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LUNEDI
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Notiziario Marketpress di
Lunedì 21 Ottobre 2013 |
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MERCATO ICT: ANCORA IN CALO - 4,3% NEL 1° SEM 2013 - CRESCONO I SEGMENTI INNOVATIVI + 4,5% |
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Nel primo
semestre del 2013 il mercato Ict Italiano nel suo insieme (servizi e
prodotti delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
infrastrutture di rete e contenuti digitali) ha accelerato la tendenza al ribasso registrando un calo
complessivo di -4,3% rispetto allo stesso periodo del 2012 (quando la
diminuzione era stata dell’1,3% sull’anno prima) e raggiungendo a fine
giugno un valore di mercato di 32.048 milioni di euro. E’ il dato
complessivo che emerge dal Rapporto Assinform relativo all’andamento del
mercato Ict nei primi sei mesi dell’anno.
Lo studio,
realizzato con Netconsulting, evidenzia all’interno del mercato una dinamica
molto differenziata. Alla discesa marcata dei servizi di rete delle Tlc,
-9,2%, dovuta principalmente al costante calo delle tariffe, si affianca una
flessione della componente dispositivi, sw e servizi più ridotta, pari al
-1,5%. Si rileva altresì una crescita del 4,9% dei contenuti e pubblicità on
line e del 4,5% dei segmenti innovativi. Tra questi, in particolare, si
evidenzia l’incremento sia della domanda di tutti quei dispositivi digitali che
innovano attività tradizionali in collegamento con l’uso del web, come le smart
tv, gli e-reader, i navigatori, le fotocamere digitali, sia gli investimenti
per le piattaforme software di e-commerce, di social network, “Internet delle
cose”, i servizi di cloud computing e relativi data center. Allo stesso tempo i
collegamenti in banda larga sono cresciuti del 2,4% per 13,9 milioni di accessi,
ma restano proporzionalmente inferiori a quelli dei principali paesi europei.
Ed ecco il punto: l’innovazione digitale sta penetrando nella società e
nell’industria italiana, trasformando modelli di consumo e di business, ma su
basi ancora troppo limitate e a ritmi troppo lenti, che impediscono di
raggiungere quel livello elevato di pervasività dell’Ict che in altri paesi
costituisce la chiave della ripresa dell’economia.
Allo stato
attuale non esistono i presupposti per un’inversione di tendenza, tanto che le
stime di fine anno confermano per il mercato Ict un calo complessivo del 4,3%
sul 2012, che per la componente dispositivi, sw e servizi diventa -1,7%,
nonostante la crescita dei segmenti innovativi con un trend previsto di 5,2%.
In sostanza, il rapporto Assinform fotografa l’evoluzione che sta
subendo l’Ict, con componenti di nuova generazione che subentrano a componenti
tradizionali - i cui volumi e prezzi calano - ma a ritmi
ancora non sufficienti a far ripartire il mercato. Il nostro paese è quindi in
forte ritardo rispetto all’Europa dove l’incidenza del mercato Ict (che
continua marginalmente a crescere a fronte del -4,3% italiano) sul Pil è
prossima al 7% mentre in Italia è minore del 5%, con gravi ricadute sul settore
ma soprattutto sul mancato sviluppo del nostro sistema economico e produttivo
in generale |
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AMPLIATI I SERVIZI DI ASSISTENZA E INFORMAZIONE AI CONTRIBUENTI - INTESA TRA ENTRATE E DELEGAZIONE REGIONALE DELL’ISTITUTO NAZIONALE TRIBUTARISTI
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La Direzione regionale della
Lombardia dell’Agenzia delle Entrate e l’Istituto Nazionale Tributaristi Int,
Delegazione regionale della Lombardia, hanno siglato lo scorso 14 ottobre un
protocollo d’intesa finalizzato a facilitare l’accesso ai servizi di assistenza
e informazione offerti dall’Amministrazione finanziaria per agevolare
l’adempimento degli obblighi fiscali.
I tributaristi iscritti all’Int rivestono la funzione di
intermediario fiscale abilitato e la struttura è presente sull´intero
territorio nazionale, con 20 delegazioni regionali.
L’intesa segue l’accordo quadro
siglato a livello nazionale il 30 gennaio 2013. L’obiettivo del protocollo
firmato dal direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, Eduardo Ursilli, e
dal delegato regionale lombardo dell’Int, Marco Baroni, è quello di garantire
la semplificazione dei rapporti tra le parti, attraverso un maggior utilizzo
dei canali telematici. In particolare, sono previsti l’attivazione di caselle
di posta elettronica certificata, l’utilizzo prioritario del canale Civis per l’assistenza
sulle comunicazioni di irregolarità e sulle cartelle di pagamento e per la presentazione dei documenti per il controllo formale.
Il canale telematico attuato con
l’Agenzia delle Entrate della Lombardia, oltre a favorire l’abbattimento dei
tempi di attesa allo sportello degli uffici territoriali dell’Agenzia, consente
di richiedere servizi ed effettuare adempimenti in tempo reale quali: duplicato
della tessera sanitaria e del codice fiscale; rilascio variazione e cessazione
partita Iva; registrazione contratti di locazione (Siria web, Iris web,
Locazioni web); accesso al cassetto fiscale degli associati Int lombardi anche
per il reperimento delle informazioni utili agli ulteriori adempimenti fiscali
(es. Versamenti eseguiti, dichiarazioni presentate, stato dei rimborsi).
Per assicurare l’aggiornamento
professionale degli operatori, la
Direzione regionale e l’Int Lombardia si impegnano alla
reciproca assistenza, assicurando l’intervento di qualificati rappresentanti
nelle attività didattiche riguardanti i processi contemplati dall’accordo e le
nuove procedure.
L’intesa dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia con la Delegazione
regionale dei Tributaristi è un ulteriore passo avanti nella semplificazione
dei rapporti con l’Amministrazione finanziaria ed è il frutto di un percorso di
dialogo finalizzato all’individuazione di strumenti operativi che garantiscano servizi diffusi, sempre più
ispirati a criteri di efficienza ed efficacia
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HOTWIRE SVELA IN ANTEPRIMA 3 DIGITAL TREND PER IL 2014 |
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Il 2013 volge al termine e Hotwire, agenzia
globale di relazioni pubbliche e comunicazione integrata, rilascerà a breve la
quinta edizione del suo Digital Trend Report per svelare quelli che saranno i
principali fenomeni che domineranno il panorama digitale nel 2014. In attesa del report
completo Hotwire svela però in anteprima qualche anticipazione, in modo che i
più attenti non si facciano cogliere impreparati!
Le tre
tendenze dominanti del 2013 sono state l’emergere della narrazione, la salute
digitale e l’Ux dei social. Per il
nuovo anno Hotwire ha già individuato delle interessanti
novità, ecco quindi i tre trend da non perdere di vista per il 2014:
-
La nascita delle leggi social: fino ad oggi il nostro sistema
legislativo è stato applicato - anche se non uniformemente - al mondo internet
e dei social network dando vita alle più disparate sentenze relative a diverse
tipologie di reati. Siamo certi che questa situazione cambierà nel corso del
prossimo anno: l’emergere di un numero sempre maggiore di casi giudiziari
legati al mondo online porterà, infatti, a una più precisa definizione della
legge in ambito web.
