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Notiziario Marketpress di Lunedì 21 Ottobre 2013
MERCATO ICT: ANCORA IN CALO - 4,3% NEL 1° SEM 2013 - CRESCONO I SEGMENTI INNOVATIVI + 4,5%  
 
Nel primo semestre del 2013 il mercato Ict Italiano nel suo insieme (servizi e prodotti delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, infrastrutture di rete e contenuti digitali) ha accelerato la tendenza al ribasso registrando un calo complessivo di -4,3% rispetto allo stesso periodo del 2012 (quando la diminuzione era stata dell’1,3% sull’anno prima) e raggiungendo a fine giugno un valore di mercato di 32.048 milioni di euro. E’ il dato complessivo che emerge dal Rapporto Assinform relativo all’andamento del mercato Ict nei primi sei mesi dell’anno. Lo studio, realizzato con Netconsulting, evidenzia all’interno del mercato una dinamica molto differenziata. Alla discesa marcata dei servizi di rete delle Tlc, -9,2%, dovuta principalmente al costante calo delle tariffe, si affianca una flessione della componente dispositivi, sw e servizi più ridotta, pari al -1,5%. Si rileva altresì una crescita del 4,9% dei contenuti e pubblicità on line e del 4,5% dei segmenti innovativi. Tra questi, in particolare, si evidenzia l’incremento sia della domanda di tutti quei dispositivi digitali che innovano attività tradizionali in collegamento con l’uso del web, come le smart tv, gli e-reader, i navigatori, le fotocamere digitali, sia gli investimenti per le piattaforme software di e-commerce, di social network, “Internet delle cose”, i servizi di cloud computing e relativi data center. Allo stesso tempo i collegamenti in banda larga sono cresciuti del 2,4% per 13,9 milioni di accessi, ma restano proporzionalmente inferiori a quelli dei principali paesi europei. Ed ecco il punto: l’innovazione digitale sta penetrando nella società e nell’industria italiana, trasformando modelli di consumo e di business, ma su basi ancora troppo limitate e a ritmi troppo lenti, che impediscono di raggiungere quel livello elevato di pervasività dell’Ict che in altri paesi costituisce la chiave della ripresa dell’economia. Allo stato attuale non esistono i presupposti per un’inversione di tendenza, tanto che le stime di fine anno confermano per il mercato Ict un calo complessivo del 4,3% sul 2012, che per la componente dispositivi, sw e servizi diventa -1,7%, nonostante la crescita dei segmenti innovativi con un trend previsto di 5,2%. In sostanza, il rapporto Assinform fotografa l’evoluzione che sta subendo l’Ict, con componenti di nuova generazione che subentrano a componenti tradizionali - i cui volumi e prezzi calano - ma a ritmi ancora non sufficienti a far ripartire il mercato. Il nostro paese è quindi in forte ritardo rispetto all’Europa dove l’incidenza del mercato Ict (che continua marginalmente a crescere a fronte del -4,3% italiano) sul Pil è prossima al 7% mentre in Italia è minore del 5%, con gravi ricadute sul settore ma soprattutto sul mancato sviluppo del nostro sistema economico e produttivo in generale  
   
   
AMPLIATI I SERVIZI DI ASSISTENZA E INFORMAZIONE AI CONTRIBUENTI - INTESA TRA ENTRATE E DELEGAZIONE REGIONALE DELL’ISTITUTO NAZIONALE TRIBUTARISTI  
 
La Direzione regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate e l’Istituto Nazionale Tributaristi Int, Delegazione regionale della Lombardia, hanno siglato lo scorso 14 ottobre un protocollo d’intesa finalizzato a facilitare l’accesso ai servizi di assistenza e informazione offerti dall’Amministrazione finanziaria per agevolare l’adempimento degli obblighi fiscali. I tributaristi iscritti all’Int rivestono la funzione di intermediario fiscale abilitato e la struttura è presente sull´intero territorio nazionale, con 20 delegazioni regionali. L’intesa segue l’accordo quadro siglato a livello nazionale il 30 gennaio 2013. L’obiettivo del protocollo firmato dal direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, Eduardo Ursilli, e dal delegato regionale lombardo dell’Int, Marco Baroni, è quello di garantire la semplificazione dei rapporti tra le parti, attraverso un maggior utilizzo dei canali telematici. In particolare, sono previsti l’attivazione di caselle di posta elettronica certificata, l’utilizzo prioritario del canale Civis per l’assistenza sulle comunicazioni di irregolarità e sulle cartelle di pagamento e per la presentazione dei documenti per il controllo formale. Il canale telematico attuato con l’Agenzia delle Entrate della Lombardia, oltre a favorire l’abbattimento dei tempi di attesa allo sportello degli uffici territoriali dell’Agenzia, consente di richiedere servizi ed effettuare adempimenti in tempo reale quali: duplicato della tessera sanitaria e del codice fiscale; rilascio variazione e cessazione partita Iva; registrazione contratti di locazione (Siria web, Iris web, Locazioni web); accesso al cassetto fiscale degli associati Int lombardi anche per il reperimento delle informazioni utili agli ulteriori adempimenti fiscali (es. Versamenti eseguiti, dichiarazioni presentate, stato dei rimborsi). Per assicurare l’aggiornamento professionale degli operatori, la Direzione regionale e l’Int Lombardia si impegnano alla reciproca assistenza, assicurando l’intervento di qualificati rappresentanti nelle attività didattiche riguardanti i processi contemplati dall’accordo e le nuove procedure. L’intesa dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia con la Delegazione regionale dei Tributaristi è un ulteriore passo avanti nella semplificazione dei rapporti con l’Amministrazione finanziaria ed è il frutto di un percorso di dialogo finalizzato all’individuazione di strumenti operativi che garantiscano servizi diffusi, sempre più ispirati a criteri di efficienza ed efficacia  
   
