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MERCOLEDI

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Notiziario Marketpress di Mercoledì 10 Giugno 2015
ENERGIA, VIA LIBERA DELLA GIUNTA AL PROTOCOLLO D´INTESA TRA LA REGIONE E CONFSERVIZI EMILIA-ROMAGNA PER LA PROMOZIONE DI INTERVENTI DI RISPARMIO ENERGETICO ED USO EFFICIENTE DELL´ENERGIA. L´INTESA SARÀ SOTTOSCRITTA DALLE PARTI NEI PROSSIMI GIORNI.  
 
Bologna, 10 giugno 2015 – Via libera della Giunta regionale allo schema di Protocollo d’intesa tra la Regione Emilia-romagna e Confservizi Emilia-romagna per la promozione di interventi di risparmio energetico ed uso efficiente dell’energia in attuazione del Piano energetico regionale. L’intesa sarà sottoscritta dalle parti nei prossimi giorni. «La Giunta per raggiungere gli obiettivi della strategia europea 2020 ha deciso - sottolinea l’assessore regionale alle Attività produttive Palma Costi - di condividere obiettivi e strumenti con chi rappresenta le aziende che operano nel settore. Questo, assicurando piena partecipazione a cittadini ed imprese nella costruzione di una economia in grado di ridurre le emissioni di gas climalteranti e di risparmiare energia e orientata all’utilizzo delle fonti rinnovabili». Regione e Confservizi lavoreranno per assicurare un efficace coordinamento tra le funzioni di pianificazione e regolamentazione proprie delle istituzioni territoriali e le attività portate avanti dagli operatori del mercato, al fine di agevolare gli interventi in materia di uso efficiente delle risorse, produzione e impiego delle fonti rinnovabili, generazione distribuita, sviluppo delle reti intelligenti e di servizi energetici. Inoltre si cercheranno ulteriori risorse. Le parti, inoltre, si fanno carico di ricercare ulteriori risorse a livello nazionale e comunitario, al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione di progetti di risparmio energetico. «Gli obiettivi condivisi in materia di energia – aggiunge l’assessore Costi - riguardano la qualificazione energetica dei sistemi urbani e territoriali e delle reti, la mobilità sostenibile e le misure per lo sviluppo dei relativi servizi e infrastrutture, la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica, il recupero di materia ed energia dal ciclo dei rifiuti, il risparmio della risorsa idrica, lo sviluppo di servizi innovativi rivolti all’efficienza energetica per gli utenti finali, lo sviluppo delle filiere della Green Economy . Obiettivo finale : sostenibilita e aumento della occupazione». La Regione promuoverà, inoltre, la stipula di accordi con il sistema bancario e finanziario per favorire l´accesso al credito per investimenti in campo energetico e per l´offerta di soluzioni in modalità Esco (società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica, assumendosi i rischi e i costi dell’iniziativa e condividono i risparmi con il cliente) e Ppp (modello nel quale il settore pubblico e il settore privato collaborano per la realizzazione di progetti concernenti infrastrutture pubbliche) rivolti agli utenti finali. Confservizi collaborerà con la Regione e gli Enti locali attraverso le proprie aziende associate su alcuni ambiti prioritari tra cui nell’attuazione delle misure individuate come prioritarie nei Paes (Piani di azione per l’energia sostenibile) adottati dai Comuni che hanno aderito al Patto dei Sindaci, come la riqualificazione energetica dell’edilizia residenziale pubblica e degli edifici dell’amministrazione (scuole e uffici), la riqualificazione delle infrastrutture energetiche a rete a partire dalla pubblica illuminazione e la diffusione di impianti di teleriscaldamento e teleraffrescamento nelle aree urbane e nelle aree dedicate alle attività produttive in grado di valorizzare le fonti rinnovabili. Fondamentale la collaborazione nella promozione e nel sostegno di progetti di ricerca e/o sperimentazione industriale in campo energetico, avvalendosi dei laboratori della Rete alta tecnologia della Regione. Questo per contribuire alla diffusione delle più avanzate tecnologie in grado di ridurre i consumi energetici, di migliorare l’efficienza energetica nei sistemi di produzione, trasformazione, distribuzione e utilizzo dell’energia e di consentire l’aumento della copertura dei fabbisogni energetici del sistema regionale attraverso le fonti rinnovabili.  
   