-
Anonimato: nel mondo post-Snowden tendiamo a essere molto più prudenti
rispetto a ciò che pubblichiamo online e il successo riscontrato dai nuovi
motori di ricerca ‘amici della privacy’ conferma che non si tratta solo di un
trend passeggero.
-
L’era della consapevolezza: il numero di grandi aziende impegnate sul
fronte social è cresciuto in maniera rilevante rispetto agli anni precedenti.
Il 2014 sarà l’anno dell’affermazione e questo trend diventerà un must
universale: se un’azienda non sa ancora come affrontare la questione, è nei
guai.
“Il 2013 sta
volgendo al termine e ha dimostrato che le nostre previsioni erano fondate.
Negli anni abbiamo parlato della necessità di mettere le aziende “sulle mappe”
prima che Google rivelasse che il 97% dei consumatori faceva ricerche di
attività commerciali online, nel 2011 abbiamo affermato che i servizi
location-based sarebbero stati un must e Foursquare ha poi annunciato di aver
raddoppiato la propria base utenti e abbiamo anche predetto l’imponente
crescita dell’interesse per il “grafico”…e Pinterest ha dimostrato che avevamo
ragione” dichiara Alessia
Bulani, Country Manager di Hotwire per l’Italia. “Siamo
giunti alla quinta edizione del nostro report annuale e non vediamo l’ora di
condividere quelli che saranno i trend digitali del 2014, questo vuole essere
solo un piccolo assaggio di ciò che ci aspetta!”
Per chi non
avesse ancora avuto occasione di leggere il report 2013, il white paper è
disponibile per il download gratuito qui oppure è possibile seguire tutti gli
aggiornamenti su Twitter @Hotwirepritaly
#digitaltrend
Info: Hotwire - http://www.hotwirepr.it/ - @Hotwirepritaly.
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I COMMERCIALISTI DI MILANO E I PROTAGONISTI DEI NOSTRI TEMPI -
IL PRIMO APPUNTAMENTO È CON MILENA RIBOTTO, MEDICO DI GUERRA
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L’ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili di Milano - con l’intento di condividere e diffondere i
valori della collettività - inaugura “Il pensiero dei nostri tempi:
riflessioni con i protagonisti”, un ciclo di incontri dedicato ai
grandi temi su cui si interroga oggi la società civile. Momenti di
dialogo e confronto vis à vis con grandi interpreti della cultura,
dell’arte, delle scienze, del diritto e dell’economia.
Primo
appuntamento martedì 22 ottobre: “Conflitti: parole e immagini”,
protagonista Milena Ribotto, medico di guerra della Croce Rossa Internazionale,
che da quindici anni si divide tra l’Italia e i Paesi afflitti dai peggiori
scenari di guerra della storia recente. Afghanistan, Darfur, Libano sono solo
alcuni.
La sua
testimonianza, accompagnata da immagini fotografiche da lei stessa realizzate (vedi
allegato), è un racconto senza filtri delle guerre e del loro drammatico
impatto sulla vita delle popolazioni.
Introduce e
coordina Claudia Mezzabotta, presidente commissione Principi Contabili Odcec di
Milano.
Info: “Conflitti:
parole e immagini” - 22 ottobre
2013, dalle 18 alle 19.30 - Fondazione
Ambrosianeum, Sala Falck, Via delle
Ore 3, Milano - Ingresso
libero fino ad esaurimento dei posti disponibili -
Odcec Milano - tel 02.7773111
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COMPUTERLINKS UNIVERSITY RICONFERMA IL SUO VALORE PER IL CANALE
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L’undicesima edizione ha riscosso un grande successo, con quasi 400
partecipanti, segnando un incremento del 20% rispetto allo scorso anno.
Formula vincente non si cambia e
Computerlinks University, organizzata dal distributore altoatesino, si è
confermata anche quest’anno l’evento a valore dedicato al
canale.
L’undicesima edizione ha visto la partecipazione di quasi 400
partecipanti, con un incremento del 20% rispetto alla giornata del 2012 - e di
25 vendor sponsor che hanno presentato tutte le ultime novità tecnologiche a
portfolio.
La giornata è stata scandita da 38 sessioni tecniche tenute dai vendor e
momenti di confronto nell’ampia area espositiva, durante i quali i partner di
canale hanno avuto la possibilità di approfondire le novità di prodotto e
confrontarsi sulle migliori strategie da mettere in atto per affrontare al
meglio il mercato e le esigenze dei clienti in costante evoluzione.
Tra gli argomenti presi in esame durante la giornata non sono mancati la
sicurezza, la virtualizzazione, il cloud computing, declinato nei differenti
modelli per rispondere a ogni esigenza aziendale, il consolidamento del trend
di Byod, arricchiti da testimonianze dirette di clienti che utilizzano le
tecnologie offerte.
“Siamo orgogliosi del successo ottenuto anche quest’anno dalla nostra
University,” commenta Federico Marini, Amministratore Delegato di Computerlinks
Italia. “La vasta adesione degli operatori di canale ci conferma l’importanza e
il valore aggiunto
offerto anche attraverso questo evento ai nostri partner e vendor, che
approfittano di questa giornata per comprendere, analizzare e valutare le mosse
più adeguate da mettere in atto nei prossimi mesi, per riuscire a cogliere e
sviluppare il maggior numero di opportunità di business”.
Computerlinks conferma la propria solidità, in un momento economico
ancora difficile, con una percentuale di crescita sempre positiva, in linea con
i dati dello scorso anno e nuove strategie di ampliamento della propria offerta
di soluzioni e di raggio d’azione previste per i prossimi mesi. Lo spirito di
innovazione e la volontà costante di supportare al meglio il canale di partner
sono due dei punti fermi che da undici anni caratterizzano l’attività del
distributore a valore.