   
HOTWIRE SVELA IN ANTEPRIMA 3 DIGITAL TREND PER IL 2014  
 
Il 2013 volge al termine e Hotwire, agenzia globale di relazioni pubbliche e comunicazione integrata, rilascerà a breve la quinta edizione del suo Digital Trend Report per svelare quelli che saranno i principali fenomeni che domineranno il panorama digitale nel 2014. In attesa del report completo Hotwire svela però in anteprima qualche anticipazione, in modo che i più attenti non si facciano cogliere impreparati! Le tre tendenze dominanti del 2013 sono state l’emergere della narrazione, la salute digitale e l’Ux dei social. Per il nuovo anno Hotwire ha già individuato delle interessanti novità, ecco quindi i tre trend da non perdere di vista per il 2014: - La nascita delle leggi social: fino ad oggi il nostro sistema legislativo è stato applicato - anche se non uniformemente - al mondo internet e dei social network dando vita alle più disparate sentenze relative a diverse tipologie di reati. Siamo certi che questa situazione cambierà nel corso del prossimo anno: l’emergere di un numero sempre maggiore di casi giudiziari legati al mondo online porterà, infatti, a una più precisa definizione della legge in ambito web. - Anonimato: nel mondo post-Snowden tendiamo a essere molto più prudenti rispetto a ciò che pubblichiamo online e il successo riscontrato dai nuovi motori di ricerca ‘amici della privacy’ conferma che non si tratta solo di un trend passeggero. - L’era della consapevolezza: il numero di grandi aziende impegnate sul fronte social è cresciuto in maniera rilevante rispetto agli anni precedenti. Il 2014 sarà l’anno dell’affermazione e questo trend diventerà un must universale: se un’azienda non sa ancora come affrontare la questione, è nei guai. “Il 2013 sta volgendo al termine e ha dimostrato che le nostre previsioni erano fondate. Negli anni abbiamo parlato della necessità di mettere le aziende “sulle mappe” prima che Google rivelasse che il 97% dei consumatori faceva ricerche di attività commerciali online, nel 2011 abbiamo affermato che i servizi location-based sarebbero stati un must e Foursquare ha poi annunciato di aver raddoppiato la propria base utenti e abbiamo anche predetto l’imponente crescita dell’interesse per il “grafico”…e Pinterest ha dimostrato che avevamo ragione” dichiara Alessia Bulani, Country Manager di Hotwire per l’Italia. “Siamo giunti alla quinta edizione del nostro report annuale e non vediamo l’ora di condividere quelli che saranno i trend digitali del 2014, questo vuole essere solo un piccolo assaggio di ciò che ci aspetta!” Per chi non avesse ancora avuto occasione di leggere il report 2013, il white paper è disponibile per il download gratuito qui oppure è possibile seguire tutti gli aggiornamenti su Twitter @Hotwirepritaly #digitaltrend Info: Hotwire - http://www.hotwirepr.it/  - @Hotwirepritaly.  
   
   
I COMMERCIALISTI DI MILANO E I PROTAGONISTI DEI NOSTRI TEMPI - IL PRIMO APPUNTAMENTO È CON MILENA RIBOTTO, MEDICO DI GUERRA  
 
L’ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano - con l’intento di condividere e diffondere i valori della collettività - inaugura “Il pensiero dei nostri tempi: riflessioni con i protagonisti”, un ciclo di incontri dedicato ai grandi temi su cui si interroga oggi la società civile. Momenti di dialogo e confronto vis à vis con grandi interpreti della cultura, dell’arte, delle scienze, del diritto e dell’economia. Primo appuntamento martedì 22 ottobre: “Conflitti: parole e immagini”, protagonista Milena Ribotto, medico di guerra della Croce Rossa Internazionale, che da quindici anni si divide tra l’Italia e i Paesi afflitti dai peggiori scenari di guerra della storia recente. Afghanistan, Darfur, Libano sono solo alcuni. La sua testimonianza, accompagnata da immagini fotografiche da lei stessa realizzate (vedi allegato), è un racconto senza filtri delle guerre e del loro drammatico impatto sulla vita delle popolazioni. Introduce e coordina Claudia Mezzabotta, presidente commissione Principi Contabili Odcec di Milano. Info: “Conflitti: parole e immagini” - 22 ottobre 2013, dalle 18 alle 19.30 - Fondazione Ambrosianeum, Sala Falck, Via delle Ore 3, Milano - Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili - Odcec Milano - tel 02.7773111  
   
   
COMPUTERLINKS UNIVERSITY RICONFERMA IL SUO VALORE PER IL CANALE  
 
L’undicesima edizione ha riscosso un grande successo, con quasi 400 partecipanti, segnando un incremento del 20% rispetto allo scorso anno. Formula vincente non si cambia e Computerlinks University, organizzata dal distributore altoatesino, si è confermata anche quest’anno l’evento a valore dedicato al canale. L’undicesima edizione ha visto la partecipazione di quasi 400 partecipanti, con un incremento del 20% rispetto alla giornata del 2012 - e di 25 vendor sponsor che hanno presentato tutte le ultime novità tecnologiche a portfolio. La giornata è stata scandita da 38 sessioni tecniche tenute dai vendor e momenti di confronto nell’ampia area espositiva, durante i quali i partner di canale hanno avuto la possibilità di approfondire le novità di prodotto e confrontarsi sulle migliori strategie da mettere in atto per affrontare al meglio il mercato e le esigenze dei clienti in costante evoluzione. Tra gli argomenti presi in esame durante la giornata non sono mancati la sicurezza, la virtualizzazione, il cloud computing, declinato nei differenti modelli per rispondere a ogni esigenza aziendale, il consolidamento del trend di Byod, arricchiti da testimonianze dirette di clienti che utilizzano le tecnologie offerte. “Siamo orgogliosi del successo ottenuto anche quest’anno dalla nostra University,” commenta Federico Marini, Amministratore Delegato di Computerlinks Italia. “La vasta adesione degli operatori di canale ci conferma l’importanza e il valore aggiunto offerto anche attraverso questo evento ai nostri partner e vendor, che approfittano di questa giornata per comprendere, analizzare e valutare le mosse più adeguate da mettere in atto nei prossimi mesi, per riuscire a cogliere e sviluppare il maggior numero di opportunità di business”. Computerlinks conferma la propria solidità, in un momento economico ancora difficile, con una percentuale di crescita sempre positiva, in linea con i dati dello scorso anno e nuove strategie di ampliamento della propria offerta di soluzioni e di raggio d’azione previste per i prossimi mesi. Lo spirito di innovazione e la volontà costante di supportare al meglio il canale di partner sono due dei punti fermi che da undici anni caratterizzano l’attività del distributore a valore. Info: Computerlinks - http://www.computerlinks.it/    
   
   
SIEMENS EC HA CAMBIATO PELLE: È NATA LA NUOVA UNIFY  
 
La multinazionale tedesca Siemens Enterprise Communication ha cambiato nome e dal 15 ottobre è diventata Unify. Un vocabolo che ben identifica l’obiettivo dell’azienda: trasformare le comunicazioni aziendali per dare vita a un nuovo modo di lavorare, riducendo il tempo speso nell’organizzazione ed aumentando quello dedicato alla produttività. Un rebranding sul quale si stava lavorando da un paio d’anni - ha spiegato Riccardo Ardemagni, amministratore delegato della filiale italiana - per avere il pieno controllo del marchio e posizionarci sul mercato delle telecomunicazioni. Siemens, presente su differenti e svariati settori e mercati, aveva la difficoltà di far capire dove è posizionata e, per questo, ha deciso non solo di cambiare completamente il suo nome, ma ha anche dotato Unify di un nuovo prodotto, Ansible, che la caratterizzerà e gli fornirà visibilità. La nuova piattaforma Ansible - studiata per rispondere alle mutazioni del mercato, all’impetuosa avanzata del mobile, all’irrompere dei device personali all’interno delle aziende ed alle nuove organizzazioni del lavoro - sarà sottoposta a test presso alcuni clienti entro l’anno e sarà poi rilasciata il prossimo anno. Ansible supporterà quattro canali di comunicazione - voce, video, testo e condivisione remota dello schermo - e permetterà agli utenti di condurre conversazioni multicanale da dispositivo a dispositivo. L’obiettivo è di dare alle aziende la possibilità di mettere ordine nelle comunicazioni aziendali. - ha spiegato Ardemagni - Daremo la possibilità, indipendentemente dal device utilizzato, di comunicare in modo efficace non perdendo traccia delle comunicazioni. La piattaforma, che sarà offerta anche in modalità Saas, si integra con Open Scape di Siemens e con le soluzioni della concorrenza come quelle di Cisco e Avaya. Il claim scelto da Unify è “Harmonize your enteprise”. Nella nuova avventura Unify ha già coinvolto partner come Telefonica, Ibm, Deutsche Telekom e Verizon  
   