   
CENTRALE BIOMASSE DI STRONGOLI  
 
Catanzaro, 10 giugno 2015 - Il Presidente della Regione Mario Oliverio e l’Assessore al Lavoro Carlo Guccione hanno visitato ieri pomeriggio la centrale a biomasse di Strongoli dell’azienda “Biomasse Italia”. L’impianto è il secondo in Europa per la produzione di energia elettrica ed è ai massimi livelli anche per l’impiego di tecnologie che riducono al minimo i fattori di inquinamento ambientale. All’incontro era presente anche la capogruppo in Regione del Movimento “Calabria in rete” Flora Sculco. Al termine della visita è stato sottoscritto un protocollo d’intesa - con allegata scheda del fabbisogno aziendale – inerente il programma “Garanzia Giovani” che prevede la possibilità di ospitare tirocini nell’azienda “Italia Biomasse” e, al termine del percorso di tirocinio, l’assunzione a tempo indeterminato dell’80% dei tirocinanti acquisiti. È stato, inoltre, avviato un confronto sulla problematica avanzata da Italia Biomasse rispetto alla necessità di comprare all’estero il “cippato” di legno necessario ad alimentare la centrale per un valore di trenta milioni di euro. A tal proposito, si è deciso di attivare per i prossimi giorni un tavolo tecnico tra Regione e azienda per realizzare una filiera interamente calabrese che permetta l’acquisto del materiale necessario ad alimentare la centrale direttamente nella nostra regione.  
   
   
PROGETTO ADRIACOLD PER IL RAFFRESCAMENTO CON FONTI RINNOVABILI DEGLI EDIFICI WORKSHOP E VISITA GUIDATA ALL’IMPIANTO PILOTA DI SOLAR COOLING IN AREA SCIENCE PARK  
 
Trieste, 10 giugno 2015 - Consumare meno risorse e mantenere un adeguato comfort nell’ambiente interno degli edifici. Oggi è possibile grazie all’uso di nuove tecnologie in grado di accrescere l’efficienza energetica, ovvero la capacità di “fare le stesse cose ma con meno”. Un obiettivo importante, che l’Unione Europea è impegnata a conseguire mobilitando cittadini, politici, operatori del mercato e fissando norme minime di rendimento energetico applicabili a prodotti, servizi e infrastrutture. Il sole indubbiamente rappresenta la principale fonte di energia rinnovabile e ad esso si collegano le più promettenti tecnologie oggi disponibili. Tra queste il solar cooling, che consente di ridurre il consumo di energia elettrica, in particolare in estate, quando si fa ampio ricorso al condizionamento degli edifici, per lo più con impianti alimentati da chiller elettrici a compressione molto energivori. Questa tecnologia permette di risparmiare energia nelle ore di punta e di ridurre i picchi di consumo, sfruttando l’elevata radiazione solare estiva proprio nel momento in cui è massimo il fabbisogno di raffrescamento, migliorando così la sostenibilità ambientale degli edifici. Nel campus di Basovizza di Area Science Park (Trieste) sono stati realizzati due impianti pilota grazie ai Progetti europei Adriacold ed Emilie. L’impianto di Solar Cooling di Adriacold sarà aperto giovedì 11 giugno alle 17.30 a una visita guidata a dedicata ai giornalisti e ai partecipanti al workshop “Innovazione sostenibile per il condizionamento ambientali di edifici pubblici e privati” (vedi programma allegato). Si segnala inoltre che nel corso del mattino della stessa giornata si terrà, sempre nella Sala Riunioni Edificio T1 del Campus di Basovizza, anche il workshop tecnico “Nuovi trend tecnologici nel settore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili”, organizzato nell’ambito del Progetto-  
   
   
TORINO: “IL SUOLO REGALA TANTO: NON CALPESTIAMOLO!”: UN SEMINARIO NELL’AMBITO DEL PROGETTO EUROPEO LIFE+ SAM4CP  
 

Torino, 10 giugno 2015 - Lunedì 15 giugno nella saletta incontri al 15° piano della sede della Città Metropolitana di Torino, in corso Inghilterra 7, si terrà un seminario pubblico dedicato al progetto “Life+ Sam4cp - Soil Administration Model for Community Profit”, cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Life+ 2013 e coordinato dalla Città Metropolitana di Torino insieme all’Ispra, all’Inea e al Politecnico di Torino – Dist. L’iniziativa è rivolta ad amministratori e funzionari di tutti i Comuni della Città Metropolitana, con l’intento di dimostrare come una pianificazione del territorio che tenga conto nei processi decisionali della valutazione dei benefici ambientali ed economici assicurati dalsuolo libero garantisca alla collettività un risparmio complessivo delle risorse naturali e dellerisorsefinanziarie pubbliche. Lo scorso 24 ottobre, sempre presso la sede della Città Metropolitana di Torino, si è svolto l’evento pubblico di avvio del progetto. La prosecuzione delle attività prevede ora un nuovo momento seminariale rivolto ai Comuni, per dare conto dei primi risultati raggiunti ma, soprattutto, per invogliare gli amministratori locali a presentare nuove candidature al ruolodi Comuni pilota, al fine di sperimentare gli strumenti elaborati nella prima fase del progetto. Al seminario del 15 giugno interverranno i rappresentanti dei partner che collaborano al progetto. A portare il saluto istituzionale della Città Metropolitana di Torino sarà Gemma Amprino, Consigliera metropolitana con deleghe all’Ambiente, sviluppo montano,agricoltura, tutela della fauna e della flora, parchi e aree protette. Paolo Foietta, Direttore dell’Areaterritorio, Trasporti e Protezione Civile, inquadrerà il progettoLife+ Sam4cp nel più complessivo quadro delle politiche che la Provincia di Torino – oggi Città Metropolitana – ha dedicato (prima in Italia) e dedica alla tutela dell’ambiente, del territorio e dei suoli agricoli. Nel pomeriggio verranno fornite ai partecipanti al seminario alcune indicazioni sulle modalità di utilizzo delle Linee Guida per il Sistema del Verde, redatte dal Servizio pianificazione rete ecologica, aree protette e vigilanza ambientale in collaborazione con l’Enea e con il Politecnico di Torino – Dist, in attuazione dell’articolo 35 delle norme di attuazione del Ptc2, il Piano Territoriale di Coordinamento approvato nel 2011 dall’allora Provincia di Torino. Le Linee Guida sono state approvate dalla Giunta provinciale nell’agosto del 2014 e sono consultabili sul sito web dell’Ente all’indirizzo http://www.Provincia.torino.gov.it/territorio/sezioni/
pian_territoriale/rete_ecologica/sistema_del_verde

