratore Unico di Panda Security in Italia. “Le diverse sezioni del sito permettono di rivolgersi con maggiore precisione a tutte le numerose tipologie di utenti, che sono così certi di trovare tutte le informazioni necessarie per trarre il massimo dalle soluzioni Panda Security”. Per ulteriori informazioni www.Pandasecurity.com/italy. Panda Software Italia Panda Software Italia (www.Pandasecurity.com), fondata nel 1997 e facente parte del Gruppo Peruzzo Multimedia Company, è un´azienda focalizzata nelle soluzioni software antivirus e content security. Country Partner della multinazionale Panda Security International propone soluzioni altamente tecnologiche per tutte le tipologie di clienti. Dall´utente domestico alla grande azienda, le soluzioni sono scalabili ed utilizzabili su Lan/wan di qualsiasi dimensione. Dal maggio 2005 Panda Security è partner dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori. Panda Security International Panda Security (www.Pandasecurity.com ) è una multinazionale europea leader nello sviluppo e nella commercializzazione di soluzioni di sicurezza integrata per combattere virus, hacker, Trojan, spyware, phishing, spam e tutte le altre minacce provenienti da Internet. Con le rivoluzionarie Tecnologie Truprevent e con il nuovo approccio dell’Intelligenza Collettiva i prodotti di Panda Security offrono un eccezionale ritorno sull’investimento, mantenendo i clienti protetti anche da malware sconosciuto e latente. Pandalabs, tra i laboratori più rapidi nel fornire aggiornamenti completi, offrono una risposta al malware a livello mondiale, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le soluzioni di sicurezza di Panda Security, gestite centralmente, proteggono server, gateway e tutti i punti di accesso alle reti assicurando una linea efficiente ed effettiva di difesa contro le minacce di Internet per aziende di qualsiasi dimensione  
   
   
RICERCA SYMANTEC: LE INFORMAZIONI DIGITALI COSTANO 1.1 TRILIONI DI DOLLARI ALLE AZIENDE - LE AZIENDE ANCORA FATICANO A PROTEGGERE LE INFORMAZIONI IN MANIERA EFFICIENTE  
 
Symantec ha annunciato che il costo sostenuto dalle aziende di tutto il mondo per le informazioni è pari a 1.1 trilioni di dollari l’anno in base ai dati emersi dalla prima State of Information Survey. Dalle informazioni riservate sul cliente, alle proprietà intellettuali, alle transazioni finanziarie, le aziende sono in possesso di un’enorme quantità di informazioni che non solo permettono loro di essere competitive ed efficienti , ma anche di restare in attività. La ricerca ha infatti rivelato che le informazioni digitali rappresentano il 49% del valore totale di un’azienda. "La grande quantità di informazioni che le aziende producono oggi può aiutarle a servire meglio i propri clienti, oltre che ad aumentare la produttività. Tuttavia, le stesse informazioni possono anche diventare un rischio importante se non vengono protette in maniera adeguata. Le aziende che utilizzano le informazioni in maniera efficace avranno un vantaggio competitivo significativo rispetto a quelle che non sono in grado, e in alcuni casi questo può fare la differenza tra il successo e il fallimento,” ha affermato Francis deSouza, group president, Enterprise Products and Services, Symantec Corp. “Visto il costante aumento del valore e dei costi legati alle informazioni, le aziende di successo troveranno il modo per proteggere più efficacemente le proprie informazioni e per incentivare la produttività da esse generata.” Le aziende di ogni dimensione hanno a che fare con enormi quantità di dati. La dimensione totale delle informazioni archiviate oggi da tutte le aziende è di 2.2 zettabytes. Le piccole e medie imprese (Pmi) gestiscono in media 563 terabyte di dati, rispetto alla media delle aziende di fascia enterprise che ammonta a 100.000 terabyte. La ricerca rivela, inoltre, che le informazioni sono destinate a crescere del 67% nel prossimo anno per le grandi aziende e del 178% per le Pmi. In media, le aziende di fascia enterprise spendono 38 milioni di dollari all’anno per le informazioni, mentre le Pmi ne spendono 332.000. Tuttavia, il costo annuo per dipendente delle Pmi è molto più elevato e ammonta a 3.670 dollari, rispetto ai 3.297 dollari delle aziende di fascia enterprise. Ad esempio, una tipica piccola impresa da 50 dipendenti spende 183.500 dollari nella gestione delle informazioni, mentre una tipica grande impresa con 2.500 dipendenti spenderebbe 8.2 milioni di dollari. Le conseguenze legate alla perdita di informazioni aziendali sono disastrose. “Ci troveremmo nella situazione di dover interrompere le operazioni per almeno un paio di anni prima di tornare in pista”, ha dichiarato un manager It di una società di ingegneria di grandi dimensioni interpellato in merito alle eventuali conseguenze legate alla perdita di informazioni aziendali. Gli intervistati hanno evidenziato l’impatto della perdita di dati sul loro business, con risultati come la perdita di clienti (49%), danni al brand e alla reputazione (47%), calo del fatturato (41%), crescita delle spese (39%) e caduta del prezzo delle azioni (20%). Considerata la posta in gioco, la protezione delle informazioni dovrebbe essere una priorità, ma le aziende in realtà fanno ancora fatica. Nel corso dell’ultimo anno, il 69% delle aziende ha vissuto una qualche forma di perdita delle informazioni per una serie di ragioni come errori umani, problemi di hardware, violazioni alla sicurezza o perdita e furto di dispositivi. Inoltre il 69% ha subito un’esposizione di informazioni confidenziali al di fuori dell’azienda, e il 31% ha riscontrato problemi di conformità legati alle informazioni. Un’altra sfida è rappresentata dal quantitativo di informazioni duplicate archiviate dalle aziende: in media il 42% dei dati è duplicato. Anche l’uso dello storage è basso con solo il 31% all’interno del firewall e il 18% al suo esterno. Questi rischi e inefficienze messi assieme comportano un spesa aziendale superflua per l’archiviazione e la protezione delle informazioni. Un problema chiave indicato dal 30% delle aziende è l’esplosione delle informazioni - l’inarrestabile crescita delle informazioni che sono disorganizzate, difficili da consultare e spesso duplicate da qualche altra parte. Per aiutare le aziende a proteggere in maniera più efficace le proprie informazioni, Symantec suggerisce di: · Porre l’attenzione sulle informazioni, non sul dispositivo o sul data center: Con il trend del Byod e del cloud, le informazioni non sono più racchiuse tra le pareti aziendali. La protezione deve essere focalizzata sulle informazioni, non sul dispositivo o sul data center. · Non tutte le informazioni sono uguali: Le aziende devono essere in grado di separare le informazioni inutili da quelle di valore per il business e proteggerle di conseguenza. · Essere efficienti: Deduplica e archiviazione possono aiutare le aziende a proteggere di più e archiviare meno per far fronte alla crescita esponenziale dei dati. · La chiave è la coerenza: E’ importante impostare delle policy coerenti per le informazioni, policy che possano essere messe in atto indipendentemente da dove siano le informazioni…. Su ambienti fisici, virtuali e nel cloud. · Rimanere agili: Pianificare in base alle esigenze future delle informazioni implementando un’infrastruttura flessibile per supportare una crescita continua. Informazioni su Symantec: http://www.Symantec.com/it/it/business/    
   
   