Info: Computerlinks
- http://www.computerlinks.it/
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SIEMENS EC HA CAMBIATO PELLE: È NATA LA NUOVA UNIFY |
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La multinazionale tedesca Siemens Enterprise Communication ha cambiato nome e dal 15 ottobre è diventata Unify. Un vocabolo che ben identifica l’obiettivo dell’azienda: trasformare le comunicazioni aziendali per dare vita a un nuovo modo di lavorare, riducendo il tempo speso nell’organizzazione ed aumentando quello dedicato alla produttività. Un rebranding sul quale si stava lavorando da un paio d’anni - ha spiegato Riccardo Ardemagni, amministratore delegato della filiale italiana - per avere il pieno controllo del marchio e posizionarci sul mercato delle telecomunicazioni. Siemens, presente su differenti e svariati settori e mercati, aveva la difficoltà di far capire dove è posizionata e, per questo, ha deciso non solo di cambiare completamente il suo nome, ma ha anche dotato Unify di un nuovo prodotto, Ansible, che la caratterizzerà e gli fornirà visibilità. La nuova piattaforma Ansible - studiata per rispondere alle mutazioni del mercato, all’impetuosa avanzata del mobile, all’irrompere dei device personali all’interno delle aziende ed alle nuove organizzazioni del lavoro - sarà sottoposta a test presso alcuni clienti entro l’anno e sarà poi rilasciata il prossimo anno. Ansible supporterà quattro canali di comunicazione - voce, video, testo e condivisione remota dello schermo - e permetterà agli utenti di condurre conversazioni multicanale da dispositivo a dispositivo. L’obiettivo è di dare alle aziende la possibilità di mettere ordine nelle comunicazioni aziendali. - ha spiegato Ardemagni - Daremo la possibilità, indipendentemente dal device utilizzato, di comunicare in modo efficace non perdendo traccia delle comunicazioni. La piattaforma, che sarà offerta anche in modalità Saas, si integra con Open Scape di Siemens e con le soluzioni della concorrenza come quelle di Cisco e Avaya. Il claim scelto da Unify è “Harmonize your enteprise”. Nella nuova avventura Unify ha già coinvolto partner come Telefonica, Ibm, Deutsche Telekom e Verizon |
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GIUSTIZIA: ATTUAZIONE INSUFFICIENTE DELLE NORME SULL´INDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO IN ITALIA
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La Commissione ha inviato lo scorso 17 ottobre un parere motivato all´Italia nella seconda fase della procedura di infrazione, in seguito a denunce relative all´applicazione in tale paese delle norme dell´Ue sull´indennizzo delle vittime di reato (direttiva 2004/80/Ce). In virtù di tali norme, gli Stati membri devono provvedere affinché i loro sistemi di indennizzo nazionali garantiscano un indennizzo equo ed adeguato delle vittime di "reati intenzionali violenti" commessi nei rispettivi territori. L´italia non dispone di alcun sistema generale di indennizzo per tali reati: la sua legislazione prevede soltanto l´indennizzo delle vittime di alcuni reati intenzionali violenti, quali il terrorismo o la criminalità organizzata, ma non di altri. Finora il paese non ha adottato i provvedimenti necessari per modificare la propria legislazione al fine di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa dell´Ue, e di conseguenza alcune vittime di reati intenzionali violenti potrebbero non avere accesso all´indennizzo cui avrebbero diritto. Se l´Italia non ottempererà ai suoi obblighi giuridici entro due mesi, la Commissione potrà decidere di deferirla alla Corte di giustizia |
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KATE HUTCHISON È IL NUOVO CHIEF MARKETING OFFICER DI RIVERBED |
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Riverbed
Technology, l’application performance company, ha nominato Kate Hutchinson
nuovo Chief Marketing Officer (Cmo), la quale riporterà direttamente a Jerry M.
Kennelly, Chairman e Ceo di Riverbed.
Kate Hutchinson arricchisce Riverbed con la
sua consolidata esperienza di business e di marketing. - spiega Kennelly - Il suo ruolo è riconosciuto per lo sviluppo
di strategie che hanno accelerato la crescita e rafforzato alcune delle
maggiori aziende di successo nel settore It, tra cui Polycom, Vmware, Citrix e
Bea. La sua profonda conoscenza dell’industria supporterà l’espansione di
Riverbed, stimolando la domanda in continuo aumento delle nostre soluzioni e
guiderà la crescita dei ritorni sul nostro portfolio prodotti completo.
Prima del suo
ingresso in Riverbed, Kate Hutchinson è stata executive vice president e Cmo di
Polycom, con la responsabilità di guidare la trasformazione e il posizionamento
tra i big player nel segmento del software-driven unified communications e
video collaboration. Tra le esperienze precedenti, ha ricoperto il ruolo di Cmo
e vice president del Marketing in Vmware, nel quale si è occupata di espandere
il posizionamento dell’azienda da vendor hypervisor a fornitore di soluzioni di
virtualizzazione per supportare i clienti nella costruzione di cloud private e
pubbliche. Durante i cinque anni trascorsi in Citrix, Kate Hutchinson ha
supportato lo sviluppo della strategia che ha permesso di raddoppiare i guadagni
dell’azienda e di conquistare una posizione di rilievo nel settore
dell’application access e delivery. In Bea Systems si è occupata di pianificare
e gestire tutte le attività di marketing, nel momento in cui il fatturato è
cresciuto da 300 milioni a 1 miliardo di dollari, inserendola tra le aziende
software più veloci ad aver raggiunto un simile fatturato annuale.
Sono orgogliosa di entrare a far parte del
team Riverbed. - commenta Hutchinson - Nei
prossimi dieci anni di crescita, Riverbed è pronta per supportare i clienti a
superare i limiti imposti dalla distanza e dalle differenti filiali nel momento
dell’implementazione della loro infrastruttura It. Riverbed ha una
straordinaria cultura dell’innovazione e sono lieta di poter contribuire con la
mia esperienza a cavalcare i trend di settore per guidare la crescita dei
ritorni.
Oltre 23.000
aziende in tutto il mondo si affidano a Riverbed per comprendere, ottimizzare e
consolidare la propria infrastruttura It, attraverso soluzioni che superano i
problemi legati alle prestazioni, causati da distanza, computing distribuito e
il continuo aumento di dati. Le organizzazioni It realizzano iniziative
strategiche per virtualizzare, consolidare e migrare i carichi di lavoro in
ambienti cloud, di conseguenza gli utenti vengono posti a distanze sempre
maggiori dai propri dati. Applicazioni lente, trasferimenti di file
interminabili e siti web poco efficienti possono avere un impatto negativo
sulle performance e sul successo di tali iniziative. Riverbed trasforma le performance
It fornendo soluzioni di Wan optimization, storage delivery, application-aware
network performance management, application performance management, application
delivery controller, web content optimization (Wco) e protezione dei dati nella
cloud. Grazie a un portfolio completo di soluzioni dedicate alle performance
che forniscono ottimizzazione ovunque, Riverbed permette alle aziende di
incrementare la produttività e l’efficienza, rafforzando la resilienza,
consentendo il controllo dei costi.
Info:
Riverbed Technology - http://www.riverbed.com/
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LE SOLUZIONI CORPORATE DI PANDA SECURITY SONO COMPATIBILI CON WINDOWS 8.1 E WINDOWS SERVER 2012 R2 |
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I clienti che
effettuano l’upgrade alla nuova release Microsoft beneficeranno immediatamente
della massima protezione.
Panda Security, The Cloud Security Company, annuncia la
compatibilità delle soluzioni Panda Cloud Office Protection (Ocop) e Panda
Cloud Systems Management (Pcsm) con Microsoft Windows 8.1 e Windows Server 2012
R2, disponibili già dallo scorso 18 ottobre.
In questo
modo, ai clienti che effettueranno l’upgrade alle nuove release di
Microsoft sarà garantita subito la massima protezione.
Panda Cloud
Office Protection (Pcop), dedicata a endpoint, laptop e server e Panda Cloud
Systems Management (Pcsm), la piattaforma per gestire, monitorare e supportare
i sistemi It in sede o da remoto, sono compatibili con i nuovi sistemi
operativi Microsoft, ancora prima che siano rilasciati.
“Per Panda
Security è fondamentale essere in grado di rispondere alle necessità degli
utenti e di mantenere un ruolo all’avanguardia nell’evoluzione tecnologica,”
spiega Manuel Santamarìa, Product Manager Director di Panda Security. “Il
nostro portfolio prodotti è stato sviluppato per operare con le nuove versioni
Microsoft, in modo tale che i nostri clienti, qualora decidessero di utilizzare
Windows 8.1 o Windows Server 2012 R2, siano protetti immediatamente ai massimi
livelli.
Info: Panda Security Italia - http://www.pandasecurity.com/
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ARI BOSE È IL CHIEF INFORMATION OFFICER DI BROCADE |
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Brocade ha nominato Ari
Bose Chief Information Officer (Cio), con la responsabilità di guidare la
trasformazione strategica dell’intera azienda, riportando direttamente a Gale
England, vice president of Customer Advocacy e Operational Effectiveness.