 

 
   
   
EDILIZIA IN TOSCANA, ARRIVANO I MODELLI TELEMATICI UNICI: MODULI UGUALI PER TUTTI I COMUNI LA SEMPLIFICAZIONE RIGUARDA LE RICHIESTE DI PERMESSO A COSTRUIRE, DI SCIA , COMUNICAZIONE DI INIZIO ATTIVITÀ LIBERA  
 
 Firenze, 10 giugno 2015 - Un altro passo in avanti sul fronte della semplificazione, stavolta nel campo dell´edilizia: meno carta, uso delle nuove tecnologie telematiche ma soprattutto procedure e moduli identici per tutta la Toscana. La semplificazione riguarda le richieste di permesso a costruire, di Scia edilizia, comunicazione di inizio attività libera in edilizia (Cil) e di comunicazione di inizio attività libera asseverata (Cila). Nei mesi scorsi sono stati approvati modelli unici per tutta la Toscana. Adesso la Regione - assieme all´associazione dei Comuni e alla Rete delle professioni tecniche della Toscana, ovvero tecnici e professionisti - ha definito infatti una prima versione di regole e criteri comuni per la gestione telematica dei modelli ed ha messo a disposizione una loro versione in formato pdf editabile sul proprio sito all´indirizzo www.Regione.toscana.it/semplificazione e sulla banca dati degli sportelli per le attività produttive. Modelli che non dovranno essere ulteriormente personalizzati dai singoli Comuni. Si tratta di adattamenti dei moduli unici nazionali, a cui la Toscana ha contribuito in prima persona. Il lavoro futuro riguarderà la definizione delle specifiche tecniche per la resa telematica dei modelli unici regionali, compresa la messa a punto di specifiche di formato e di rappresentazione degli elaborati progettuali sulla base del lavoro svolto dalla rete delle professioni tecniche. Saranno definiti anche standard per la gestione telematica dei procedimenti legati ai vincoli, tenuto conto del lavoro svolto dal tavolo tecnico regionale degli sportelli unici per le attività produttive.  
   