SCOPERTO DAI RICERCATORI ESET UN NUOVO PERICOLOSO MALWARE PER LO SPIONAGGIO INDUSTRIALE  
 
Un nuovo caso di sospetto cyber spionaggio industriale è stato individuato dai ricercatori di Eset Nod32, uno dei grandi produttori mondiali di soluzioni per la sicurezza informatica: si tratta del worm Acad/medre.a, che sottrae dai Pc infetti progetti di design creati con Autocad e li invia in Cina, attraverso account email creati ad hoc sui provider cinesi 163.Com e qq.Com. Per ora l’area geografica interessata dal furto delle informazioni è l’America Latina – in particolare il Perù – ma si ipotizza che il malware possa diffondersi a livello globale, diventando una seria minaccia sia per le istituzioni pubbliche che per il settore privato. Al momento della scoperta erano già decine di migliaia i progetti Autocad trafugati. “Acad/medre.a rappresenta un pericoloso caso di sospetto spionaggio industriale, in quanto i nuovi progetti di design presenti sui Pc infetti vengono inviati automaticamente ai cybercriminali, i quali possono appropriarsi della proprietà intellettuale del progetto prima che ne venga registrato il brevetto o che entri in produzione, provocando considerevoli perdite economiche per i legittimi proprietari”, ha dichiarato Righard Zwienenberg, ricercatore senior Eset. Per frenare la trasmissione del virus, Eset ha lavorato con Tencent (proprietario del dominio qq.Com), con Autodesk (creatore di Autocad) e con il National Computer Virus Emergency Response Center cinese. Grazie ad una rapida azione coordinata, gli account usati per trasmettere le mail, contenenti i progetti trafugati, sono stati bloccati, prevenendo così ulteriori fughe di informazioni. Eset ha creato un cleaner gratuito per bonificare i Pc da questo worm, scaricabile dal sito www.Nod32.it . I ricercatori Eset hanno rilevato che il più alto numero di infezioni si è riscontrato in aziende che lavorano con la pubblica amministrazione peruviana, che potrebbe essere il principale bersaglio dei creatori di Acad/medre.a. Eset sta lavorando con le autorità locali per bonificare i siti infetti. La scoperta di Acad/medre.a è stata possibile grazie a Eset Livegrid, un sistema di raccolta informazioni sui malware basato su tecnologia Cloud che utilizza i dati provenienti dagli utenti delle soluzioni Eset di tutto il mondo. Grazie a questa tecnologia è possibile individuare le minacce con grande precisione e ottenere una maggiore velocità di scansione  
   
   
MILANO (PALAZZO GIURECONSULTI): CREATIVITÀ PER COMPETERE - CREATIVE BUSINESS E POLITICHE PER IL LORO SVILUPPO - 3 LUGLIO 2012 ORE 14.30  
 
Provincia di Milano e Camera di Commercio sono liete di invitarla all’incontro sul tema della creatività, per esplorare insieme quali sono oggi le azioni necessarie a promuovere e sostenere la crescita delle imprese culturali e creative. Esperienze internazionali, strategie di supporto e policy attuate nel Regno Unito, in Finlandia, Cina, Cile, a Toronto e New York saranno presentate dai ricercatori che hanno studiato queste realtà durante uno stage di tre mesi nell’ambito del progetto “Professione Creatività”. Attraverso casi concreti verranno presentati i modelli di business di alcune famose imprese analizzate dallo studio “Competere con i Creative Businesses” del Politecnico di Milano. Infine, i rappresentanti delle principali istituzioni discuteranno il loro ruolo per il sostegno delle imprese creative oggi. La partecipazione è libera, previa iscrizione a imprese.Creative@mi.camcom.it  maggiori info: www.Provincia.milano.it/economia  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL REGIME ITALIANO SUL RIALLINEAMENTO FISCALE APPLICABILE AL SETTORE BANCARIO, ISTITUITO NEL 2004, COSTITUISCE UN AIUTO DI STATO ILLEGITTIMO CHE DEVE ESSERE RESTITUITO DAGLI ISTITUTI BANCARI  
 
Tale regime implica un vantaggio selettivo, non giustificato dalla natura del sistema fiscale La normativa europea relativa al regime fiscale comune delle fusioni, scissioni, conferimenti di attivi e scambi di azioni di società situate in due o più Stati membri ha previsto un regime di neutralità fiscale in caso di conferimenti di attivi tra società. Il meccanismo di «disallineamento fiscale» o di «neutralità fiscale» consiste, nel caso di un’operazione di conferimento di attivi, nel non adeguare immediatamente il valore fiscale al valore contabile. Per contro, il meccanismo di «riallineamento fiscale» è un’operazione fiscale consistente nell’adeguare il valore fiscale degli attivi al loro valore contabile ed introduce il riconoscimento della plusvalenza fiscale risultante dal conferimento il quale viene, quindi, assoggettato ad imposta. Nel 1990, la normativa italiana prevedeva che il conferimento di attivi fosse assimilabile, sul piano fiscale, alla cessione di attivi ed era soggetto ad imposta sulla plusvalenza (differenza tra il valore contabile dell’attivo conferito ed il suo valore fiscale). Inoltre, la legge n. 218/90 perseguiva l’obiettivo di razionalizzare le attività bancarie in Italia e, in particolare, di consentire agli istituti bancari pubblici di assumere la forma di società per azioni. Al fine di agevolare tali operazioni, detta normativa prevedeva un regime di neutralità fiscale parziale a concorrenza dell’85% della plusvalenza realizzata al momento del conferimento degli attivi bancari. Tale regime di neutralità fiscale parziale implicava un doppio disallineamento, tanto a livello degli attivi conferiti (nella contabilità delle società beneficiarie dei conferimenti), quanto delle azioni ricevute in cambio (nella contabilità degli istituti conferenti). Gli istituti conferenti erano immediatamente assoggettati ad imposta sul restante 15% della plusvalenza, all’aliquota ordinaria di imposizione sulle società. Una legge del 1993 ha successivamente imposto agli enti pubblici del settore bancario di cui lo Stato detenesse il fondo di dotazione di assumere la forma della società per azioni. Nel 2000 è stato poi istituito un regime di rivalutazione contabile degli attivi ed un regime di riallineamento fiscale ai valori contabili per le società di cui alla legge n. 218/90 nonché per le altre società . Le leggi finanziarie del 2002 e del 2004 hanno