Il settore
del data center networking è al centro di una radicale trasformazione. Con
l’aumento della pressione sulle reti aziendali, causata dalla gestione di
volumi di dati in continua crescita e dalla volontà di ottenere il massimo valore dagli
asset esistenti per incrementare l’efficienza di business, le aziende It
assumono ora un ruolo di partner di business strategico e non solo una funzione
di back office.
Bose, nella sua nuova carica, farà leva sull’intero portafoglio di
soluzioni di data center networking di Brocade e dei partner ricoprendo un
ruolo It che guidi l’azienda, continuando il suo progresso e rendendola un
punto di riferimento per il settore. In particolare, Bose avrà la
responsabilità di standardizzare il sistema It interno per supportare la
collaborazione interfunzionale e la gestione della sicurezza delle informazioni
e dei rischi. Una delle principali iniziative sarà di continuare l’espansione della
strategia di virtualizzazione focalizzata sulla rete, in cui Brocade opera al
momento con oltre il 70% di carichi di lavoro virtuali.
“Brocade è all’avanguardia nell’innovazione del data center networking,
accedendo in una nuova “era” di networking con tecnologie rivoluzionarie come
l’Ethernet fabric, funzioni di virtualizzazione di rete e il software-defined
networking,” spiega England. “Diamo l’esempio utilizzando soluzioni
all’avanguardia all’interno del nostro ambiente per progredire nel business, e
il nostro data center ultra moderno ed efficiente a livello energetico è la
testimonianza dell’innovazione It trasformata in azione. Questa struttura
rappresenta l’esempio della possibilità di realizzare un data center dinamico
virtualizzato, che sia allo stesso tempo “green”. La nomina di Bose è
fondamentale per progredire nel massimo rispetto di questi principi.”
Con oltre 30 anni di esperienza nel settore high tech, Bose ha ricoperto
numerose posizioni di Cio in aziende di networking e It. Di recente, è stato
senior vice president e Cio di Polycom, dove ha guidato la trasformazione
dell’intera organizzazione It. È stato responsabile anche della rete interna di
comunicazione visiva. In precedenza, è stato senior vice president e Cio di
Utstarcom e ha avuto ruoli di seniority in aziende come 3Com, Bay Networks e
Apple.
“È corretto ammettere che il mercato del networking stia cambiando a una
velocità esponenziale, soprattutto per le richieste degli utenti e le pressioni
fiscali,” spiega Bose. “Brocade possiede quasi 20 anni di esperienza nella
guida dell’innovazione del data center e sono orgoglioso di entrare a far parte
di questa azienda. Sono entusiasta di come il data center del futuro possa
guidare la trasformazione del business. Assistendo alla nostra adozione di
fabric e architetture altamente virtualizzate sono fiducioso che altre aziende
capiranno come Brocade possa permettere un cambiamento anche all’interno dei
loro ambienti.”
Info: Brocade - http://www.brocade.com/
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GIUSTIZIA EUROPEA: ALLEVAMENTI OVINI E CAPRINI - LEGITTIMO L´OBBLIGO DI IDENTIFICAZIONE ELETTRONICA INDIVIDUALE |
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L’obbligo di
identificazione elettronica individuale per gli ovini e i caprini è valido.
Quando ha adottato
tale misura, volta a una migliore prevenzione delle epizoozie, il legislatore europeo
non ha violato la libertà d’impresa degli allevatori né infranto il principio
della parità di trattamento
Fino all’importante
epidemia di afta epizootica del 2001, gli allevatori di ovini e di caprini
dovevano marchiare i loro animali solo attraverso un marchio auricolare o un
tatuaggio, atti a consentire l’individuazione dell’azienda di provenienza. Dovevano
inoltre tenere un registro indicante il numero totale di ovini e caprini
presenti ciascun anno nell’azienda. Orbene,
durante tale epizoozia, si è dovuto procedere all’abbattimento sistematico di
diversi milioni di animali, in ragione di ovini non identificati e dell’assenza
di tracciabilità, per poi scoprire che un grande numero di essi non era
infetto. Oltre a ciò, è stato necessario ricorrere a varie restrizioni in seno
all’Unione e a un divieto su scala mondiale di tutte le esportazioni di
bestiame, di carne e di prodotti di origine animale a partire dal Regno Unito.
Ai fini di una
miglior prevenzione di epidemie di questo tipo e di un migliore funzionamento
degli scambi di ovini e di caprini fra gli Stati membri, il legislatore
dell’Unione ha introdotto un nuovo sistema per
cui ciascun animale deve essere identificato individualmente attraverso due strumenti:
un marchio auricolare tradizionale e un dispositivo elettronico. Quest’ultimo
può avere la forma di un marchio auricolare elettronico, di un bolo ruminale,
di un transponder iniettabile o di un marchio elettronico sul pastorale.
L’identità di ciascun animale deve inoltre essere iscritta in un registro
d’azienda. Inoltre, quando gli animali lasciano l’azienda, i loro movimenti
devono essere registrati in un documento di accompagnamento. In aggiunta, ogni
Stato membro è tenuto a predisporre un registro centrale o una banca dati
informatica in cui registrare tutte le aziende situate sul proprio territorio e
ad effettuare, a scadenze regolari, un censimento degli animali detenuti in
tali aziende.
Il sig. Schaible,
un allevatore di ovini tedesco che detiene 450 pecore, ha presentato un ricorso
dinanzi al Verwaltungsgericht Stuttgart (Tribunale amministrativo di Stoccarda,
Germania), al quale ha chiesto di dichiarare che egli non è soggetto né agli
obblighi di identificazione individuale e di identificazione elettronica
individuale dei propri animali, né all’obbligo di tenere un registro d’azienda.
In tale contesto, il Tribunale amministrativo ha chiesto alla Corte di giustizia
di accertare se tali obblighi siano validi oppure se violino la libertà di
impresa e il principio della parità di trattamento.
Nell’odierna sentenza, la Corte dichiara che gli
obblighi per gli allevatori di ovini e di caprini di identificare i loro
animali individualmente ed elettronicamente, nonché di tenere un registro
d’azienda, non violano né la libertà d’impresa né il principio della parità di
trattamento.
Benché tali
obblighi possano limitare l’esercizio della libertà d’impresa, essi sono tuttavia giustificati da obiettivi
legittimi di interesse generale, segnatamente la tutela sanitaria, la lotta
contro le epizoozie e il benessere degli animali, nonché la realizzazione del
mercato interno di tali animali.
Infatti, agevolando
la tracciabilità di ciascun animale e permettendo quindi alle autorità
competenti, in caso di epizoozia, di adottare i provvedimenti necessari ad
impedire la propagazione di malattie contagiose fra gli ovini e i caprini, tali
obblighi sono adeguati e necessari al fine di conseguire i suddetti obiettivi.
Inoltre, gli
obblighi in questione non sono sproporzionati. Riguardo agli oneri economici che ad essi conseguono
per gli allevatori, la Corte richiama vari elementi che occorre considerare:
(i) i costi possono essere meno elevati rispetto ai costi di strumenti non
selettivi, quali il divieto di esportazioni o l’abbattimento preventivo di
bestiame in caso di comparsa di una malattia,
(ii) il nuovo sistema prevede diverse deroghe,
(iii) l’obbligo di identificazione elettronica è stato introdotto solo in
modo progressivo e
(iv) gli allevatori hanno la possibilità di ottenere un aiuto finanziario a
copertura parziale dei costi aggiuntivi legati all’introduzione del sistema.