   
RIFORMA URBANISTICA: FVG, CONTENERE IL CONSUMO DEL SUOLO  
 
Trieste, 10 giugno 2015 - Il contenimento del consumo del suolo, la valorizzare del territorio inedificato e la rigenerazione urbana, in un´ottica di sostenibilità ambientale, di tutela e di salvaguardia. Sono le linee guida del percorso che, nel pieno rispetto del programma di governo regionale e, parallelamente, degli indirizzi della Commissione europea, la Giunta del Friuli Venezia Giulia ha avviato per tratteggiare la Riforma urbanistica che dovrà vedere la luce entro la fine dell´anno. Se ne è parlato nell´odierna riunione dell´esecutivo dove, partendo da una approfondita relazione dell´assessore alla Pianificazione territoriale, Mariagrazia Santoro, si sono condivisi finalità e obiettivi di un riordino legislativo che dovrà prioritariamente contenere le trasformazioni territoriali e incentivare la rigenerazione e il riuso dell´esistente. In primo luogo bloccando ulteriori e non sempre motivate tendenze all´espansione o all´ampliamento di zone produttive e commerciali. Il tutto ben prima del traguardo dettato da un recente Studio della Commissione europea, che prevede in particolare che l´incremento della quota netta di occupazione di terreno debba tendere ad arrivare a zero entro il 2050. Una sfida ambientale, quella del risparmio del suolo, "che si rifletterà positivamente - così Santoro - sul tessuto sociale e sull´intera struttura economica della regione, e che richiede la piena collaborazione di tutte le pubbliche amministrazioni, anche per correlare equilibratamente ogni previsione urbanistica a alle effettive esigenze sia produttive che demografiche, anche nel rinnovato contesto della riforma degli enti locali". Una sfida che parte dalla considerazione che dalla metà degli Anni 50 dello scorso secolo la superficie totale delle aree urbane nell´Ue è aumentato del 78 per cento mentre la crescita demografica è stata di appena il 33 per cento. Per quanto riguarda le attività produttive, su una superficie complessiva dell´intero Friuli Venezia Giulia di 785.709 ettari, nel periodo tra il 2002 e il 2014 le aree coperte dall´insieme delle attività industriali-produttive e commerciali esistenti e di previsioni contenute nei piani approvati (zone omogenee D e H secondo il Piano Urbanistico Regionale Generale) sono passate dai 15.378 ettari ai 16.703, con un incremento dell´8,6 per cento. Nello specifico, le aree industriali e produttive di interesse regionale e di interesse locale sono cresciute di 849 ettari (da 13.666 a 14.516, + 6,2 pc) mentre le zone commerciali di interesse regionale e di interesse locale ricoprono nel 2014 una superficie di 474 ettari in più rispetto al 2002 (+12,8 pc, da 1.712 a 2.186 ettari). "Siamo consapevoli della necessità di progredire consumando di meno", ha confermato la presidente della Regione, Debora Serracchiani, riferendosi al suo programma di Governo, illustrato in Consiglio regionale all´inizio di questa legislatura. "Questa impostazione - aggiunge - si propone anzitutto di tutelare l´autenticità che ci contraddistingue, costituita da valori, paesaggi, acqua, storie, luoghi", in un´ottica di "economia di territorio che si fonda proprio sul buon utilizzo di tali patrimoni e beni comuni e sulla rigenerazione dell´esistente, quale più grande opera sostenibile da perseguire con tenacia e coerenza". Pertanto "l´eventuale nuova trasformazione di suolo - aggiunge Santoro - dovrà essere un fatto straordinario, legato a necessità evidenti, proiettato al conseguimento di risultati in area vasta o di livello territoriale d´alto rango". In questo contesto "l´Amministrazione regionale - annuncia Santoro - per accelerare i tempi intende dar corpo ad un provvedimento ponte, anticipatore della riforma". Già nei prossimi giorni sarà proposto ai Comuni il testo di un ddl che da un lato intende riordinare ed adeguare le competenze urbanistiche dei Comuni, e dall´altro impedire da subito nuove espansioni.  
   
   
EMILIA-ROMAGNA: EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA, L´ASSEMBLEA LEGISLATIVA APPROVA I NUOVI CRITERI PER IL DIRITTO ALLA CASA. VIA LIBERA AL PROGRAMMA PLURIENNALE COORDINATO DI INTERVENTI PER LE POLITICHE ABITATIVE: LE RISORSE PER IL 2015.  
 