   
GIUSTIZIA: ATTUAZIONE INSUFFICIENTE DELLE NORME SULL´INDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO IN ITALIA  
 
La Commissione ha inviato lo scorso 17 ottobre un parere motivato all´Italia nella seconda fase della procedura di infrazione, in seguito a denunce relative all´applicazione in tale paese delle norme dell´Ue sull´indennizzo delle vittime di reato (direttiva 2004/80/Ce). In virtù di tali norme, gli Stati membri devono provvedere affinché i loro sistemi di indennizzo nazionali garantiscano un indennizzo equo ed adeguato delle vittime di "reati intenzionali violenti" commessi nei rispettivi territori. L´italia non dispone di alcun sistema generale di indennizzo per tali reati: la sua legislazione prevede soltanto l´indennizzo delle vittime di alcuni reati intenzionali violenti, quali il terrorismo o la criminalità organizzata, ma non di altri. Finora il paese non ha adottato i provvedimenti necessari per modificare la propria legislazione al fine di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa dell´Ue, e di conseguenza alcune vittime di reati intenzionali violenti potrebbero non avere accesso all´indennizzo cui avrebbero diritto. Se l´Italia non ottempererà ai suoi obblighi giuridici entro due mesi, la Commissione potrà decidere di deferirla alla Corte di giustizia  
   
   
KATE HUTCHISON È IL NUOVO CHIEF MARKETING OFFICER DI RIVERBED  
 
Riverbed Technology, l’application performance company, ha nominato Kate Hutchinson nuovo Chief Marketing Officer (Cmo), la quale riporterà direttamente a Jerry M. Kennelly, Chairman e Ceo di Riverbed. Kate Hutchinson arricchisce Riverbed con la sua consolidata esperienza di business e di marketing. - spiega Kennelly - Il suo ruolo è riconosciuto per lo sviluppo di strategie che hanno accelerato la crescita e rafforzato alcune delle maggiori aziende di successo nel settore It, tra cui Polycom, Vmware, Citrix e Bea. La sua profonda conoscenza dell’industria supporterà l’espansione di Riverbed, stimolando la domanda in continuo aumento delle nostre soluzioni e guiderà la crescita dei ritorni sul nostro portfolio prodotti completo. Prima del suo ingresso in Riverbed, Kate Hutchinson è stata executive vice president e Cmo di Polycom, con la responsabilità di guidare la trasformazione e il posizionamento tra i big player nel segmento del software-driven unified communications e video collaboration. Tra le esperienze precedenti, ha ricoperto il ruolo di Cmo e vice president del Marketing in Vmware, nel quale si è occupata di espandere il posizionamento dell’azienda da vendor hypervisor a fornitore di soluzioni di virtualizzazione per supportare i clienti nella costruzione di cloud private e pubbliche. Durante i cinque anni trascorsi in Citrix, Kate Hutchinson ha supportato lo sviluppo della strategia che ha permesso di raddoppiare i guadagni dell’azienda e di conquistare una posizione di rilievo nel settore dell’application access e delivery. In Bea Systems si è occupata di pianificare e gestire tutte le attività di marketing, nel momento in cui il fatturato è cresciuto da 300 milioni a 1 miliardo di dollari, inserendola tra le aziende software più veloci ad aver raggiunto un simile fatturato annuale. Sono orgogliosa di entrare a far parte del team Riverbed. - commenta Hutchinson - Nei prossimi dieci anni di crescita, Riverbed è pronta per supportare i clienti a superare i limiti imposti dalla distanza e dalle differenti filiali nel momento dell’implementazione della loro infrastruttura It. Riverbed ha una straordinaria cultura dell’innovazione e sono lieta di poter contribuire con la mia esperienza a cavalcare i trend di settore per guidare la crescita dei ritorni. Oltre 23.000 aziende in tutto il mondo si affidano a Riverbed per comprendere, ottimizzare e consolidare la propria infrastruttura It, attraverso soluzioni che superano i problemi legati alle prestazioni, causati da distanza, computing distribuito e il continuo aumento di dati. Le organizzazioni It realizzano iniziative strategiche per virtualizzare, consolidare e migrare i carichi di lavoro in ambienti cloud, di conseguenza gli utenti vengono posti a distanze sempre maggiori dai propri dati. Applicazioni lente, trasferimenti di file interminabili e siti web poco efficienti possono avere un impatto negativo sulle performance e sul successo di tali iniziative. Riverbed trasforma le performance It fornendo soluzioni di Wan optimization, storage delivery, application-aware network performance management, application performance management, application delivery controller, web content optimization (Wco) e protezione dei dati nella cloud. Grazie a un portfolio completo di soluzioni dedicate alle performance che forniscono ottimizzazione ovunque, Riverbed permette alle aziende di incrementare la produttività e l’efficienza, rafforzando la resilienza, consentendo il controllo dei costi. Info: Riverbed Technology - http://www.riverbed.com/  
   
   
LE SOLUZIONI CORPORATE DI PANDA SECURITY SONO COMPATIBILI CON WINDOWS 8.1 E WINDOWS SERVER 2012 R2  
 
I clienti che effettuano l’upgrade alla nuova release Microsoft beneficeranno immediatamente della massima protezione. Panda Security, The Cloud Security Company, annuncia la compatibilità delle soluzioni Panda Cloud Office Protection (Ocop) e Panda Cloud Systems Management (Pcsm) con Microsoft Windows 8.1 e Windows Server 2012 R2, disponibili già dallo scorso 18 ottobre. In questo modo, ai clienti che effettueranno l’upgrade alle nuove release di Microsoft sarà garantita subito la massima protezione. Panda Cloud Office Protection (Pcop), dedicata a endpoint, laptop e server e Panda Cloud Systems Management (Pcsm), la piattaforma per gestire, monitorare e supportare i sistemi It in sede o da remoto, sono compatibili con i nuovi sistemi operativi Microsoft, ancora prima che siano rilasciati. “Per Panda Security è fondamentale essere in grado di rispondere alle necessità degli utenti e di mantenere un ruolo all’avanguardia nell’evoluzione tecnologica,” spiega Manuel Santamarìa, Product Manager Director di Panda Security. “Il nostro portfolio prodotti è stato sviluppato per operare con le nuove versioni Microsoft, in modo tale che i nostri clienti, qualora decidessero di utilizzare Windows 8.1 o Windows Server 2012 R2, siano protetti immediatamente ai massimi livelli. Info: Panda Security Italia - http://www.pandasecurity.com/  
   