prorogato il regime di rivalutazione e di riallineamento istituito nel 2000. Tuttavia, la legge finanziaria del 2004 non ha prorogato il regime di riallineamento fiscale per i conferimenti di attivi di società al di fuori di quelli operati nell’ambito della legge n. 218/90. Nel 2008 la Commissione ha adottato una decisione , secondo cui i regimi di riallineamento fiscale istituiti nel 1990, nel 2000 e nel 2001 costituivano misure fiscali generali giustificate dalla logica del sistema. Esse non potevano essere qualificate come aiuti di Stato. Infatti, l’imposta sostituiva era applicabile secondo le stesse modalità a tutte le società, a prescindere che esse fossero bancarie o meno. Per contro, la Commissione ha rilevato che la legge finanziaria del 2004 – peraltro non notificatale – non costituiva una misura generale, in quanto riservava dei vantaggi a taluni istituti di credito, nell’ambito delle sole riorganizzazioni attuate in applicazione della legge n. 218/1990. Gli altri istituti di credito e le altre società non avrebbero potuto beneficiare di tale regime di riallineamento fiscale. Conseguentemente, la Commissione ha ritenuto che il regime applicabile al settore bancario implicasse un vantaggio selettivo che si ripercuoteva sul miglioramento della competitività di talune imprese, non giustificato dalla natura del sistema fiscale italiano. Conseguentemente, tale regime costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune, illegittimamente attuato dall’Italia, aiuto che doveva essere quindi recuperato nei confronti delle banche beneficiarie. Con sentenza pronunciata nel 2010 , il Tribunale ha respinto la domanda di annullamento della decisione della Commissione proposta dalla Bnp Paribas e Bnl, beneficiarie dell’aiuto di Stato in questione. Con l’impugnazione proposta dinanzi alla Corte di giustizia, la Bnp Paribas e la Bnl contestano, in particolare, al Tribunale di non aver verificato se il regime fiscale controverso fosse, o meno, giustificato dalla natura e dall’economia generale del sistema fiscale italiano. La Corte ricorda che la nozione di aiuto di Stato ha carattere giuridico e deve essere interpretata sulla base di elementi obiettivi. Per tale ragione, il giudice dell’Unione deve esercitare, tenuto conto degli elementi concreti della causa e del carattere tecnico delle valutazioni effettuate dalla Commissione, un controllo completo delle misure nazionali. La Corte ritiene che il Tribunale, non avendo esercitato un controllo completo sulla questione se il regime di riallineamento fiscale costituisse un aiuto di Stato, è incorso in un errore di diritto: la sentenza impugnata dev’essere conseguentemente annullata. La Corte ritiene, tuttavia, che lo stato degli atti consenta la decisione della controversia. Essa ha quindi esaminato l’argomento, dedotto dalla Bnp Paribas e dalla Bnl dinanzi al Tribunale, secondo cui il regime fiscale controverso risulterebbe giustificato dal complesso del sistema fiscale italiano. La Corte rammenta, a tal riguardo, che la nozione di aiuto di Stato non riguarda i provvedimenti statali che stabiliscono una differenziazione tra imprese, qualora tale differenziazione risulti dall’economia del sistema in cui tali provvedimenti si collocano. La Corte rileva che la normativa italiana ha successivamente istituito due regimi distinti di neutralità fiscale sulle plusvalenze realizzate a seguito di operazioni di conferimento di attivi tra società, l’una dell’ambito della ristrutturazione del settore bancario e l’altra per le operazioni di conferimento di attivi in cambio di azioni realizzate tra le altre società. Nel 1995 è stato istituito un regime di riallineamento fiscale riservato alle plusvalenze generate da operazioni di conferimento di attivi in cambio di azioni realizzate nell’ambito della ristrutturazione del settore bancario. La Corte riconosce che i regimi di riallineamento previsti dalle leggi nn. 342/00 e 448/01 consentivano di riconoscere le plusvalenze realizzate a fronte del versamento di un’imposta sostitutiva uniforme per tutte le imprese e potevano essere considerate quali misure fiscali generali, giustificate dalla logica del sistema fiscale italiano. Per contro, la legge finanziaria del 2004 ha prorogato il regime solamente per le società beneficiarie dei conferimenti di attivi a seguito di operazioni realizzate nell’ambito della legge n. 218/1990. Il governo italiano ha d’altronde riconosciuto che il regime procurava un vantaggio fiscale per gli istituti bancari, mentre le altre società non potevano più beneficiarne. Conseguentemente, la Corte dichiara che il regime fiscale controverso previsto a favore degli istituti bancari non era giustificato dalla logica del sistema fiscale italiano e respinge, quindi, i ricorsi della Bnp Paribas e della Bnl. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 21 giugno 2012, Sentenza nella causa C-452/10 P, Bnp Paribas e Banca Nazionale del Lavoro Spa (Bnl) / Commissione)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA DETRAZIONE DELL´IVA NON PUÒ ESSERE NEGATA, IN LINEA DI PRINCIPIO, A CAUSA DI IRREGOLARITÀ COMMESSE DALL’EMITTENTE DELLA FATTURA  
 
Tuttavia, tale detrazione deve essere negata se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l´operazione invocata per fondare il diritto a detrazione rientrava in un´evasione Secondo la direttiva in materia di Iva, le imprese, in via generale, possono detrarre l´importo dell´Iva da esse già assolta a monte al momento dell´acquisto dei beni e dei servizi necessari per la loro attività. Al fine di esercitare tale diritto a detrazione, esse devono essere in possesso di una fattura debitamente redatta a fronte della cessione di detti beni o della prestazione di tali servizi. Il diritto ungherese impone ai soggetti passivi di adottare tutte le precauzioni necessarie per accertarsi della regolarità delle operazioni generatrici dell’Iva. Causa C-80/11 La Mahagében kft, un´impresa ungherese, intendeva detrarre dall´importo dell´Iva di cui era debitrice l´imposta che aveva pagato al suo fornitore a fronte della cessione di vari quantitativi di tronchi di acacia non lavorati. Il fornitore ha emesso fatture sulla base della cessione di tali beni e ha corrisposto all´Erario l´Iva che la Mahagében gli aveva versato. Quest´ultima, a sua volta, ha esercitato il diritto a detrazione. Tuttavia, in occasione di un controllo presso il fornitore, l’amministrazione fiscale ungherese ha constatato, in particolare, che il quantitativo di tronchi di acacia di cui quest´ultimo disponeva, secondo i dati contabili, al momento delle vendite effettuate alla società Mahagében, non era sufficiente per effettuare le cessioni fatturate a quest´ultima. Considerato che le fatture presentate dalla società Mahagében non riflettevano le circostanze reali di tali cessioni, l’amministrazione