Quanto al benessere degli animali, la Corte
osserva che il fatto che debbano essere applicati sugli animali due mezzi di
identificazione, anziché uno solo, e che i nuovi mezzi di identificazione
provochino statisticamente maggiori lesioni e complicazioni rispetto ai
dispositivi tradizionali, non sono tali da dimostrare che la valutazione del
legislatore dell’Unione in merito ai vantaggi dell’introduzione dell’obbligo di
identificazione elettronica degli ovini e dei caprini fosse errata. La Corte
rileva inoltre che il nuovo sistema contribuisce in modo attivo a proteggere il
benessere degli animali, in quanto facilita la lotta contro le epizoozie e
permette così di evitare di dover abbattere animali infetti.
Il nuovo sistema
rispetta anche il principio della parità
di trattamento.
Infatti, la deroga che autorizza gli Stati membri aventi un patrimonio ovino o
caprino ridotto a rendere facoltativo il sistema di
identificazione elettronica non discrimina gli allevatori stabiliti in uno
Stato membro dove tale identificazione è obbligatoria. La Corte rileva, in particolare,
che le soglie previste sono ragionevoli e proporzionate ai fini previsti dal
nuovo sistema e che detta deroga si applica soltanto agli animali non destinati
agli scambi intracomunitari.
Infine, tale
sistema non è neppure tale da discriminare gli allevatori di ovini e di caprini
rispetto agli allevatori di bovini e di
suini, i quali non sono soggetti ai
medesimi obblighi. Infatti, nonostante talune similitudini, sussistono, fra
questi diversi tipi di mammiferi, differenze tali da giustificare un quadro
normativo specifico per ciascuna specie. In considerazione del contesto della
crisi dell’afta epizootica del 2001, il legislatore dell’Unione poteva
legittimamente introdurre una normativa specifica che prevedeva
l’identificazione elettronica degli ovini e dei caprini, particolarmente
interessati da tale crisi. Tuttavia, la Corte rileva che, benché il legislatore
potesse legittimamente basarsi su un approccio progressivo per l’introduzione
dell’identificazione elettronica, esso è tenuto, in considerazione degli
obiettivi del regolamento censurato, a valutare la necessità di procedere al
riesame delle misure istituite, in particolare per quanto riguarda il carattere
facoltativo oppure obbligatorio dell’identificazione elettronica.
(Corte di giustizia dell’Unione europea
, Lussemburgo, 17 ottobre
2013, sentenza nella causa C-101/12, Herbert
Schaible/land Baden-wurttemberg)
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GIUSTIZIA EUROPEA: ITALIA - ANNULLATO BANDO DI CONCORSO UE PER PROVE OBBLIGATORIE IN ALCUNE LINGUE UFFICIALI |
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Il Tribunale dell´Unione europea ha annullato il bando di concorso
generale Epso/ad/177/10, volto a costituire elenchi di riserva per l’assunzione
di amministratori (Ad 5) nei settori «Amministrazione pubblica europea»,
«Diritto», «Economia», «Audit» e «Tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (Tic)».
I potenziali candidati dovevano possedere conoscenze linguistiche di
una prima lingua fra le (allora) 23 ufficiali della Ue ed una «conoscenza
soddisfacente del francese, dell’inglese o del tedesco» come seconda lingua,
obbligatoriamente diversa dalla lingua principale, Ciò, tanto per l´ammissione,
quanto per un test di accesso, un test sulle competenze di ragionamento ed
per test di valutazione delle
competenze..
L´italia ha
chiesto l´annullamento del Concorso, per violazione regolamento n. 1/1958
sul regime linguistico, della Carta dei diritti fondamentali, dello Statuto dei
funzionari dell’Unione europea
Il Tribunale
ha verificato se il requisito della conoscenza di una delle tre lingue in
questione potesse essere giustificato dall’interesse del servizio. E´ giunto
alla conclusione che gli elementi del bando di concorso non consentono di
verificare se l’interesse del servizio potesse giustificare la deroga alla
regola enunciata all’articolo 1 del regolamento n. 1/58.
Il Tribunale
sottolinea che l’interesse del servizio può costituire un obiettivo legittimo
idoneo ad essere preso in considerazione. In particolare, l’articolo 1
quinquies dello Statuto autorizza limitazioni ai principi di non
discriminazione e di proporzionalità. È necessario però che tale interesse del
servizio sia oggettivamente giustificato e che il livello di conoscenze
linguistiche richiesto risulti proporzionato alle effettive esigenze del
servizio.
Da segnalare che nel corso del procedimento,
la Commissione ha riformulato le proprie conclusioni e ha chiesto al Tribunale
di annullare il bando di concorso e di voler precisare che tutte le decisioni
assunte nel corso della procedura di concorso oggetto del medesimo bando, così
come le nomine effettuate sulla base della lista di riserva corrispondente,
sarebbero rimaste pienamente valide, a tutela degli interessi legittimi delle
persone interessate.(Tribunale, sentenza
nella causa T‑248/10, Italia/commissione)
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GIUSTIZIA EUROPEA: PASSAPORTO BIOMETRICO - LECITO IMPORRE INSERIMENTO IMPRONTE DIGITALI |
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Il rilevamento e la
conservazione nel passaporto delle impronte digitali lede i diritti al rispetto
della vita privata e alla tutela dei dati personali, ma tali misure sono
giustificate dal fine di impedire qualsiasi uso fraudolento dei passaporti
Il regolamento n.
2252/2004[prevede che i passaporti presentino
un supporto di memorizzazione altamente protetto che contiene, accanto
all’immagine del volto, due impronte digitali. Queste possono essere utilizzate
al solo scopo di verificare l’autenticità del passaporto e l’identità del suo
titolare.
Il sig. Schwarz ha
chiesto all’amministrazione della città di Bochum (Germania) il rilascio di un
passaporto, rifiutandosi però di farsi rilevare le impronte digitali. Poiché l’autorità
ha respinto la sua richiesta, il sig. Schwarz ha proposto ricorso dinanzi al
Verwaltungsgericht Gelsenkirchen (tribunale amministrativo di Gelsenkirchen,
Germania), affinché ingiungesse all’amministrazione di rilasciargli il
passaporto senza prelevargli le impronte digitali.
In tale contesto,
il tribunale amministrativo chiede alla Corte se il regolamento,
obbligando chi richiede il passaporto a far rilevare le proprie impronte
digitali e prevedendo la conservazione di queste nel passaporto, sia valido, in
particolare, alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea.
Con la sentenza
odierna la Corte di giustizia risponde
in senso affermativo a tale domanda.
Sebbene il
rilevamento delle impronte digitali e la loro conservazione nel passaporto
costituiscano un pregiudizio ai diritti al rispetto della vita privata e alla
tutela dei dati personali, tali misure sono in ogni caso giustificate dallo
scopo di preservare i passaporti dagli usi fraudolenti.
La Corte osserva al
riguardo che le misure contestate perseguono, in particolare, l’obiettivo
d’interesse generale di impedire l’ingresso illegale di persone nell’Unione
europea. A tal fine, esse mirano a prevenire la falsificazione dei passaporti e
a impedirne l’uso fraudolento.
Innanzitutto, non
si evince dagli elementi messi a disposizione della Corte, né è stato
sostenuto, che tali misure non rispettino il contenuto essenziale dei diritti
fondamentali di cui trattasi.