   
ARI BOSE È IL CHIEF INFORMATION OFFICER DI BROCADE  
 
Brocade ha nominato Ari Bose Chief Information Officer (Cio), con la responsabilità di guidare la trasformazione strategica dell’intera azienda, riportando direttamente a Gale England, vice president of Customer Advocacy e Operational Effectiveness. Il settore del data center networking è al centro di una radicale trasformazione. Con l’aumento della pressione sulle reti aziendali, causata dalla gestione di volumi di dati in continua crescita e dalla volontà di ottenere il massimo valore dagli asset esistenti per incrementare l’efficienza di business, le aziende It assumono ora un ruolo di partner di business strategico e non solo una funzione di back office. Bose, nella sua nuova carica, farà leva sull’intero portafoglio di soluzioni di data center networking di Brocade e dei partner ricoprendo un ruolo It che guidi l’azienda, continuando il suo progresso e rendendola un punto di riferimento per il settore. In particolare, Bose avrà la responsabilità di standardizzare il sistema It interno per supportare la collaborazione interfunzionale e la gestione della sicurezza delle informazioni e dei rischi. Una delle principali iniziative sarà di continuare l’espansione della strategia di virtualizzazione focalizzata sulla rete, in cui Brocade opera al momento con oltre il 70% di carichi di lavoro virtuali. “Brocade è all’avanguardia nell’innovazione del data center networking, accedendo in una nuova “era” di networking con tecnologie rivoluzionarie come l’Ethernet fabric, funzioni di virtualizzazione di rete e il software-defined networking,” spiega England. “Diamo l’esempio utilizzando soluzioni all’avanguardia all’interno del nostro ambiente per progredire nel business, e il nostro data center ultra moderno ed efficiente a livello energetico è la testimonianza dell’innovazione It trasformata in azione. Questa struttura rappresenta l’esempio della possibilità di realizzare un data center dinamico virtualizzato, che sia allo stesso tempo “green”. La nomina di Bose è fondamentale per progredire nel massimo rispetto di questi principi.” Con oltre 30 anni di esperienza nel settore high tech, Bose ha ricoperto numerose posizioni di Cio in aziende di networking e It. Di recente, è stato senior vice president e Cio di Polycom, dove ha guidato la trasformazione dell’intera organizzazione It. È stato responsabile anche della rete interna di comunicazione visiva. In precedenza, è stato senior vice president e Cio di Utstarcom e ha avuto ruoli di seniority in aziende come 3Com, Bay Networks e Apple. “È corretto ammettere che il mercato del networking stia cambiando a una velocità esponenziale, soprattutto per le richieste degli utenti e le pressioni fiscali,” spiega Bose. “Brocade possiede quasi 20 anni di esperienza nella guida dell’innovazione del data center e sono orgoglioso di entrare a far parte di questa azienda. Sono entusiasta di come il data center del futuro possa guidare la trasformazione del business. Assistendo alla nostra adozione di fabric e architetture altamente virtualizzate sono fiducioso che altre aziende capiranno come Brocade possa permettere un cambiamento anche all’interno dei loro ambienti.” Info: Brocade - http://www.brocade.com/  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ALLEVAMENTI OVINI E CAPRINI - LEGITTIMO L´OBBLIGO DI IDENTIFICAZIONE ELETTRONICA INDIVIDUALE  
 
L’obbligo di identificazione elettronica individuale per gli ovini e i caprini è valido. Quando ha adottato tale misura, volta a una migliore prevenzione delle epizoozie, il legislatore europeo non ha violato la libertà d’impresa degli allevatori né infranto il principio della parità di trattamento Fino all’importante epidemia di afta epizootica del 2001, gli allevatori di ovini e di caprini dovevano marchiare i loro animali solo attraverso un marchio auricolare o un tatuaggio, atti a consentire l’individuazione dell’azienda di provenienza. Dovevano inoltre tenere un registro indicante il numero totale di ovini e caprini presenti ciascun anno nell’azienda. Orbene, durante tale epizoozia, si è dovuto procedere all’abbattimento sistematico di diversi milioni di animali, in ragione di ovini non identificati e dell’assenza di tracciabilità, per poi scoprire che un grande numero di essi non era infetto. Oltre a ciò, è stato necessario ricorrere a varie restrizioni in seno all’Unione e a un divieto su scala mondiale di tutte le esportazioni di bestiame, di carne e di prodotti di origine animale a partire dal Regno Unito. Ai fini di una miglior prevenzione di epidemie di questo tipo e di un migliore funzionamento degli scambi di ovini e di caprini fra gli Stati membri, il legislatore dell’Unione ha introdotto un nuovo sistema per cui ciascun animale deve essere identificato individualmente attraverso due strumenti: un marchio auricolare tradizionale e un dispositivo elettronico. Quest’ultimo può avere la forma di un marchio auricolare elettronico, di un bolo ruminale, di un transponder iniettabile o di un marchio elettronico sul pastorale. L’identità di ciascun animale deve inoltre essere iscritta in un registro d’azienda. Inoltre, quando gli animali lasciano l’azienda, i loro movimenti devono essere registrati in un documento di accompagnamento. In aggiunta, ogni Stato membro è tenuto a predisporre un registro centrale o una banca dati informatica in cui registrare tutte le aziende situate sul proprio territorio e ad effettuare, a scadenze regolari, un censimento degli animali detenuti in tali aziende. Il sig. Schaible, un allevatore di ovini tedesco che detiene 450 pecore, ha presentato un ricorso dinanzi al Verwaltungsgericht Stuttgart (Tribunale amministrativo di Stoccarda, Germania), al quale ha chiesto di dichiarare che egli non è soggetto né agli obblighi di identificazione individuale e di identificazione elettronica individuale dei propri animali, né all’obbligo di tenere un registro d’azienda. In tale contesto, il Tribunale amministrativo ha chiesto alla Corte di giustizia di accertare se tali obblighi siano validi oppure se violino la libertà di impresa e il principio della parità di trattamento. Nell’odierna sentenza, la Corte dichiara che gli obblighi per gli allevatori di ovini e di caprini di identificare i loro animali individualmente ed elettronicamente, nonché di tenere un registro d’azienda, non violano né la libertà d’impresa né il principio della parità di trattamento. Benché tali obblighi possano limitare l’esercizio della libertà d’impresa, essi sono tuttavia giustificati da obiettivi legittimi di interesse generale, segnatamente la tutela sanitaria, la lotta contro le epizoozie e il benessere degli animali, nonché la realizzazione del mercato interno di tali animali. Infatti, agevolando la tracciabilità di ciascun animale e permettendo quindi alle autorità competenti, in caso di epizoozia, di adottare i provvedimenti necessari ad impedire la propagazione di malattie contagiose fra gli ovini e i caprini, tali obblighi sono adeguati e necessari al fine di conseguire i suddetti obiettivi. Inoltre, gli obblighi in questione non sono sproporzionati. Riguardo agli oneri economici che ad essi conseguono per gli allevatori, la Corte richiama vari elementi che occorre considerare: (i) i costi possono essere meno elevati rispetto ai costi di strumenti non selettivi, quali il divieto di esportazioni o l’abbattimento preventivo di bestiame in caso di comparsa di una malattia, (ii) il nuovo sistema prevede diverse deroghe, (iii) l’obbligo di identificazione elettronica è stato introdotto solo in modo progressivo e (iv) gli allevatori hanno la possibilità di ottenere un aiuto finanziario a copertura parziale dei costi aggiuntivi legati all’introduzione del sistema. Quanto al benessere degli animali, la Corte osserva che il fatto che debbano essere applicati sugli animali due mezzi di identificazione, anziché uno solo, e che i nuovi mezzi di identificazione provochino statisticamente maggiori lesioni e complicazioni rispetto ai dispositivi tradizionali, non sono tali da dimostrare che la valutazione del legislatore dell’Unione in merito ai vantaggi dell’introduzione dell’obbligo di identificazione elettronica degli ovini e dei caprini fosse errata. La Corte rileva inoltre che il nuovo sistema contribuisce in modo attivo a proteggere il benessere degli animali, in quanto facilita la lotta contro le epizoozie e permette così di evitare di dover abbattere animali infetti. Il nuovo sistema rispetta anche il principio della parità di trattamento. Infatti, la deroga che autorizza gli Stati membri aventi un patrimonio ovino o caprino ridotto a rendere facoltativo il sistema di identificazione elettronica non discrimina gli allevatori stabiliti in uno Stato membro dove tale identificazione è obbligatoria. La Corte rileva, in particolare, che le soglie previste sono ragionevoli e proporzionate ai fini previsti dal nuovo sistema e che detta deroga si applica soltanto agli animali non destinati agli scambi intracomunitari. Infine, tale sistema non è neppure tale da discriminare gli allevatori di ovini e di caprini rispetto agli allevatori di bovini e di suini, i quali non sono soggetti ai medesimi obblighi. Infatti, nonostante talune similitudini, sussistono, fra questi diversi tipi di mammiferi, differenze tali da giustificare un quadro normativo specifico per ciascuna specie. In considerazione del contesto della crisi dell’afta epizootica del 2001, il legislatore dell’Unione poteva legittimamente introdurre una normativa specifica che prevedeva l’identificazione elettronica degli ovini e dei caprini, particolarmente interessati da tale crisi. Tuttavia, la Corte rileva che, benché il legislatore potesse legittimamente basarsi su un approccio progressivo per l’introduzione dell’identificazione elettronica, esso è tenuto, in considerazione degli obiettivi del regolamento censurato, a valutare la necessità di procedere al riesame delle misure istituite, in particolare per quanto riguarda il carattere facoltativo oppure obbligatorio dell’identificazione elettronica. (Corte di giustizia dell’Unione europea , Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-101/12, Herbert Schaible/land Baden-wurttemberg)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ITALIA - ANNULLATO BANDO DI CONCORSO UE PER PROVE OBBLIGATORIE IN ALCUNE LINGUE UFFICIALI  
 