Bologna, 10 giugno 2015 - In Emilia-romagna, il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (Erp) comprende attualmente 55.628 alloggi, di cui il 93% (51.455) occupati con 119.000 abitanti. La delibera di giunta, approvata in Assemblea, modifica i criteri di accesso e permanenza per favorire in primo luogo la rotazione all’interno delle case popolari. Per accedere a un alloggio Erp di un determinato Comune, occorre essere residenti da tre anni (è il criterio di residenzialità storica); per quanto riguarda gli indicatori del reddito familiare, è abolito l’Ise e mantenuto l’Isee (che tiene conto del reddito, del patrimonio e delle caratteristiche del nucleo, per numerosità e tipologia) come unico parametro di riferimento. “E’ un provvedimento pragmatico, all’insegna della concretezza – ha commentato la vicepresidente e assessore alle Politiche abitative della Regione Elisabetta Gualmini, dopo l’approvazione in aula – . L’erp, così com’è, è un sistema che non funziona: ha pochissima rotazione (il tasso è pari allo 0,2), ci sono in tutta l’Emilia-romagna quasi 35mila famiglie in attesa. Un alloggio pubblico non può essere considerato un vitalizio, o qualcosa da regalare ai propri figli”. Gualmini ha poi espresso soddisfazione per l’introduzione del criterio di residenza storica, “già peraltro adottato da altre Regioni, come Toscana e Lombardia. E’ un cambiamento assolutamente ragionevole. Inoltre, l’idea di un radicamento medio-lungo, di appartenenza a un territorio ha un senso rispetto a un bene dalle caratteristiche di godimento duraturo qual è la casa”. La vicepresidente ha infine sottolineato l’importanza del “Piano casa”, “con cui la Regione destina più di 70 milioni di euro per tutta una gamma di servizi, che vanno dal recupero del patrimonio di edilizia residenziale pubblica ai bandi per le giovani coppie, ai fondi per l’affitto”. Nuovi criteri, accesso e permanenza Il valore – che al momento rimane invariato – per accedere all’alloggio Erp non deve superare i 17.154,3 euro di Isee. Potrà essere rideterminato in un momento successivo, quando la Regione acquisirà le informazioni sui redditi dei cittadini provenienti dalle nuove modalità di calcolo dell’Isee stesso. Si semplificano i requisiti anche per la permanenza, abolendo l’uso del valore Ise. Viene favorito il turn-over, modificando i requisiti economici necessari: si abbassa la distanza tra il limite di reddito per l’accesso e quello per la permanenza, con una “forbice” tra i due compresa tra il 20% e il 60%. Attualmente, invece, il limite di reddito per la permanenza è il doppio di quello per l’accesso. Il Programma pluriennale coordinato di interventi per le politiche abitative (“Piano casa”): interventi e risorse Trentacinque milioni per recuperare e rendere più efficiente a livello energetico il patrimonio Erp. Dodici milioni per un nuovo “Bando giovani coppie”, che uscirà a breve. Oltre 10 milioni (10,6, per la precisione) per il Fondo per l’affitto 2015; ripristino, con 1 milione, del Fondo regionale per il superamento delle barriere architettoniche. Sono gli elementi principali del Programma pluriennale coordinato di interventi per le politiche abitative (“Piano casa”) in discussione in Assemblea. Un Programma che tiene conto della situazione specifica dell’Emilia-romagna dove, pur in presenza di lievi segnali di ripresa, il problema del disagio abitativo esiste, sebbene in modo meno acuto che altrove. Dall’inizio di questo decennio, in particolare, è aumentata sia l’incidenza delle spese per l’abitazione sul reddito, sia il numero di famiglie che incontrano difficoltà a pagare l’affitto. Le situazioni più gravi sono certamente registrate dai provvedimenti di sfratto: si è passati dai circa 3.500 emessi nel 2001, ai poco più di 5.600 nel 2008 per arrivare a quota 7.642 nel 2013. Il numero degli sfratti per morosità è passato da poco più di 5.000 nel 2008 a 7.400 nel 2013. Per quanto riguarda le liste d’attesa per l’assegnazione di una casa popolare, le famiglie in graduatoria Erp sono 34.251 (dato al 31 dicembre 2014) in tutta la Regione. A cambiamenti più strutturali del mercato del lavoro (diffusione del lavoro temporaneo e di altre forme di rapporti di lavoro a tempo determinato) si sono sommate in questi ultimi anni le conseguenze della crisi economica, e quindi il problema della disoccupazione, soprattutto giovanile, o del ricorso alla cassa integrazione per un certo numero di lavoratori. Alla difficoltà di trovare alloggio a costi sostenibili si somma il fattore di instabilità e insicurezza del lavoro che non consentono alle famiglie e, soprattutto, ai giovani di accedere a mutui agevolati per l’acquisto della casa, la cui concessione è condizionata dalla disponibilità di un reddito fisso a garanzia della solvibilità. Si è creata così e, rischia di allargarsi, un’area “grigia” di persone e di famiglie che non possono contare sulla certezza di reddito nel tempo, formate soprattutto dalle fasce più deboli della forza lavoro, ma che interessa anche settori del lavoro autonomo e delle professioni che, in passato, sarebbero stati senz’altro classificati, quanto a status socio-economico, tra le classi medie.  
   