Inoltre, le misure
contestate sono idonee a conseguire lo scopo di preservare i passaporti da un uso fraudolento, riducendo
notevolmente il rischio che a persone non autorizzate sia erroneamente
consentito entrare nel territorio dell’Unione europea.
Infine, le misure
contestate non eccedono quanto necessario al conseguimento del suddetto scopo.
Infatti, per quanto
attiene al rilevamento delle impronte
digitali, non è stata riferita alla Corte l’esistenza di misure
sufficientemente efficaci che siano meno pregiudizievoli. La Corte rileva in
particolare che il grado di maturità tecnologica del metodo basato sul
riconoscimento dell’iride non è pari a quello del metodo basato sulle impronte
digitali e che, dati i costi al momento molto più elevati, tale metodo è meno
adatto a un impiego generalizzato.
Quanto al trattamento delle impronte digitali, la
Corte rileva che queste svolgono un ruolo specifico nel settore
dell´identificazione delle persone in generale. Infatti, il confronto delle
impronte digitali rilevate in un luogo con quelle memorizzate in una banca dati
consente di dimostrare la presenza in tale luogo di una determinata persona,
che ciò avvenga nell’ambito di un´indagine penale oppure allo scopo di
sorvegliare indirettamente tale persona.
La Corte tuttavia
osserva che il regolamento
precisa espressamente che le impronte digitali possono essere utilizzate
soltanto allo scopo di verificare l´autenticità del passaporto e l’identità del
suo titolare. Per di più, il regolamento
prevede che le impronte digitali siano conservate solamente all’interno del
passaporto, il quale permane di esclusivo possesso del suo titolare. Non
prevedendo nessun’altra forma né strumento per conservare tali impronte, il regolamento non può essere
interpretato come idoneo a fornire, in quanto tale, un fondamento giuridico ad
una eventuale centralizzazione dei dati raccolti in base ad esso oppure
all´impiego di questi ultimi a fini diversi da quello di impedire l´ingresso
illegale di persone nel territorio dell´Unione.
La
Corte di giustizia rileva infine che il regolamento
è stato adottato su un adeguato fondamento giuridico e che la procedura che ha
portato all’adozione del testo applicabile nel caso di specie non è viziata, dato
che il Parlamento vi ha pienamente partecipato come colegislatore.
(Corte di giustizia dell’Unione europea,
Lussemburgo,17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-291/12, Michael Schwarz / Stadt
Bochum)
[1] Regolamento (Ce) n. 2252/2004 del Consiglio, del 13 dicembre 2004,
relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi
biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati
membri (Gu L 385, pag. 1), come modificato dal regolamento (Ce) n. 444/2009 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009 (Gu L 142, pag. 1, e
rettifica Gu L 188, pag. 127).
[2] E i documenti di viaggio.
[3] E ciò in ogni caso all’epoca dell’adozione del regolamento n. 444/2009 che ha sostituito il testo della
disposizione contestata del regolamento n. 2252/2004 e che si applica al
caso di specie.
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GIUSTIZIA EUROPEA: ARTICOLI PROMOZIONALI - VALIDO IL DIVIETO DI PUBBLICARLI SENZA LA DICITURA «ANNUNCIO» |
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Il divieto, per la stampa
tedesca, di pubblicare articoli sponsorizzati senza la dicitura «annuncio»
(«Anzeige») non viola, in linea di principio, il diritto dell’Unione
Atteso che il
legislatore dell’Unione non ha ancora adottato al riguardo disposizioni
legislative per la stampa scritta, gli Stati membri mantengono la loro
competenza legislativa in materia
In Germania, quasi
tutte le leggi regionali relative alla stampa e ai media impongono agli editori
di apporre la dicitura «annuncio» («Anzeige»), su ogni pubblicazione a titolo
oneroso nei propri periodici, a meno che la collocazione o la struttura della
pubblicazione non consenta, in termini generali, di riconoscerne il carattere
pubblicitario.
In una controversia tra due giornali
tedeschi, lo Stuttgarter Wochenblatt e il giornale di inserzioni Good News, il Bundesgerichtshof (Corte
federale di cassazione, Germania) chiede se tale divieto sia compatibile con la
direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
Lo Stuttgarter Wochenblatt intende far vietare a Good News
la pubblicazione di articoli sponsorizzati nei quali non figura la dicitura
«annuncio» («Anzeige»). Lo
Stuttgarter Wochenblatt reagisce in tal modo alla pubblicazione nel numero di
giugno 2009 di Good News di due articoli sponsorizzati. Il primo, intitolato
«Vfb Vip-geflüster» («Gossip sui Vip presenti al Vfb») ed era un reportage
concernente le personalità presenti alla partita di chiusura della stagione
calcistica del club Vfb Stuttgart, nel contesto del campionato federale di
calcio tedesco, era sponsorizzato dall’impresa «Scharr». Il
secondo, intitolato «Heute: Leipzig» («Oggi: Lipsia»), che faceva parte della
serie di articoli intitolata «Wohin Stuttgarter verreisen» («Mete di viaggio
degli abitanti di Stoccarda») e consisteva in un breve ritratto della città di
Lipsia, era sponsorizzato dalla Germanwings. Tali articoli presentavano,
entrambi, la dicitura «Sponsored by» («sponsorizzato da»), ma non la dicitura
«Anzeige», che tuttavia è imposta dalla legge regionale sulla stampa.
Con la sentenza odierna, la Corte di
giustizia dichiara che la direttiva
sulle pratiche commerciali sleali, in tali circostanze, non è intesa a tutelare il concorrente di un editore che ha pubblicato
articoli sponsorizzati tali da promuovere i prodotti o i servizi dello sponsor
privi della dicitura «annuncio». Tale direttiva, pertanto, non osta
all’applicazione di una disposizione nazionale ai sensi della quale gli
editori sono tenuti ad apporre una dicitura specifica, nella specie il termine
«annuncio» («Anzeige»), su ogni pubblicazione nei loro periodici per la quale
essi percepiscano un corrispettivo, a meno che la collocazione o la struttura
della pubblicazione non consentano, in linea generale, di riconoscerne il
carattere pubblicitario.
Certo, la direttiva sulle pratiche
commerciali sleali impone alle imprese
inserzioniste l’obbligo di indicare chiaramente di aver finanziato un
contenuto redazionale nei media ove tale contenuto sia inteso alla promozione
di loro prodotti o servizi. In assenza di una siffatta indicazione chiara, si è
in presenza di una pratica commerciale sleale, e pertanto vietata, da parte
dello sponsor.
Orbene, in linea di principio, tale
divieto non si applica all’editore che pubblica l’articolo sponsorizzato. Solo
quando ha agito in nome e/o per conto dello sponsor ‒ il che non si verifica
nella specie ‒ l’editore è anch’esso soggetto all’obbligo previsto dalla
direttiva. Questo non impedisce, tuttavia, che il divieto di pratiche
commerciali sleali possa essere direttamente applicabile a un editore qualora
promuova il proprio prodotto, vale a dire il giornale, ad esempio offrendo
giochi, enigmistica o concorsi a premi.