Il Tribunale dell´Unione europea ha annullato il bando di concorso generale Epso/ad/177/10, volto a costituire elenchi di riserva per l’assunzione di amministratori (Ad 5) nei settori «Amministrazione pubblica europea», «Diritto», «Economia», «Audit» e «Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic)». I potenziali candidati dovevano possedere conoscenze linguistiche di una prima lingua fra le (allora) 23 ufficiali della Ue ed una «conoscenza soddisfacente del francese, dell’inglese o del tedesco» come seconda lingua, obbligatoriamente diversa dalla lingua principale, Ciò, tanto per l´ammissione, quanto per un test di accesso, un test sulle competenze di ragionamento ed per test di valutazione delle competenze.. L´italia ha chiesto l´annullamento del Concorso, per violazione regolamento n. 1/1958 sul regime linguistico, della Carta dei diritti fondamentali, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea Il Tribunale ha verificato se il requisito della conoscenza di una delle tre lingue in questione potesse essere giustificato dall’interesse del servizio. E´ giunto alla conclusione che gli elementi del bando di concorso non consentono di verificare se l’interesse del servizio potesse giustificare la deroga alla regola enunciata all’articolo 1 del regolamento n. 1/58. Il Tribunale sottolinea che l’interesse del servizio può costituire un obiettivo legittimo idoneo ad essere preso in considerazione. In particolare, l’articolo 1 quinquies dello Statuto autorizza limitazioni ai principi di non discriminazione e di proporzionalità. È necessario però che tale interesse del servizio sia oggettivamente giustificato e che il livello di conoscenze linguistiche richiesto risulti proporzionato alle effettive esigenze del servizio. Da segnalare che nel corso del procedimento, la Commissione ha riformulato le proprie conclusioni e ha chiesto al Tribunale di annullare il bando di concorso e di voler precisare che tutte le decisioni assunte nel corso della procedura di concorso oggetto del medesimo bando, così come le nomine effettuate sulla base della lista di riserva corrispondente, sarebbero rimaste pienamente valide, a tutela degli interessi legittimi delle persone interessate.(Tribunale, sentenza nella causa T‑248/10, Italia/commissione)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: PASSAPORTO BIOMETRICO - LECITO IMPORRE INSERIMENTO IMPRONTE DIGITALI  
 