   
GRAZIE A CONTRIBUTO REGIONE LOMBARDIA NASCE IL BRIANZA DESIGN DISTRICT  
 
Milano, 10 giugno 2015 - "Mettere in rete le istituzioni, anche locali, è il modo migliore per vincere la sfida di Expo 2015 e siamo orgogliosi di poter affermare che questo progetto nasce anche grazie al contributo di Regione Lombardia". Così l´assessore alla Casa, Housing sociale, Expo 2015 e Internazionalizzazione delle imprese Fabrizio Sala, durante la conferenza stampa di presentazione del Brianza Design District svoltasi ieri mattina a Palazzo Pirelli. Brianza Design District è un progetto promosso da Brianza Experience e finanziato da Regione Lombardia, tramite il Bando di Attrattività Territoriale per Expo, Cciaa di Monza e Brianza e dalle amministrazioni comunali di Brianza Experience. Piattaforma Digitale Per Raccontare ´Saper Fare´ Brianzolo - Il Brianza Design District è una piattaforma digitale in cui tutti gli elementi del ´saper fare´ brianzolo sono declinati e raccontati. Un portale con il Grand Tour dei luoghi della produzione, fra innovazione e tradizione. Una modalità innovativa per iniziare a definire un più ampio progetto di place branding, capace di generare nuovi stimoli per l´attrattività territoriale sia per le imprese sia per gli investitori internazionali. Promuovendo così, al tempo stesso, una nuova forma di turismo esperienziale dove, insieme alle classiche mete turistiche, trovano posto e specificità le fabbriche, i laboratori e le botteghe, che sono il cuore pulsante del saper fare brianzolo. Accordo Tra 10 Comuni Del Design Tra Monza E Como - Brianza Experience è un accordo siglato agli inizi del 2014 dai sindaci di Lissone, Cantù, Carugo, Cabiate, Figino Serenza, Giussano, Lentate sul Seveso, Mariano Comense, Meda e Sovico per promuovere le eccellenze produttive di un territorio. Attraverso l´opportunità dei finanziamenti messi in campo da Regione Lombardia e dal sistema camerale con i bandi per l´attrattività collegati ad Expo 2015, Brianza Experience ha realizzato il progetto del Design District. Sotto le insegne del Brianza Design District si raccolgono, ad oggi, oltre 180 aziende (dai piccoli artigiani ai grandi gruppi industriali) che hanno fatto grande la Brianza comasca e monzese. Sala: Ospiteremo Brianza Design District A Pianeta Lombardia - "Pianeta Lombardia, il nostro spazio all´Expo 2015 - ha aggiunto l´assessore Sala - nasce per promuovere le eccellenze territoriali. E´ per questo che proprio lì ospiteremo prossimamente il materiale informativo del Brianza Design District, in modo che tutto il mondo e le delegazioni dei Paesi economicamente emergenti abbiano modo di toccare con mano il know how della Brianza, che merita di avere una finestra sul mondo".  
   
   
POLETTI AD ALLORA CREALO!: “PREMIARE CHI CI PROVA”  
 
Trento, 10 giugno 2015 - All’evento del Festival dell’Economia dedicato a start up e giovani imprese innovative, Allora Crealo!, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Poletti ha parlato delle misure del governo per sostenere l’innovazione e la creazione di imprese. Con lui il vicepresidente della Provincia autonoma di Trento, Alessandro Olivi, e il Presidente di Euricse, Carlo Borzaga. Creare un contesto in cui sia possibile e conveniente per un giovane provare a fare impresa e portare innovazione, con un sistema di tutele adeguato. Questo l’obiettivo del governo secondo il ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, questa mattina a Trento come ospite di Allora Crealo!, l’evento del Festival dell’Economia organizzato da Euricse e dedicato alle giovani imprese innovative. Con lui il vicepresidente della Provincia autonoma di Trento, Alessandro Olivi, e il professor Carlo Borzaga (Euricse, Università di Trento). L’incontro si è sviluppato intorno alle politiche pubbliche necessarie affinché le start up, ma anche le ex start up che stanno arrivando a una fase di maturazione, abbiano la possibilità di fare ecosistema, avere un welfare, essere insomma messe nella condizione di poter generare un impatto sull’economia e non solamente rimanere un’esperienza innovativa a sé stante. Carlo Borzaga ha sottolineato l’importanza di sostenere le tantissime esperienze presenti soprattutto nel terzo settore per farne un vero e proprio ecosistema. A questo proposito il Vice Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Alessandro Olivi, ha parlato di far incontrare chi il lavoro lo cerca e chi lo chiede: parallelamente all’alto tasso di disoccupazione, infatti, ci sono anche tante imprese che faticano a trovare le risorse umane di cui hanno bisogno. La necessità, quindi, è di investimenti a monte per creare un’infrastruttura statale tale da far incontrare queste due domande. Poletti ha inquadrato il suo discorso invocando per il Paese due cambiamenti radicali. Il primo di tipo culturale, in cui l’impresa venga considerata una struttura socialmente imprescindibile e non “un male necessario”. Il secondo cambiamento è combattere le rendite e promuovere le opportunità. In un Paese in cui finora ha vinto la parola “difendere”, ha continuato Poletti, bisogna insistere sul fatto che le cose vanno cambiate. A proposito delle necessità di innovazione, ha riconosciuto l’importanza delle start up ma anche ribadito quanto sia importante portare l’innovazione nelle imprese che ci sono già. Mentre buona parte del sistema imprenditoriale non è interessato al digitale, sarebbe interessante “mettere insieme artigiano e smanettone”, concetto su cui il ministro ha insistito come strumento per far crescere il Paese. Tenendo insieme passato e futuro. Una prima misura sperimentale in questo senso è data, ad esempio, da un progetto costruito con Google e Unioncamere, grazie al quale 300 ragazzi, “evangelizzatori digitali”, verranno mandati nelle imprese italiane per portare innovazione. Il ministro si è poi scagliato contro la mentalità del sussidio, una logica secondo la quale – ha spiegato Poletti - nessun disoccupato è spinto ad uscire di casa, o tutt’al più lo fa lavorando in nero. Invece nel welfare bisogna trovare delle logiche premianti: premiare chi ci prova, sia esso un giovane startupper o un disoccupato che si rimbocca le maniche, senza demonizzare il fallimento come una disgrazia cui non si può porre rimedio. L’errore, ha insistito, è una possibilità da mettere in conto. Anche in politica può avvenire di sbagliare, ma in tal caso bisogna riconoscere l’errore e se è il caso, cambiare. Un punto su cui Poletti è tornato è l’importanza delle imprese per l’economia: i dati sul numero di imprese nate sarebbero da tenere maggiormente in conto per valutare l’entità della ripresa. Essenziale quindi incentivare l’iniziativa, costruendo un contesto favorevole. Un esempio concreto, tra le prime misure da adottare per le partite iva, riguarderebbe la tutela dei crediti. Un problema pressante per chi si mette in proprio, infatti, sono i mancati pagamenti. Non si può lasciare il giovane imprenditore da solo davanti ai clienti insolventi, e una soluzione potrebbe essere costituita da strumenti di aiuto che gli diano almeno una parte della fattura non incassata (tra il 50 e il 70%), per non costringerlo a chiudere. L’evento Allora Crealo!, a cui ha partecipato il ministro Poletti, è stato organizzato da Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises). Euricse è un centro di ricerca europeo con sede a Trento che promuove l’innovazione nel campo delle imprese cooperative, sociali e non profit per la produzione di beni e servizi. Per maggiori informazioni www.Euricse.eu  
   