Il legislatore dell’Unione europea, pur
avendo già previsto, nel contesto di un’altra direttiva,
gli obblighi dei fornitori di media audiovisivi ove i loro servizi o programmi
siano sponsorizzati da imprese terze, non ha ancora adottato una normativa di
tale natura con riguardo alla stampa. Pertanto, gli Stati membri mantengono la
loro competenza quanto all’imposizione agli editori di obblighi intesi alla
segnalazione ai lettori dell’esistenza di sponsorizzazioni di contenuti
redazionali, pur nel rispetto delle disposizioni del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, segnatamente di quelle relative alla libera prestazione di
servizi e alla libertà di stabilimento.
(Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-391/12, Rlvs
Verlagsgesellschaft mbH / Stuttgarter Wochenblatt Gmbh) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: VENDITE TRANSFRONTALIERE - SITO INTERNET DEL COMMERCIANTE E TUTELA DEL CONSUMATORE |
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La Corte precisa la
portata della tutela dei consumatori nelle vendite transfrontaliere.
Un consumatore può
convenire dinanzi ai giudici nazionali il commerciante estero con il quale abbia
concluso un contratto qualora sia dimostrato che quest’ultimo ha diretto le
proprie attività verso lo Stato del consumatore, anche qualora il mezzo
utilizzato per dirigere in tal senso le proprie attività non sia stato
all’origine della conclusione del contratto
Il regolamento
n. 44/2001 determina la competenza dei giudici in materia civile e commerciale. Il
principio fondamentale è che i giudici competenti sono quelli dello Stato
membro in cui il convenuto ha il domicilio. Tuttavia, in determinate ipotesi,
il convenuto può essere citato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro.
Così, in caso di contratti di consumo, il consumatore può altresì scegliere di agire
in giudizio dinanzi al tribunale del luogo del suo domicilio, ove ricorrano due
presupposti. Da un lato, il commerciante deve esercitare le proprie attività
commerciali o professionali nello Stato membro di residenza del consumatore
oppure dirigere, con qualsiasi mezzo (ad esempio attraverso Internet), le
proprie attività verso tale Stato membro;
dall’altro, il contratto deve rientrare nell’ambito di dette attività.
Il
sig. Sabranovic commercializza a Spicheren, località situata in Francia in
prossimità del confine tedesco, vetture usate. Egli disponeva di un sito
Internet sul quale erano indicati i numeri di telefono francesi e un numero di
telefono cellulare tedesco, accompagnati dai rispettivi prefissi
internazionali. Il sig. Emrek, residente a Saarbrücken (Germania) apprendeva
tramite conoscenti (e non attraverso il sito Internet) dell’esistenza
dell’impresa del sig. Sabranovic, vi si recava e acquistava un veicolo usato.
Successivamente, il
sig. Emrek conveniva in giudizio il sig. Sabranovic con azione in garanzia
dinanzi all’Amtsgericht (Pretura di) Saarbrücken. Egli riteneva che, ai sensi
del regolamento n. 44/2001, tale giudice fosse competente a conoscere dell’azione.
Infatti, dal contenuto del sito Internet del sig. Sabranovic risulterebbe che
l’attività commerciale di quest’ultimo è parimenti diretta verso la Germania.
Orbene, l’Amtsgericht, non essendo dello stesso avviso, dichiarava il ricorso irricevibile.
Il Landgericht
(tribunale regionale di) Saarbrücken, dinanzi al quale il sig. Emrek ha
proposto appello, ritiene, invece, che l’attività del sig. Sabranovic fosse
diretta verso la Germania. Si chiede, tuttavia, se, nel caso di specie, debba
sussistere un nesso di causalità tra il mezzo, vale a dire il sito Internet,
utilizzato per dirigere l’attività commerciale verso lo Stato membro del
domicilio del consumatore e la conclusione del contratto con il consumatore
medesimo.
La Corte di
giustizia rileva, anzitutto, che il tenore stesso del regolamento non richiede
espressamente la sussistenza di un simile nesso di causalità. Inoltre, la Corte
ha già avuto modo di dichiarare che il requisito essenziale per applicare la
disposizione in questione è
quello legato all’attività commerciale o professionale diretta verso lo Stato
del domicilio del consumatore, requisito che il Landgericht considera
soddisfatto.
In secondo luogo,
la Corte ritiene che postulare l’ulteriore requisito del nesso di causalità, non
previsto dal regolamento, risulterebbe in conflitto con l’obiettivo perseguito
da quest’ultimo, ossia quello della tutela dei consumatori, considerati parti
deboli dei contratti che concludono con un professionista. Infatti, la
necessità della previa consultazione di un sito Internet da parte del
consumatore potrebbe far sorgere problemi di prova, in particolare nel caso in
cui il contratto, come nella specie, non sia stato concluso a distanza
attraverso il sito medesimo. Le difficoltà legate alla prova dell’esistenza di
un nesso di causalità potrebbero dissuadere i consumatori dall’adire i giudici
nazionali del loro domicilio e indebolirebbero la tutela dei consumatori
perseguita dal regolamento.
La Corte risponde
dunque che il regolamento non postula la
sussistenza di un nesso di causalità tra il mezzo, vale a dire un sito
Internet, utilizzato per dirigere l’attività commerciale o professionale verso
lo Stato membro del domicilio del consumatore, e la conclusione del contratto
con il consumatore medesimo.
Tuttavia, tale nesso di causalità, pur non costituendo
un requisito, può nondimeno rappresentare un indizio che il giudice nazionale
può prendere in considerazione per determinare se l’attività sia
effettivamente diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore.
La Corte rammenta
di aver già individuato, nella sua precedente giurisprudenza,
un elenco non esaustivo di indizi che possono risultare d’ausilio per il
giudice nazionale nella valutazione della sussistenza del requisito essenziale
relativo all’attività commerciale diretta verso lo Stato membro di domicilio
del consumatore. Rientrano fra tali indizi, in particolare, «l’avvio di contatti a distanza» e «la conclusione a distanza di un contratto
stipulato con un consumatore», che sono idonei a dimostrare la
riconducibilità del contratto ad un’attività diretta verso lo Stato membro di
domicilio del consumatore.
La Corte dichiara,
in conclusione, che spetta giudice del rinvio effettuare una valutazione
complessiva delle circostanze in cui il contratto con il consumatore oggetto
del procedimento principale è stato stipulato, al fine di determinare se, sulla
base dell’esistenza o dell’assenza di elementi ricompresi, o meno, nell’elenco
non esaustivo compilato dalla Corte sia applicabile la competenza speciale a
favore del consumatore.
(Corte di giustizia dell’Unione europea,
Lussemburgo, 17 ottobre
2013, sentenza nella causa C-218/12, Lokman Emrek / Vlado
Sabranovic)
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GIUSTIZIA EUROPEA: ACQUE REFLUE URBANE - BELGIO CONDANNATO A PAGARE AMMENDA FORFETARIA E PENALITÀ |
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Il Belgio è condannato al
pagamento di un’ammenda di 10 milioni di euro per l’omessa esecuzione della
sentenza della Corte dell’8 luglio 2004 (C-27/03)
concernente il trattamento delle acque reflue urbane
Al Belgio è parimenti
imposto il pagamento di una penalità se non si conforma integralmente alla
sentenza C-27/03, la cui omessa esecuzione persiste riguardo a cinque
agglomerati
La direttiva sul
trattamento delle acque reflue urbane disciplina
la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il
trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori
industriali. Essa ha lo scopo di proteggere l´ambiente dalle ripercussioni
provocate dallo scarico di acque reflue urbane.