Il rilevamento e la conservazione nel passaporto delle impronte digitali lede i diritti al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali, ma tali misure sono giustificate dal fine di impedire qualsiasi uso fraudolento dei passaporti Il regolamento n. 2252/2004[prevede che i passaporti presentino un supporto di memorizzazione altamente protetto che contiene, accanto all’immagine del volto, due impronte digitali. Queste possono essere utilizzate al solo scopo di verificare l’autenticità del passaporto e l’identità del suo titolare. Il sig. Schwarz ha chiesto all’amministrazione della città di Bochum (Germania) il rilascio di un passaporto, rifiutandosi però di farsi rilevare le impronte digitali. Poiché l’autorità ha respinto la sua richiesta, il sig. Schwarz ha proposto ricorso dinanzi al Verwaltungsgericht Gelsenkirchen (tribunale amministrativo di Gelsenkirchen, Germania), affinché ingiungesse all’amministrazione di rilasciargli il passaporto senza prelevargli le impronte digitali. In tale contesto, il tribunale amministrativo chiede alla Corte se il regolamento, obbligando chi richiede il passaporto a far rilevare le proprie impronte digitali e prevedendo la conservazione di queste nel passaporto, sia valido, in particolare, alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Con la sentenza odierna la Corte di giustizia risponde in senso affermativo a tale domanda. Sebbene il rilevamento delle impronte digitali e la loro conservazione nel passaporto costituiscano un pregiudizio ai diritti al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali, tali misure sono in ogni caso giustificate dallo scopo di preservare i passaporti dagli usi fraudolenti. La Corte osserva al riguardo che le misure contestate perseguono, in particolare, l’obiettivo d’interesse generale di impedire l’ingresso illegale di persone nell’Unione europea. A tal fine, esse mirano a prevenire la falsificazione dei passaporti e a impedirne l’uso fraudolento. Innanzitutto, non si evince dagli elementi messi a disposizione della Corte, né è stato sostenuto, che tali misure non rispettino il contenuto essenziale dei diritti fondamentali di cui trattasi. Inoltre, le misure contestate sono idonee a conseguire lo scopo di preservare i passaporti da un uso fraudolento, riducendo notevolmente il rischio che a persone non autorizzate sia erroneamente consentito entrare nel territorio dell’Unione europea. Infine, le misure contestate non eccedono quanto necessario al conseguimento del suddetto scopo. Infatti, per quanto attiene al rilevamento delle impronte digitali, non è stata riferita alla Corte l’esistenza di misure sufficientemente efficaci che siano meno pregiudizievoli. La Corte rileva in particolare che il grado di maturità tecnologica del metodo basato sul riconoscimento dell’iride non è pari a quello del metodo basato sulle impronte digitali e che, dati i costi al momento molto più elevati, tale metodo è meno adatto a un impiego generalizzato. Quanto al trattamento delle impronte digitali, la Corte rileva che queste svolgono un ruolo specifico nel settore dell´identificazione delle persone in generale. Infatti, il confronto delle impronte digitali rilevate in un luogo con quelle memorizzate in una banca dati consente di dimostrare la presenza in tale luogo di una determinata persona, che ciò avvenga nell’ambito di un´indagine penale oppure allo scopo di sorvegliare indirettamente tale persona. La Corte tuttavia osserva che il regolamento precisa espressamente che le impronte digitali possono essere utilizzate soltanto allo scopo di verificare l´autenticità del passaporto e l’identità del suo titolare. Per di più, il regolamento prevede che le impronte digitali siano conservate solamente all’interno del passaporto, il quale permane di esclusivo possesso del suo titolare. Non prevedendo nessun’altra forma né strumento per conservare tali impronte, il regolamento non può essere interpretato come idoneo a fornire, in quanto tale, un fondamento giuridico ad una eventuale centralizzazione dei dati raccolti in base ad esso oppure all´impiego di questi ultimi a fini diversi da quello di impedire l´ingresso illegale di persone nel territorio dell´Unione. La Corte di giustizia rileva infine che il regolamento è stato adottato su un adeguato fondamento giuridico e che la procedura che ha portato all’adozione del testo applicabile nel caso di specie non è viziata, dato che il Parlamento vi ha pienamente partecipato come colegislatore. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo,17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-291/12, Michael Schwarz / Stadt Bochum) [1] Regolamento (Ce) n. 2252/2004 del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri (Gu L 385, pag. 1), come modificato dal regolamento (Ce) n. 444/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009 (Gu L 142, pag. 1, e rettifica Gu L 188, pag. 127). [2] E i documenti di viaggio. [3] E ciò in ogni caso all’epoca dell’adozione del regolamento n. 444/2009 che ha sostituito il testo della disposizione contestata del regolamento n. 2252/2004 e che si applica al caso di specie.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ARTICOLI PROMOZIONALI - VALIDO IL DIVIETO DI PUBBLICARLI SENZA LA DICITURA «ANNUNCIO»  
 
Il divieto, per la stampa tedesca, di pubblicare articoli sponsorizzati senza la dicitura «annuncio» («Anzeige») non viola, in linea di principio, il diritto dell’Unione Atteso che il legislatore dell’Unione non ha ancora adottato al riguardo disposizioni legislative per la stampa scritta, gli Stati membri mantengono la loro competenza legislativa in materia In Germania, quasi tutte le leggi regionali relative alla stampa e ai media impongono agli editori di apporre la dicitura «annuncio» («Anzeige»), su ogni pubblicazione a titolo oneroso nei propri periodici, a meno che la collocazione o la struttura della pubblicazione non consenta, in termini generali, di riconoscerne il carattere pubblicitario. In una controversia tra due giornali tedeschi, lo Stuttgarter Wochenblatt e il giornale di inserzioni Good News, il Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione, Germania) chiede se tale divieto sia compatibile con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Lo Stuttgarter Wochenblatt intende far vietare a Good News la pubblicazione di articoli sponsorizzati nei quali non figura la dicitura «annuncio» («Anzeige»). Lo Stuttgarter Wochenblatt reagisce in tal modo alla pubblicazione nel numero di giugno 2009 di Good News di due articoli sponsorizzati. Il primo, intitolato «Vfb Vip-geflüster» («Gossip sui Vip presenti al Vfb») ed era un reportage concernente le personalità presenti alla partita di chiusura della stagione calcistica del club Vfb Stuttgart, nel contesto del campionato federale di calcio tedesco, era sponsorizzato dall’impresa «Scharr». Il secondo, intitolato «Heute: Leipzig» («Oggi: Lipsia»), che faceva parte della serie di articoli intitolata «Wohin Stuttgarter verreisen» («Mete di viaggio degli abitanti di Stoccarda») e consisteva in un breve ritratto della città di Lipsia, era sponsorizzato dalla Germanwings. Tali articoli presentavano, entrambi, la dicitura «Sponsored by» («sponsorizzato da»), ma non la dicitura «Anzeige», che tuttavia è imposta dalla legge regionale sulla stampa. Con la sentenza odierna, la Corte di giustizia dichiara che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in tali circostanze, non è intesa a tutelare il concorrente di un editore che ha pubblicato articoli sponsorizzati tali da promuovere i prodotti o i servizi dello sponsor privi della dicitura «annuncio». Tale direttiva, pertanto, non osta all’applicazione di una disposizione nazionale ai sensi della quale gli editori sono tenuti ad apporre una dicitura specifica, nella specie il termine «annuncio» («Anzeige»), su ogni pubblicazione nei loro periodici per la quale essi percepiscano un corrispettivo, a meno che la collocazione o la struttura della pubblicazione non consentano, in linea generale, di riconoscerne il carattere pubblicitario. Certo, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali impone alle imprese inserzioniste l’obbligo di indicare chiaramente di aver finanziato un contenuto redazionale nei media ove tale contenuto sia inteso alla promozione di loro prodotti o servizi. In assenza di una siffatta indicazione chiara, si è in presenza di una pratica commerciale sleale, e pertanto vietata, da parte dello sponsor. Orbene, in linea di principio, tale divieto non si applica all’editore che pubblica l’articolo sponsorizzato. Solo quando ha agito in nome e/o per conto dello sponsor ‒ il che non si verifica nella specie ‒ l’editore è anch’esso soggetto all’obbligo previsto dalla direttiva. Questo non impedisce, tuttavia, che il divieto di pratiche commerciali sleali possa essere direttamente applicabile a un editore qualora promuova il proprio prodotto, vale a dire il giornale, ad esempio offrendo giochi, enigmistica o concorsi a premi. Il legislatore dell’Unione europea, pur avendo già previsto, nel contesto di un’altra direttiva, gli obblighi dei fornitori di media audiovisivi ove i loro servizi o programmi siano sponsorizzati da imprese terze, non ha ancora adottato una normativa di tale natura con riguardo alla stampa. Pertanto, gli Stati membri mantengono la loro competenza quanto all’imposizione agli editori di obblighi intesi alla segnalazione ai lettori dell’esistenza di sponsorizzazioni di contenuti redazionali, pur nel rispetto delle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, segnatamente di quelle relative alla libera prestazione di servizi e alla libertà di stabilimento. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-391/12, Rlvs Verlagsgesellschaft mbH / Stuttgarter Wochenblatt Gmbh)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: VENDITE TRANSFRONTALIERE - SITO INTERNET DEL COMMERCIANTE E TUTELA DEL CONSUMATORE  
 