fiscale le ha negato la detrazione dell´Iva. Oltre a ciò, quest´ultima ha imputato alla Mahagében di non essersi sincerata della qualità del suo partner commerciale e di non aver verificato se quest´ultimo avesse adempiuto i suoi obblighi giuridici in materia di Iva. Il Baranya Megyei Bíróság (tribunale provinciale di Baranya, Ungheria), cui è stata sottoposta la controversia, chiede alla Corte di giustizia se la detrazione dell´Iva possa essere negata quando le fatture sulla base delle quali è chiesta la detrazione sono formalmente corrette ma, secondo l’amministrazione fiscale, la società interessata non si è sincerata del regolare comportamento dell´emittente delle fatture. Causa C-142/11 Il sig. Dávid ha realizzato, in forza di un contratto d’appalto e avvalendosi di subappaltatori, vari lavori di costruzione. Lo stesso intendeva detrarre l´Iva che aveva già pagato ai subappaltatori, ma l’amministrazione fiscale ungherese gli ha negato la detrazione di detta imposta a motivo delle irregolarità commesse da questi ultimi. Il giudice adito, lo Jász-nagykun-szolnok Megyei Bíróság (tribunale provinciale di Jász-nagykun-szolnok, Ungheria) chiede alla Corte se la detrazione dell’Iva possa essere negata a causa di irregolarità commesse dall´emittente della fattura qualora non sia dimostrato che il richiedente la detrazione era a conoscenza di tali irregolarità. Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda innanzitutto che il diritto a detrazione previsto dalla direttiva non può, in linea di principio, essere soggetto a limitazioni dal momento che costituisce parte integrante del meccanismo dell’Iva. Ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’Iva pagata a monte, è irrilevante la questione se l’Iva dovuta sulle operazioni precedenti o successive riguardanti i beni o servizi sia stata versata o meno all’Erario. Tuttavia gli Stati membri possono negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente. Tale caso si presenta, in particolare, allorché il soggetto passivo, al quale siano stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sappia o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. La Corte constata che spetta all’amministrazione fiscale dimostrare che il soggetto passivo era o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell´esistenza di una siffatta evasione. Inoltre, la Corte esamina gli obblighi del soggetto passivo consistenti nell´assicurarsi del regolare comportamento del suo partner commerciale. La Corte osserva che, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore potrebbe vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore al fine di sincerarsi della sua affidabilità. Tuttavia, l’amministrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo che intenda esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva verifichi l´insussistenza di irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte. Infatti, spetta alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia Iva nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che le ha commesse. Di conseguenza, tali autorità non possono trasferire sui soggetti passivi i propri compiti di controllo e negare loro l´esercizio del diritto a detrazione per mancato assolvimento di tali compiti. Infine, nelle presenti cause, la Corte constata che, stando alle informazioni provenienti dai giudici nazionali, le operazioni invocate a fondamento del diritto a detrazione sono state effettivamente realizzate e che le corrispondenti fatture contengono tutte le informazioni richieste dalla direttiva, ragion per cui ricorrono le condizioni di sostanza e di forma richieste per la nascita e l’esercizio del diritto a detrazione. Inoltre la Corte rileva che nelle decisioni di rinvio non vi è indicazione del fatto che i destinatari delle fatture avrebbero proceduto essi stessi a manipolazioni quali la presentazione di false dichiarazioni o l’emissione di fatture irregolari. Pertanto, la Corte risponde che la direttiva osta alla prassi dell´amministrazione fiscale ungherese consistente nel negare ad un soggetto passivo la detrazione dell’Iva assolta per le irregolarità commesse dall´emittente della fattura sulla base della quale la detrazione è chiesta, senza che detta amministrazione dimostri che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che a monte, nella catena di prestazioni, era intervenuta un’evasione. Del pari, la direttiva osta a una prassi nazionale in base alla quale l’amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la motivazione che il soggetto passivo, non disponendo di indizi idonei a giustificare il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto partner, non si è assicurato che il suo partner commerciale rispettasse i suoi obblighi giuridici, in particolare in materia di Iva, o con la motivazione che il soggetto passivo non dispone, oltre che della fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la regolarità del comportamento del suo partner commerciale,. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Sentenza 21 giugno 2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében kft / Nemzeti Adó- és Vámhivatal Dél-dunántúli Regionális Adó Főigazgatósága Péter Dávid / Nemzeti Adó- és Vámhivatal Észak-alföldi Regionális Adó Főigazgatósága)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL TERMINE DI SEI MESI PER IL RIMBORSO IVA AI SOGGETTI PASSIVI NON RESIDENTI NELLO STATO È TERMINE DI DECADENZA  
 
Il decreto del Ministero delle Finanze n. 2672/82, recante norme di attuazione del Dpr n. 633/72, concernente le modalità di esecuzione dei rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto a soggetti non residenti, prevede che il rimborso debba avvenire su istanza degli interessati da presentare entro il 30 giugno dell’anno solare successivo a quello cui si riferisce la domanda. L’amministrazione tributaria ha negato il rimborso dell’Iva che la Elsacom, società con sede nei Paesi Bassi, aveva versato in base alle fatture ricevute dalle sue controparti contrattuali in Italia durante il 1999. La domanda era stata presentata il 27 luglio 2000. L’amministrazione tributaria ha motivato il suo diniego con il carattere tardivo della domanda che avrebbe dovuto essere inoltrata entro il 30 giugno 2000. La Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso proposto dalla Elsacom, giudicando che il termine di sei mesi seguenti la fine dell’anno al quale la tassa fa riferimento, fosse meramente indicativo e non costituisse pertanto un termine di decadenza. La Corte suprema di cassazione, dinanzi alla quale è giunta la controversia, ha chiesto alla Corte se il termine di sei mesi (previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, primo comma, ultima frase, dell’ottava direttiva Iva ai fini della presentazione di una domanda di rimborso