   
PIER CARLO PADOAN: "IN EUROPA CI VUOLE PIÙ AMBIZIONE E CONDIVISIONE DEI RISCHI"  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Dal processo di integrazione europea al tema delle pensioni, dalle prospettive di crescita alla possibile uscita della Grecia dall´Euro, per arrivare alla questione prioritaria dell´Europa, quella della disoccupazione. Sono molti i temi toccati da Pier Carlo Padoan, ministro dell´Economia e delle Finanze, protagonista al Festival. Intervistato da Ferdinando Giuliano del Financial Times, il ministro si è confrontato sul palco del Teatro Sociale con Daniel Gros, direttore del Centre for European Policy Studies di Bruxelles. "I dati economici del primo trimestre - ha detto Padoan - ci dicono che andiamo nella giusta direzione, anche se io resto prudente. Mi aspetto più avanti una composizione della crescita e della domanda ancora più favorevoli: gli investimenti cominceranno a crescere e già lo stanno facendo. Si inverte così drasticamente il clima, la fiducia torna a prevalere e questo significa prospettive positive per il lavoro, anche i consumi stanno ripartendo". L´europa ha bisogno di maggiore integrazione, di abbattere le barriere, che esistono ancora, ma soprattutto di condividere i rischi. Pier Carlo Padoan ha insistito molto su questo concetto nel corso della sua conferenza. "La politica monetaria della Banca centrale - ha detto in apertura - è stata molto utile per immettere liquidità nel sistema, ma si tratta di una finestra, che prima o poi si chiuderà. I governi dovranno responsabilmente approfittare di questa opportunità per varare quelle riforme strutturali di cui il governatore Draghi parla continuamente. In Italia lo stiamo facendo, adesso c´è in discussione in Parlamento un provvedimento sulla concorrenza che introduce ulteriori liberalizzazioni, ci sono in arrivo la riforma della giustizia civile e della scuola, elementi che consentono di creare l´ambiente giusto per gli investimenti delle imprese". Interpellato sulla questione pensioni il ministro ha chiarito che non c´è da parte del governo nessuna intenzione di tornare indietro sulla riforma Fornero. "Stiamo tuttavia valutando - ha spiegato - la possibilità di considerare forme di flessibilità in uscita, per lasciare con un minimo anticipo il mondo del lavoro in cambio di una prestazione pensionistica adeguata, scelta che potrebbe anche facilitare l´ingresso per le giovani generazioni". Padoan è stato poi sollecitato sulla cosiddetta Grexit, ovvero l´uscita della Grecia dall´Euro. Secondo Daniel Gros nemmeno ad Atene sanno esattamente cosa succederà. "La Grexit è sicuramente possibile, ma non auspicabile - ha detto il ministro: - nessuno può dire oggi come si potrebbe gestire un´uscita di Atene, ma certo l´euro si mostrerebbe un animale diverso da come l´avevamo pensato, cioè reversibile, da cui si può uscire". Il ministro ha comunque ribadito di essere convinto che si arriverà a un accordo: "Si tratta di fare un ultimo passo politico non verso il vuoto o verso il buio, pensando invece di passare per una via stretta e dolorosa, ma per la crescita e la ripresa del Paese". Si è parlato anche di immigrazione, ricordando quanto il problema investa l´intera Unione europea. "Si tratta di capire fino a dove l´approccio può essere nazionale e dove europeo e dove si riconoscono confini europei e questioni europee, tra cui anche quella umanitaria" ha detto il ministro."Quello dei rifugiati - ha aggiunto - è un problema complesso per la varietà delle ragioni per cui si muovono e per la varietà di ragioni di coloro che intendono accogliere o meno gli immigrati". Si è arrivati, infine, al tema della disoccupazione, il problema fondamentale per l´euro zona secondo il ministro, che ha ricordato come al riguardo l´Italia abbia inviato a Bruxelles una proposta di sostegno comune alla disoccupazione che si basa su una maggiore condivisione dei rischi (Risk sharing). "So che per molti paesi è inattuabile - ha detto Padoan - ma è indispensabile per una ragione molto evidente, e che forse le elezioni di ieri ci ricordano, e cioè che la Ue deve essere vista come la soluzione e non come il problema". Al riguardo il ministro ha auspicato maggiore ambizione da parte dei Paesi europei. "Serve più integrazione - ha detto, - abbattimento delle barriere e meccanismi comuni di crescita. C´è un enorme potenziale che deve essere sfruttato. "Proprio adesso che stiamo uscendo da questa grande recessione, dobbiamo avere la consapevolezza che occorra aggiustare l´architettura europea". "La questione della disoccupazione non si risolve completamente e immediatamente - ha concluso - ma sono convinto che si vada nella direzione giusta rapidamente, più rapidamente di quanto si possa pensare" ha risposto il ministro a una domanda dal pubblico a conclusione del suo intervento al Teatro sociale. "La disoccupazione - ha proseguito - compresa quella giovanile, è al centro delle preoccupazioni del governo, che la sta affrontando con una serie di riforme".  
   