La Corte precisa la portata della tutela dei consumatori nelle vendite transfrontaliere.

Un consumatore può convenire dinanzi ai giudici nazionali il commerciante estero con il quale abbia concluso un contratto qualora sia dimostrato che quest’ultimo ha diretto le proprie attività verso lo Stato del consumatore, anche qualora il mezzo utilizzato per dirigere in tal senso le proprie attività non sia stato all’origine della conclusione del contratto

Il regolamento n. 44/2001 determina la competenza dei giudici in materia civile e commerciale. Il principio fondamentale è che i giudici competenti sono quelli dello Stato membro in cui il convenuto ha il domicilio. Tuttavia, in determinate ipotesi, il convenuto può essere citato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro. Così, in caso di contratti di consumo, il consumatore può altresì scegliere di agire in giudizio dinanzi al tribunale del luogo del suo domicilio, ove ricorrano due presupposti. Da un lato, il commerciante deve esercitare le proprie attività commerciali o professionali nello Stato membro di residenza del consumatore oppure dirigere, con qualsiasi mezzo (ad esempio attraverso Internet), le proprie attività verso tale Stato membro; dall’altro, il contratto deve rientrare nell’ambito di dette attività.

Il sig. Sabranovic commercializza a Spicheren, località situata in Francia in prossimità del confine tedesco, vetture usate. Egli disponeva di un sito Internet sul quale erano indicati i numeri di telefono francesi e un numero di telefono cellulare tedesco, accompagnati dai rispettivi prefissi internazionali. Il sig. Emrek, residente a Saarbrücken (Germania) apprendeva tramite conoscenti (e non attraverso il sito Internet) dell’esistenza dell’impresa del sig. Sabranovic, vi si recava e  acquistava un veicolo usato.

Successivamente, il sig. Emrek conveniva in giudizio il sig. Sabranovic con azione in garanzia dinanzi all’Amtsgericht (Pretura di) Saarbrücken. Egli riteneva che, ai sensi del regolamento n. 44/2001, tale giudice fosse competente a conoscere dell’azione. Infatti, dal contenuto del sito Internet del sig. Sabranovic risulterebbe che l’attività commerciale di quest’ultimo è parimenti diretta verso la Germania. Orbene, l’Amtsgericht, non essendo dello stesso avviso, dichiarava il ricorso irricevibile.

Il Landgericht (tribunale regionale di) Saarbrücken, dinanzi al quale il sig. Emrek ha proposto appello, ritiene, invece, che l’attività del sig. Sabranovic fosse diretta verso la Germania. Si chiede, tuttavia, se, nel caso di specie, debba sussistere un nesso di causalità tra il mezzo, vale a dire il sito Internet, utilizzato per dirigere l’attività commerciale verso lo Stato membro del domicilio del consumatore e la conclusione del contratto con il consumatore medesimo.

La Corte di giustizia rileva, anzitutto, che il tenore stesso del regolamento non richiede espressamente la sussistenza di un simile nesso di causalità. Inoltre, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che il requisito essenziale per applicare la disposizione in questione è quello legato all’attività commerciale o professionale diretta verso lo Stato del domicilio del consumatore, requisito che il Landgericht considera soddisfatto.

In secondo luogo, la Corte ritiene che postulare l’ulteriore requisito del nesso di causalità, non previsto dal regolamento, risulterebbe in conflitto con l’obiettivo perseguito da quest’ultimo, ossia quello della tutela dei consumatori, considerati parti deboli dei contratti che concludono con un professionista. Infatti, la necessità della previa consultazione di un sito Internet da parte del consumatore potrebbe far sorgere problemi di prova, in particolare nel caso in cui il contratto, come nella specie, non sia stato concluso a distanza attraverso il sito medesimo. Le difficoltà legate alla prova dell’esistenza di un nesso di causalità potrebbero dissuadere i consumatori dall’adire i giudici nazionali del loro domicilio e indebolirebbero la tutela dei consumatori perseguita dal regolamento.

La Corte risponde dunque che il regolamento non postula la sussistenza di un nesso di causalità tra il mezzo, vale a dire un sito Internet, utilizzato per dirigere l’attività commerciale o professionale verso lo Stato membro del domicilio del consumatore, e la conclusione del contratto con il consumatore medesimo.

Tuttavia, tale nesso di causalità, pur non costituendo un requisito, può nondimeno rappresentare un indizio che il giudice nazionale può prendere in considerazione per determinare se l’attività sia effettivamente diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore.

La Corte rammenta di aver già individuato, nella sua precedente giurisprudenza, un elenco non esaustivo di indizi che possono risultare d’ausilio per il giudice nazionale nella valutazione della sussistenza del requisito essenziale relativo all’attività commerciale diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore. Rientrano fra tali indizi, in particolare, «l’avvio di contatti a distanza» e «la conclusione a distanza di un contratto stipulato con un consumatore», che sono idonei a dimostrare la riconducibilità del contratto ad un’attività diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore.

La Corte dichiara, in conclusione, che spetta giudice del rinvio effettuare una valutazione complessiva delle circostanze in cui il contratto con il consumatore oggetto del procedimento principale è stato stipulato, al fine di determinare se, sulla base dell’esistenza o dell’assenza di elementi ricompresi, o meno, nell’elenco non esaustivo compilato dalla Corte sia applicabile la competenza speciale a favore del consumatore.