dell’Iva) sia un termine di decadenza. Nel procedimento hanno presentato le loro osservazioni il governo italiano, ellenico e ungherese. La Corte osserva che già dal dettato di tale disposizione si ricava che il termine è un termine di decadenza. Essa verifica il tenore delle diverse versioni linguistiche e ricorda che in forza di una costante giurisprudenza, le varie versioni linguistiche di una disposizione dell’Unione devono essere interpretate in modo uniforme e in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte. Lo scopo dell’ottava direttiva Iva è quello di por fine alle divergenze fra le disposizioni in vigore negli Stati membri. La possibilità di proporre una domanda di rimborso delle eccedenze dell’Iva senza alcuna limitazione temporale si porrebbe in contrasto col principio della certezza del diritto, che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo non possa essere indefinitamente rimessa in discussione. L’introduzione di un termine ordinatorio, ossia non previsto a pena di decadenza si porrebbe in contrasto con lo scopo di armonizzazione perseguito dall’ottava direttiva Iva. La Corte dichiara quindi che il termine di sei mesi previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, primo comma, ultima frase, dell’ottava direttiva 79/1072/Cee del Consiglio, del 6 dicembre 1979, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese, per la presentazione di un’istanza di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, è un termine di decadenza. (Sentenza nella causa C-294/11, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate/elsacom)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: UNA FASE CHE PRECEDE UNA DECISIONE DI UN’IMPRESA QUOTATA IN BORSA PUÒ COSTITUIRE UN’INFORMAZIONE PRIVILEGIATA DI CUI I MERCATI FINANZIARI DEVONO POTER DISPORRE  
 
Al fine di garantire l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione europea e di rafforzare la fiducia degli investitori in tali mercati, la direttiva 2003/6 vieta gli abusi di informazioni privilegiate ed impone agli emittenti di strumenti finanziari di rendere pubbliche, appena possibile, le informazioni privilegiate che li riguardano direttamente. Un’”informazione privilegiata” è definita come un’informazione (i) che ha un carattere preciso, (ii) che non è stata resa pubblica (iii) che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari (iv) e che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi. La direttiva 2003/124 contiene una definizione più sottile della nozione di “informazione avente un carattere preciso”: l’informazione deve fare riferimento ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà. Il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia tedesca) ha chiesto alla Corte di giustizia di chiarire la nozione di “informazione avente un carattere preciso”. Tale giudice deve pronunciarsi su una controversia tra il signor Geltl e la Daimler Ag in merito al danno che il primo sostiene di aver subito a causa della pubblicazione, asseritamente tardiva, da parte della società, di informazioni relative alle dimissioni anticipate del signor Schrempp dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione. Infatti, il 28 luglio 2005 il prezzo delle azioni della Daimler è notevolmente aumentato in seguito alla pubblicazione della decisione del consiglio di sorveglianza della Daimler, adottata lo stesso giorno, secondo cui il signor Schrempp avrebbe lasciato il suo incarico alla fine dell’anno e sarebbe stato sostituito dal signor Zetsche. Orbene, il signor Geltl aveva già venduto le sue azioni della Daimler. Il Bundesgerichtshof si chiede in particolare se un’informazione precisa attinente alle dimissioni del signor Schrempp abbia potuto esistere prima della decisione del consiglio di sorveglianza del 28 luglio 2005. Infatti, il 17 maggio 2005 il signor Schrempp aveva già menzionato la sua intenzione di dimettersi al presidente del consiglio di sorveglianza; in seguito, anche altri membri del consiglio di sorveglianza e del consiglio di amministrazione ne erano stati informati. Con la sua sentenza odierna, la Corte risponde che in una fattispecie a formazione progressiva diretta a realizzare una determinata circostanza o a produrre un certo evento possono costituire informazioni aventi un carattere preciso non solo la detta circostanza o il detto evento, bensì anche le fasi intermedie di tale fattispecie collegate al verificarsi di questi ultimi. Infatti, una fase intermedia di una fattispecie a formazione progressiva può essa stessa costituire un complesso di circostanze o un evento, secondo il significato comunemente attribuito a tali espressioni. Tale interpretazione non vale soltanto per le fasi che esistono già o che si sono già prodotte, bensì anche per le fasi di cui si può ragionevolmente ritenere che esisteranno o che si verificheranno. Qualsiasi altra interpretazione rischierebbe di pregiudicare gli obiettivi della direttiva di garantire l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e di rafforzare la fiducia degli investitori in tali mercati. Infatti, escludere che un’informazione relativa a una fase intermedia di una fattispecie a formazione progressiva possa essere considerata un’informazione avente un carattere preciso vanificherebbe l’obbligo di renderla pubblica, anche qualora essa avesse un carattere del tutto specifico e pur in presenza anche degli altri elementi costitutivi di un’informazione privilegiata. In una situazione del genere, taluni detentori di tale informazione potrebbero trovarsi in una posizione avvantaggiata rispetto agli altri investitori e potrebbero trarne profitto a scapito di coloro che la ignorano. Per quanto riguarda la nozione di “un complesso di circostanze o un evento di cui si possa ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o che si verificherà”, la Corte precisa che essa riguarda le circostanze o gli eventi futuri di cui appare, sulla base di una valutazione globale degli elementi già disponibili, che vi sia una concreta prospettiva che essi verranno ad esistere o che si verificheranno. Non è quindi necessario dimostrare un’elevata probabilità delle circostanze o degli eventi in questione. Inoltre, l’ampiezza delle conseguenze possibili di tale complesso di circostanze o di tale evento sul prezzo degli strumenti finanziari in questione è irrilevante per interpretare tale nozione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 28 giugno 2012, Sentenza nella causa C-19/11 Markus Geltl / Daimler Ag)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL FARMACISTA AUTORIZZATO, DALLA LEGISLAZIONE NAZIONALE, A ESERCITARE ANCHE UN´ATTIVITÀ DI GROSSISTA DI MEDICINALI, DEVE ESSERE IN POSSESSO DI UN´AUTORIZZAZIONE A DISTRIBUIRE ALL´INGROSSO IN FORZA DEL DIRITTO DELL´UNIONE  
 