Nella sua sentenza
dell’8 luglio 2004, Commissione/belgio (C-27/03), la
Corte ha dichiarato che il Belgio aveva violato diverse disposizioni di tale
direttiva sulla base del rilievo che 114 agglomerati della Regione fiamminga, 60
agglomerati della Regione vallona e l’agglomerato di Bruxelles non si erano
conformati ai requisiti della direttiva.
Quando è stato
introdotto il presente ricorso da parte della Commissione europea, l’infrazione
persisteva per un agglomerato fiammingo, 21 agglomerati valloni nonché
l’agglomerato di Bruxelles. Successivamente, all’udienza, la Commissione ha
convenuto che le misure necessarie non erano state adottate riguardo a soli
cinque agglomerati. Alla luce di tali
elementi, la Commissione ha modificato le sue domande circoscrivendo
ulteriormente l’oggetto della controversia.
Nella sua sentenza
odierna, anzitutto, la Corte dichiara che, alla scadenza del termine fissato
nel parere motivato del 26 giugno 2009, il Belgio non aveva adottato tutte le
misure necessarie per conformarsi integralmente alla sentenza del 2004 ed è,
pertanto, venuto meno agli obblighi cui è tenuto in forza del Trattato sul
funzionamento dell’Ue.
Quanto alla determinazione
dell’importo della somma forfettaria, la Corte ricorda che l’inadempimento è
persistito per circa 9 anni, il che è eccessivo, anche se deve riconoscersi che
gli adempimenti da eseguire richiedevano un periodo significativo di diversi
anni e che l’esecuzione della sentenza del 2004 va considerata ad un punto
avanzato, se non quasi completa.
Per quanto riguarda
la gravità dell’infrazione, la Corte rileva che, classificando l’integralità
del suo territorio quale «area sensibile», ai sensi della direttiva, il Belgio
ha riconosciuto la necessità di una tutela ambientale rafforzata dello stesso.
Orbene, il mancato trattamento delle acque reflue urbane arreca un pregiudizio
all’ambiente.
Tuttavia, la Corte
ricorda che il Belgio ha affrontato investimenti impegnativi per l’esecuzione
della sentenza del 2004, compiendo progressi considerevoli. I progressi,
peraltro, erano già sostanziali alla scadenza del termine fissato dal parere
motivato. Inoltre, la Corte sottolinea che il Belgio ha pienamente cooperato
con la Commissione nel corso del procedimento.
In tale contesto, la
Corte ritiene di procedere a un’equa valutazione delle circostanze del caso fissando
una somma forfettaria dell’importo di Eur 10 milioni che il Belgio dovrà
versare.
Inoltre, tenuto di
tutte le circostanze, la Corte considera adeguata l’imposizione di una penalità
dell’importo di Eur 4 722 al giorno.
Quanto alla
periodicità della penalità, conformemente alla proposta della Commissione, dato
che la produzione della prova della conformità alla direttiva 91/271 può
richiedere un certo tempo, e per tener conto del progresso eventualmente
compiuto da detto Stato membro, la Corte considera adeguato un calcolo della
penalità effettuato sulla base di periodi di sei mesi, riducendo il totale
relativo a tali periodi (vale a dire una penalità di Eur 859 404 per semestre di
ritardo) di una percentuale corrispondente alla proporzione che rappresenta il
numero di abitanti equivalenti che si trovano in situazione di conformità con la
sentenza del 2004.
(Corte di giustizia dell’Unione europea,
Lussemburgo, 17 ottobre 2013, sentenza nella causa C-533/11
Commissione / Belgio) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: ITALIA - TARIFFA AGEVOLATA PER L´ELETTRICITÀ - AIUTO DI STATO DEVE ESSERE RECUPERATO SENZA INDUGIO - L’ITALIA È VENUTA MENO AL PROPRIO OBBLIGO DI RECUPERARE GLI AIUTI DI STATO CONCESSI ALL’ALCOA SOTTO FORMA DI TARIFFA AGEVOLATA PER L’ELETTRICITÀ |
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’Alcoa
Trasformazioni srl è una società di diritto italiano appartenente al gruppo
Alcoa. Essa produce alluminio primario in Italia.
Dal 1996 essa ha
beneficiato di una tariffa agevolata per l’elettricità destinata a due
stabilimenti di produzione, uno in Sardegna (Portovesme) e l’altro in Veneto
(Fusina), grazie a un contratto con il fornitore di energia elettrica (Enel). Tale
tariffa, inizialmente fissata per un periodo di dieci anni, era stata
autorizzata dalla Commissione, la quale aveva ravvisato l’insussistenza di un
aiuto di Stato in quanto, all’epoca, si trattava di un’operazione commerciale
ordinaria conclusa alle condizioni di mercato.
La tariffa è stata
prorogata a due riprese – dapprima fino al giugno 2007, poi fino al 2010 –
senza essere adattata all’evoluzione del mercato. Nel 2009, la tariffa era
sovvenzionata da una tassa imposta ai consumatori di elettricità e
non corrispondeva più alle condizioni del mercato. L’importo equivaleva alla
differenza tra il prezzo contrattuale pattuito con il fornitore di energia
elettrica (Enel) e il prezzo agevolato.
Nel 2009 la
Commissione ha ritenuto che tali
proroghe fossero volte a ridurre i costi operativi dell’Alcoa, procurandole
quindi un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Dette proroghe costituivano
pertanto aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, che l’Italia
doveva recuperare, interessi compresi.
L’italia doveva inoltre
annullare tutti i pagamenti futuri e comunicare l’importo complessivo dell’aiuto
da recuperare, le misure già adottate per conformarsi alla decisione nonché i
documenti attestanti che era stato imposto al beneficiario di provvedere al
rimborso dell’aiuto.
Secondo l’Italia,
l’importo da recuperare ammontava all’incirca ad Eur 295 milioni, di cui
Eur 38 milioni di interessi.
La Commissione,
ritenendo che l’Italia non avesse rispettato né l’obbligo d’informazione né
l’obbligo di recupero, ha proposto ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte
di giustizia.
Nella sua odierna
sentenza, la Corte ricorda anzitutto che lo Stato membro destinatario di una
decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto ad adottare ogni
misura idonea ad assicurarne l’esecuzione e deve giungere a un effettivo recupero
delle somme dovute. Il recupero va effettuato senza indugio e un recupero
successivo ai termini impartiti non può soddisfare i requisiti del Trattato.
Poiché la decisione
2010/460 è stata notificata il 20 novembre 2009, il termine scadeva pertanto il
20 marzo 2010.
Orbene, a tale
data, non era stato recuperato l’intero aiuto. Al contrario, il procedimento di
recupero era ancora aperto dopo la proposizione del suddetto ricorso, ossia più
di due anni e mezzo dopo la notifica della decisione.
Secondo costante
giurisprudenza, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un
ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione è quello
dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di
cui trattasi.
Tanto nei suoi contatti
con la Commissione prima della proposizione del suddetto ricorso quanto
nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l’Italia non ha mai fatto
valere un’impossibilità assoluta di esecuzione della decisione. Essa si è
limitata a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche o pratiche, nonché
la propria intenzione di giungere a una soluzione negoziata con l’Alcoa.
Per tali motivi, la
Corte dichiara che l’Italia è venuta
meno al proprio obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi all’Alcoa
sotto forma di tariffa agevolata per l’elettricità.
(Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 17 ottobre
2013, sentenza nella causa C‑344/12, Commissione / Italia) |
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