(Corte di giustizia dell’Unione europea,

Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-218/12, Lokman Emrek / Vlado Sabranovic)

 
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ACQUE REFLUE URBANE - BELGIO CONDANNATO A PAGARE AMMENDA FORFETARIA E PENALITÀ  
 
Il Belgio è condannato al pagamento di un’ammenda di 10 milioni di euro per l’omessa esecuzione della sentenza della Corte dell’8 luglio 2004 (C-27/03) concernente il trattamento delle acque reflue urbane Al Belgio è parimenti imposto il pagamento di una penalità se non si conforma integralmente alla sentenza C-27/03, la cui omessa esecuzione persiste riguardo a cinque agglomerati La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane disciplina la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali. Essa ha lo scopo di proteggere l´ambiente dalle ripercussioni provocate dallo scarico di acque reflue urbane. Nella sua sentenza dell’8 luglio 2004, Commissione/belgio (C-27/03), la Corte ha dichiarato che il Belgio aveva violato diverse disposizioni di tale direttiva sulla base del rilievo che 114 agglomerati della Regione fiamminga, 60 agglomerati della Regione vallona e l’agglomerato di Bruxelles non si erano conformati ai requisiti della direttiva. Quando è stato introdotto il presente ricorso da parte della Commissione europea, l’infrazione persisteva per un agglomerato fiammingo, 21 agglomerati valloni nonché l’agglomerato di Bruxelles. Successivamente, all’udienza, la Commissione ha convenuto che le misure necessarie non erano state adottate riguardo a soli cinque agglomerati. Alla luce di tali elementi, la Commissione ha modificato le sue domande circoscrivendo ulteriormente l’oggetto della controversia. Nella sua sentenza odierna, anzitutto, la Corte dichiara che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato del 26 giugno 2009, il Belgio non aveva adottato tutte le misure necessarie per conformarsi integralmente alla sentenza del 2004 ed è, pertanto, venuto meno agli obblighi cui è tenuto in forza del Trattato sul funzionamento dell’Ue. Quanto alla determinazione dell’importo della somma forfettaria, la Corte ricorda che l’inadempimento è persistito per circa 9 anni, il che è eccessivo, anche se deve riconoscersi che gli adempimenti da eseguire richiedevano un periodo significativo di diversi anni e che l’esecuzione della sentenza del 2004 va considerata ad un punto avanzato, se non quasi completa. Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la Corte rileva che, classificando l’integralità del suo territorio quale «area sensibile», ai sensi della direttiva, il Belgio ha riconosciuto la necessità di una tutela ambientale rafforzata dello stesso. Orbene, il mancato trattamento delle acque reflue urbane arreca un pregiudizio all’ambiente. Tuttavia, la Corte ricorda che il Belgio ha affrontato investimenti impegnativi per l’esecuzione della sentenza del 2004, compiendo progressi considerevoli. I progressi, peraltro, erano già sostanziali alla scadenza del termine fissato dal parere motivato. Inoltre, la Corte sottolinea che il Belgio ha pienamente cooperato con la Commissione nel corso del procedimento. In tale contesto, la Corte ritiene di procedere a un’equa valutazione delle circostanze del caso fissando una somma forfettaria dell’importo di Eur 10 milioni che il Belgio dovrà versare. Inoltre, tenuto di tutte le circostanze, la Corte considera adeguata l’imposizione di una penalità dell’importo di Eur 4 722 al giorno. Quanto alla periodicità della penalità, conformemente alla proposta della Commissione, dato che la produzione della prova della conformità alla direttiva 91/271 può richiedere un certo tempo, e per tener conto del progresso eventualmente compiuto da detto Stato membro, la Corte considera adeguato un calcolo della penalità effettuato sulla base di periodi di sei mesi, riducendo il totale relativo a tali periodi (vale a dire una penalità di Eur 859 404 per semestre di ritardo) di una percentuale corrispondente alla proporzione che rappresenta il numero di abitanti equivalenti che si trovano in situazione di conformità con la sentenza del 2004. (Corte di giustizia dell’Unione europea,  Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-533/11 Commissione / Belgio)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ITALIA - TARIFFA AGEVOLATA PER L´ELETTRICITÀ - AIUTO DI STATO DEVE ESSERE RECUPERATO SENZA INDUGIO - L’ITALIA È VENUTA MENO AL PROPRIO OBBLIGO DI RECUPERARE GLI AIUTI DI STATO CONCESSI ALL’ALCOA SOTTO FORMA DI TARIFFA AGEVOLATA PER L’ELETTRICITÀ  
 
’Alcoa Trasformazioni srl è una società di diritto italiano appartenente al gruppo Alcoa. Essa produce alluminio primario in Italia. Dal 1996 essa ha beneficiato di una tariffa agevolata per l’elettricità destinata a due stabilimenti di produzione, uno in Sardegna (Portovesme) e l’altro in Veneto (Fusina), grazie a un contratto con il fornitore di energia elettrica (Enel). Tale tariffa, inizialmente fissata per un periodo di dieci anni, era stata autorizzata dalla Commissione, la quale aveva ravvisato l’insussistenza di un aiuto di Stato in quanto, all’epoca, si trattava di un’operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni di mercato. La tariffa è stata prorogata a due riprese – dapprima fino al giugno 2007, poi fino al 2010 – senza essere adattata all’evoluzione del mercato. Nel 2009, la tariffa era sovvenzionata da una tassa imposta ai consumatori di elettricità e non corrispondeva più alle condizioni del mercato. L’importo equivaleva alla differenza tra il prezzo contrattuale pattuito con il fornitore di energia elettrica (Enel) e il prezzo agevolato. Nel 2009 la Commissione ha ritenuto che tali proroghe fossero volte a ridurre i costi operativi dell’Alcoa, procurandole quindi un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Dette proroghe costituivano pertanto aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, che l’Italia doveva recuperare, interessi compresi. L’italia doveva inoltre annullare tutti i pagamenti futuri e comunicare l’importo complessivo dell’aiuto da recuperare, le misure già adottate per conformarsi alla decisione nonché i documenti attestanti che era stato imposto al beneficiario di provvedere al rimborso dell’aiuto. Secondo l’Italia, l’importo da recuperare ammontava all’incirca ad Eur 295 milioni, di cui Eur 38 milioni di interessi. La Commissione, ritenendo che l’Italia non avesse rispettato né l’obbligo d’informazione né l’obbligo di recupero, ha proposto ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia. Nella sua odierna sentenza, la Corte ricorda anzitutto che lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurarne l’esecuzione e deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute. Il recupero va effettuato senza indugio e un recupero successivo ai termini impartiti non può soddisfare i requisiti del Trattato. Poiché la decisione 2010/460 è stata notificata il 20 novembre 2009, il termine scadeva pertanto il 20 marzo 2010. Orbene, a tale data, non era stato recuperato l’intero aiuto. Al contrario, il procedimento di recupero era ancora aperto dopo la proposizione del suddetto ricorso, ossia più di due anni e mezzo dopo la notifica della decisione. Secondo costante giurisprudenza, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi. Tanto nei suoi contatti con la Commissione prima della proposizione del suddetto ricorso quanto nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l’Italia non ha mai fatto valere un’impossibilità assoluta di esecuzione della decisione. Essa si è limitata a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche o pratiche, nonché la propria intenzione di giungere a una soluzione negoziata con l’Alcoa. Per tali motivi, la Corte dichiara che l’Italia è venuta meno al proprio obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi all’Alcoa sotto forma di tariffa agevolata per l’elettricità. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C‑344/12, Commissione / Italia)