Per contro, tale interpretazione del diritto dell´Unione non può, di per sé e indipendentemente da una legge adottata da uno Stato membro, creare o aggravare la responsabilità penale di un farmacista che ha esercitato la distribuzione all’ingrosso senza detta autorizzazione La direttiva recante un codice comunitario per i medicinali per uso umano [disciplina in particolare la distribuzione all’ingrosso degli stessi. Essa prevede che gli Stati membri devono subordinare la distribuzione all’ingrosso dei medicinali all’autorizzazione ad esercitare l’attività di grossista di medicinali, anche quando una legislazione nazionale consente alle persone autorizzate a fornire medicinali al pubblico di esercitare anche un’attività di grossista. La legislazione italiana autorizza i farmacisti e le società di farmacisti, titolari di una farmacia, a svolgere attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali, nel rispetto di determinati presupposti. Essa subordina la distribuzione all’ingrosso di medicinali al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalla regione o dalla provincia autonoma. Qualsiasi violazione della legislazione nazionale è punita con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da diecimila a centomila euro. Alcuni farmacisti sono stati denunziati in Italia per aver svolto attività di distribuzione di medicinali all´ingrosso in assenza di autorizzazione. Nel contesto di un procedimento penale instaurato a carico del sig. Caronna, il Tribunale di Palermo chiede alla Corte di giustizia se i farmacisti che, nella loro qualità di persone fisiche, siano già autorizzati, in forza della legislazione nazionale, a fornire medicinali al pubblico, siano tenuti, in base a quanto disposto dalla direttiva, a munirsi di un’autorizzazione di distribuzione all’ingrosso di medicinali. Inoltre, si chiede alla Corte se i farmacisti debbano soddisfare tutti i requisiti per la distribuzione all’ingrosso o se sia sufficiente che rispondano ai presupposti previsti dalla normativa nazionale ai fini della vendita al dettaglio. La Corte ricorda, innanzitutto, che la direttiva impone agli Stati membri un obbligo generale di subordinare la distribuzione all’ingrosso dei medicinali a un’autorizzazione specifica e, quando le persone autorizzate a fornire medicinali al pubblico possono esercitare anche un’attività di grossista, esse sono comunque soggette a tale obbligo. La Corte constata che i farmacisti rientrano nella più ampia categoria delle persone autorizzate a fornire medicinali al pubblico e, se il diritto nazionale consente loro di distribuire questi ultimi all’ingrosso, devono previamente munirsi di detta autorizzazione prevista dalla direttiva. Dalla direttiva consegue che i farmacisti e le persone che sono autorizzate a fornire medicinali al pubblico e che si limitano a tale attività sono dispensati dall’obbligo di munirsi dell´autorizzazione per la distribuzione all’ingrosso. Ne discende che il farmacista il quale, nella sua qualità di persona fisica, sia autorizzato, in forza della legislazione nazionale, a svolgere anche un’attività di grossista di medicinali, è tenuto a munirsi dell´autorizzazione di distribuzione all’ingrosso di medicinali prevista dalla direttiva. La Corte ricorda che le condizioni applicabili alla fornitura di medicinali al pubblico non sono attualmente armonizzate a livello dell’Unione e che, di conseguenza, il regime della distribuzione dei medicinali al dettaglio varia da uno Stato membro all’altro. Per contro, i requisiti minimi che devono essere soddisfatti per la distribuzione all’ingrosso di medicinali sono armonizzati dalla direttiva. Il soddisfacimento dei presupposti richiesti è soggetto a controllo durante l´intero periodo in cui si è in possesso dell´autorizzazione. Qualora la vendita al dettaglio di medicinali presenti caratteristiche diverse rispetto a quelle proprie della distribuzione all’ingrosso, il mero fatto di soddisfare i presupposti stabiliti dagli Stati membri per la vendita al dettaglio non consente di presumere che siano soddisfatti anche quelli previsti dalla disciplina armonizzata a livello dell’Unione per quanto riguarda la distribuzione all’ingrosso. Pertanto, al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi della direttiva, in particolare quelli della tutela della sanità pubblica, dell’eliminazione degli ostacoli agli scambi di medicinali nell’Unione e dell’esercizio del controllo su tutta la catena di distribuzione all’ingrosso dei medicinali, i requisiti minimi per la distribuzione all’ingrosso devono essere soddisfatti in modo uniforme in tutti gli Stati membri. Tale conclusione non esclude tuttavia la possibilità per un’autorità nazionale di tenere conto, in sede di concessione ai farmacisti delle autorizzazioni per la distribuzione all’ingrosso di medicinali, di un’eventuale equivalenza con le condizioni richieste dalla disciplina nazionale per la vendita al dettaglio. La Corte esamina infine l´impatto di questa risposta sulla responsabilità penale del sig. Caronna. Essa ricorda che, benché i giudici nazionali siano tenuti ad interpretare il diritto nazionale alla luce della finalità di una direttiva, tale obbligo è soggetto ad alcuni limiti in materia penale. Pertanto, una direttiva non può avere come effetto di determinare o aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni. Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio pervenga alla conclusione che il diritto nazionale, nella sua versione applicabile ai fatti di cui a detto procedimento, non imponeva ai farmacisti un obbligo di munirsi di un’autorizzazione specifica per la distribuzione di medicinali all’ingrosso e non prevedeva, con riferimento ai farmacisti, una responsabilità penale, il principio della legalità delle pene vieta di sanzionare penalmente un tale comportamento, anche nel caso in cui la norma nazionale sia contraria al diritto dell’Unione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 28 giugno 2012;, Sentenza nella causa C-7/11 Procedimento penale contro Fabio Caronna)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL TRIBUNALE CONFERMA SOSTANZIALMENTE LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE CON LA QUALE È STATA IMPOSTA ALLA MICROSOFT UNA PENALITÀ DI MORA PER NON AVER PERMESSO AI SUOI CONCORRENTI DI AVERE ACCESSO, A CONDIZIONI RAGIONEVOLI, ALLE INFORMAZIONI RELATIVE ALL’INTEROPERABILITÀ  
 
Il Tribunale riduce tuttavia l’ammontare della penalità di mora da 899 a 860 milioni di euro per tener conto del fatto che la Commissione aveva consentito alla Microsoft di applicare, fino al 17 settembre 2007, dei limiti riguardo alla distribuzione dei prodotti «open source» Il 24 marzo 2004 la Commissione ha adottato una decisione nella quale si constatava che la Microsoft aveva abusato della sua posizione dominante per effetto di due comportamenti distinti e si infliggeva di conseguenza alla Microsoft un’ammenda di più di 497 milioni di euro. Il primo comportamento sanzionato, che è il solo rilevante nella fattispecie, consisteva nel rifiuto da parte della Microsoft di divulgare ai propri concorrenti, tra l’ottobre 1998 e il 24 marzo 2004, talune «informazioni relative all’interoperabilità» e di autorizzarne l’uso per lo sviluppo e la distribuzione di prodotti in concorrenza con i propri sul mercato dei sistemi operativi per server per gruppi di lavoro. A titolo di misura correttiva la Commissione aveva imposto alla Microsoft di rendere accessibili tali informazioni e di autorizzarne l’uso a condizioni ragionevoli e non discriminatorie. Per agevolare la Commissione nell’accertarsi che la Microsoft si conformasse alla decisione era previsto che fosse designato un mandatario indipendente, retribuito dalla Microsoft, dotato dei poteri di accedere, in maniera indipendente dalla Commissione, all’assistenza, alle informazioni, ai documenti, ai locali e al personale della Microsoft nonché al «codice sorgente» dei prodotti pertinenti della Microsoft. Dopo l’adozione della decisione del 2004 la Commissione e la Microsoft hanno avviato un dialogo destinato ad instaurare un meccanismo di divulgazione delle informazioni relative all’interoperabilità. Ritenendo che la Microsoft non avesse fornito una versione precisa e completa delle informazioni relative all’interoperabilità nel termine fissato dalla decisione del 2004 e che i tassi di remunerazione pretesi dalla Microsoft per fornire l’accesso a tali informazioni non fossero ragionevoli, la Commissione ha adottato varie decisione che imponevano penalità di mora a detta società. Con una decisione in data 12 luglio 2006 la Commissione ha imposto una penalità di mora per un importo di 280,5 milioni di euro, considerando che la Microsoft non si fosse conformata alla decisione del 2004 per il periodo intercorrente tra il 16 dicembre 2005 e il 20 giugno 2006. Con sentenza del 17 settembre 2007 il Tribunale ha confermato sostanzialmente la decisione del 2004. Nondimeno il Tribunale ha parzialmente annullato l’articolo della decisione riguardante il mandatario indipendente. Con decisione del 27 febbraio 2008 è stata imposta alla Microsoft una nuova penalità di mora, per l’importo di 899 milioni di euro, per il periodo 21 giugno 2006-21 ottobre 2007, in quanto i tassi di remunerazione proposti dalla Microsoft per permettere l’accesso alle informazioni relative all’interoperabilità non erano ragionevoli. La Microsoft ha chiesto al Tribunale di annullare tale decisione o, in subordine, di annullare o ridurre l’importo della penalità di mora. Nella sua sentenza in data odierna il Tribunale conferma sostanzialmente la decisione della Commissione e respinge tutti gli argomenti avanzati dalla Microsoft per ottenerne l’annullamento. Il Tribunale considera, anzitutto, che, tenuto conto dei criteri di valutazione elaborati dalla Microsoft e dalla Commissione, la Microsoft era in grado di determinare se fossero ragionevoli, ai sensi della decisione del 2004, i tassi di remunerazione da essa pretesi fino al 21 ottobre 2007 per consentire l’accesso alle informazioni relative all’interoperabilità. In secondo luogo, il Tribunale considera che il criterio – preso in considerazione dalla Commissione nel valutare la ragionevolezza dei tassi di remunerazione richiesti dalla Microsoft – attinente al carattere innovativo delle tecnologie in questione sia idoneo a verificare se i predetti tassi rispecchino il valore intrinseco di una tecnologia piuttosto che il suo valore strategico, vale a dire il valore risultante dalla semplice possibilità di interoperare con i sistemi operativi della Microsoft. In tale contesto, in terzo luogo, la Commissione è legittimata a valutare il carattere innovativo di dette tecnologie facendo riferimento ai suoi componenti, vale a dire la novità e l’attività inventiva, e la Microsoft peraltro non ha affermato che è impensabile valutare l’attività inventiva delle tecnologie di cui trattasi in un contesto diverso da quello del rilascio di un brevetto. Valutare, nell’ambito della presente causa, il carattere innovativo delle tecnologie che sono oggetto della decisione impugnata facendo riferimento alla novità e all’attività inventiva non ha l’effetto di annullare, in generale, il valore dei diritti di proprietà intellettuale, dei segreti commerciali e di altre informazioni confidenziali e neppure, a fortiori, di imporre tale carattere quale condizione affinché un prodotto, o un’informazione, possa essere coperto da siffatto diritto o possa costituire un segreto commerciale in generale. Siffatto approccio ha l’unico scopo di impedire che la Microsoft riceva una remunerazione che rispecchi il valore strategico delle informazioni relative all’interoperabilità, ciò che è vietato dalla decisione del 2004. Il Tribunale considera inoltre che la Microsoft non è riuscita a confutare la valutazione della Commissione, secondo la quale 166 delle 173 tecnologie rientranti nelle informazioni relative all’interoperabilità non erano innovative. Ciononostante, il Tribunale considera necessario rivedere l’importo della penalità di mora per tener conto di una lettera della Commissione datata 1° giugno 2005. In tale lettera la Commissione accettava che la Microsoft potesse limitare la distribuzione dei prodotti sviluppati dai suoi concorrenti «open source» in base alle informazioni relative all’interoperabilità non coperte da brevetto e non innovative, sino alla data della pronuncia della sentenza del Tribunale nella causa T‑201/04, ossia sino al 17 settembre 2007. In effetti, pur se la decisione impugnata era motivata dal carattere non ragionevole dei tassi di remunerazione proposti dalla Microsoft e non dal rifiuto di accordare l’accesso alle informazioni relative all’interoperabilità, il fatto che la Commissione abbia accettato, in considerazione della litispendenza, che la Microsoft attuasse, durante un certo periodo, una prassi che poteva comportare il mantenimento di una situazione che la decisione del 2004 aveva lo scopo di eliminare, potrebbe essere preso in considerazione nell’ambito della determinazione della gravità del comportamento sanzionato e, pertanto, nella fissazione dell’importo della penalità di mora. In tale contesto, alla luce del contenuto del fascicolo, il Tribunale considera che la possibilità offerta nella lettera del 1° giugno 2005 abbia generato solo una parte marginale degli effetti prodotti dal comportamento sanzionato, cosicché l’importo della penalità di mora imposta alla Microsoft deve essere fissato a 860 milioni di euro. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 27 giugno 2012, Sentenza nella causa T-167/08 Microsoft Corp. / Commissione)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LE AMMENDE DI EUR 553 MILIONI INFLITTE A GDF E E.ON PER AVER DIVISO I MERCATI FRANCESI E TEDESCO DEL GAS NATURALE SONO RIDOTTE A EUR 320 MILIONI PER CIASCUNA SOCIETÀ  
 
Il Tribunale conferma l’essenziale della decisione, ma constata un errore della Commissione per quanto concerne la durata dell’infrazione su ciascuno dei mercati. Con decisione 8 luglio 2009, la Commissione ha inflitto un’ammenda di Eur 553 milioni a ciascuna delle società di energia E.on e Gdf Suez per aver violato il diritto europeo della concorrenza stipulando un accordo di ripartizione dei mercati francese e tedesco del gas naturale. Detto accordo risale al 1975, quando Ruhrgas Ag (attualmente E.on Ruhrgas, facente parte del gruppo E.on) e Gdf (che fa attualmente parte di Gdf Suez) hanno deciso di costruire congiuntamente il gasdotto Megal attraverso la Germania per importare gas russo in Germania e in Francia. La Commissione ha deciso che, con tale accordo («accordo Megal»), le imprese hanno deciso di non vendere il gas inviato tramite detto gasdotto sul mercato nazionale dell’altra parte. Per quanto riguarda il mercato francese, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione è iniziata il 10 agosto 2000, data in cui avrebbe dovuto essere trasposta la prima direttiva sul gas che prevedeva la liberalizzazione del mercato del gas. Prima di detta data, a causa del monopolio legale in materia di importazione e fornitura di gas a favore di Gdf, il comportamento descritto non aveva potuto restringere la concorrenza. Secondo la Commissione, benché la prima direttiva sul gas sia stata trasposta in Francia soltanto nel 2003, la concorrenza poteva essere ristretta sin dal 2000, in quanto, a decorrere da detta data, concorrenti di Gdf avrebbero potuto approvvigionare alcuni clienti in Francia. Per quanto concerne il mercato tedesco, la Commissione ha considerato che l´infrazione era iniziata il 1º gennaio 1980 - data in cui il gasdotto Megal è divenuto operativo. Contrariamente alla situazione in Francia, non vi era alcun monopolio sul mercato tedesco prima della sua liberalizzazione. La Commissione ha quindi ritenuto che Gdf doveva essere considerata un concorrente potenziale di Ruhrgas prima della liberalizzazione, nonostante l’esistenza di taluni accordi (distinti dall’accordo Megal) fra società di distribuzione di energia (accordi di demarcazione ) nonché tra tali società e le aziende municipali (accordi di concessione esclusiva ) considerati leciti fino al 24 aprile 1998 a causa di un’esenzione. Quanto alla fine dell’infrazione, nonostante le due società abbiano affermato, in un accordo del 13 agosto 2004, che esse consideravano da tempo le parti anticoncorrenziali dell’accordo Megal come «nulle e improduttive di effetti», la Commissione ha ritenuto che quest’ultimo aveva in realtà continuato a produrre i suoi effetti almeno fino alla fine del settembre 2005. Tale data è quindi quella considerata dalla Commissione come data di fine dell’infrazione su ciascuno dei mercati. Tanto E.on quanto Gdf Suez hanno proposto dinanzi al Tribunale un ricorso per l´annullamento di detta decisione, nonché per la riduzione dell’importo dell’ammenda loro inflittale. Nelle sue sentenze odierne, il Tribunale respinge la maggior parte degli argomenti delle società ricorrenti e conferma per l’essenziale la decisione della Commissione. Tuttavia, quanto alla durata dell’infrazione, il Tribunale constata che la Commissione ha commesso due errori. In primo luogo, per quanto concerne l’inizio dell’infrazione sul mercato tedesco, il Tribunale osserva che l’utilizzazione congiunta degli accordi di demarcazione e degli accordi di concessione esclusiva (coperti da un’esenzione fino al 24 aprile 1998) ha avuto l’effetto di stabilire di fatto un sistema di zone di approvvigionamento esclusive senza che vi sia stato tuttavia un divieto legale imposto ad altre società di fornire gas. Di conseguenza, fino al 24 aprile 1998, data a partire dalla quale tali accordi non erano più esenti, il mercato tedesco del gas era caratterizzato dall’esistenza lecita di monopoli territoriali di fatto. Orbene, tale situazione poteva comportare la mancanza di qualsiasi concorrenza non soltanto effettiva ma anche potenziale su tale mercato, essendo irrilevante il fatto che non esistesse in Germania un monopolio legale. Il Tribunale considera quindi che la Commissione non ha dimostrato l’esistenza di una concorrenza potenziale, fra le due società sul mercato tedesco del gas del 1º gennaio 1980 al 24 aprile 1998, alla quale l’accordo Megal avrebbe potuto recare pregiudizio. Il Tribunale annulla quindi l’articolo 1 della decisione impugnata nella parte in cui constata l’esistenza di un’infrazione commessa in Germania fra il 1º gennaio 1980 e il 24 aprile 1998. Si deve precisare che tale periodo non era stato preso in considerazione ai fini della fissazione dell’importo dell’ammenda. In secondo luogo, per quanto concerne la fine dell’infrazione sul mercato francese, il Tribunale constata che la Commissione non ha addotto alcun elemento che permetta di concludere che l’infrazione era continuata sul mercato francese in seguito all’accordo dell’agosto 2004. Per contro, vari documenti successivi a tale accordo, nonché il comportamento di Gdf sul mercato tedesco, dimostrano il proseguimento dell’infrazione in Germania fino al settembre 2005. Il Tribunale annulla quindi l’articolo 1 della decisione impugnata nella parte in cui esso constata che l’infrazione è esistita, in Francia, durante il periodo compreso fra il 13 agosto 2004 e il 30 settembre 2005. Per tener conto dell’annullamento parziale dell’articolo 1 della decisione, il Tribunale afferma che l’importo dell’ammenda imposto alle due società deve essere ridotto. Il Tribunale considera che, se applicasse il metodo utilizzato dalla Commissione per la fissazione dell’importo dell’ammenda, questo sarebbe ridotto a Eur 267 milioni. Una diminuzione del genere sarebbe sproporzionata rispetto all’importanza relativa dell’errore accertato. Infatti, mentre tale errore della Commissione riguarda il solo mercato francese e unicamente 12 mesi e mezzo dei 5 anni e 1 mese e mezzo constati inizialmente dalla Commissione, l’applicazione del metodo della Commissione porterebbe ad una riduzione dell’importo dell’ammenda di oltre il 50%. Così, considerando che tale metodo di calcolo non prende in considerazione tutte le circostanze pertinenti e rilevando che non è vincolato da detto metodo, il Tribunale conclude che si deve, tenuto conto in particolare della durata e della gravità dell’infrazione, fissare l’importo finale dell’ammenda inflitta a ciascuna società a Eur 320 milioni. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 giugno 2012, Sentenze nelle cause T-360/09 E.on Ruhrgas e E.on Ag / Commissione e T-370/09 Gdf Suez Sa / Commissione)