   
START UP, POLITICHE PUBBLICHE PER I GIOVANI E CONTADINI 2.0 AD ALLORA CREALO!  
 
Trento, 10 giugno 2015 - L’ultima sessione di interventi di Allora Crealo! - l´evento del Festival dell´Economia incentrato sulle start up e le imprese innovative - è andata ad approfondire tre temi di grande attualità: la diffusione delle start up sul territorio italiano e la loro incisività sull’economia, il ruolo delle politiche pubbliche per le imprese giovanili e la figura dei nuovi agricoltori 2.0. L’ultima sessione di interventi di Allora Crealo! è andata ad approfondire tre temi di grande attualità: la diffusione delle start up sul territorio italiano e la loro incisività sull’economia, il ruolo delle politiche pubbliche per le imprese giovanili e la figura dei nuovi agricoltori 2.0. L’incontro su “La geografia delle start up ai tempi della crisi” - cui hanno partecipato Emil Abirascid (giornalista), Maurizio Carpita (Università di Brescia), Cecilia Manzo (Università di Firenze), Piero Formica (Maynooth University e Corriere Innovazione) e Flaviano Zandonai (Euricse) - è partito dai dati di Infocamere (aprile 2015) sulla presenza e i campi di azione delle start up e li ha messi in relazione con le dimensioni del benessere, i dodici parametri del Bes (Benessere Equo Sostenibile) per misurare appunto il benessere della società, andando oltre il solo Pil. Un confronto dal quale emerge una maggiore concentrazione di start up innovative nei settori dell’istruzioni, delle relazioni sociali e della qualità di servizi. L’analisi ha anche permesso di individuare le città e le province dove le imprese innovative sono maggiormente presenti negli specifici settori. Durante l’incontro si sono anche espressi dei dubbi sul modo in cui le start up vengono attualmente inquadrate dalla legge 221 del 2012. Si è comunque sottolineato che le start up possono effettivamente essere un motore per la ripresa economica del Paese. Il tema delle politiche pubbliche è stato introdotto da Mario Calderini, professore del Politecnico di Milano, nell’incontro-dibattito “Innovare con le politiche pubbliche: sbloccare il potenziale delle imprese giovanili”. Secondo Calderini è importante guardare a nuovi livelli di partenariato pubblico-privato, dove ad esempio il pubblico intervenga con soft policies, creando “un’impalcatura leggera” attorno alle esperienze di successo che nascono dal basso a sostegno delle giovani imprese. Un’esperienza di politiche giovanili innovative è quella della regione Puglia, rappresentata da Annibale D’elia (Bollenti Spiriti). Qui la scelta è stata quella di insegnare ai giovani l’intraprendenza, l’innovazione, la responsabilità sociale più che dare loro dei servizi. La mobilità sociale – ha spiegato D’elia ricollegandosi al tema di questo Festival dell’Economia - non è solo economica. E’ mobilità anche la possibilità di passare da una funzione ad un’altra, la contaminazione, la crescita orizzontale. Bisogna mettere i giovani in condizione di apprendere e sperimentare, altrimenti già nelle policy mettiamo dei vincoli alla mobilità sociale. Al dibattito hanno partecipato anche Nicola Pirina, che ha portato l’esperienza di innovazione della regione Sardegna esplicitando alcune buone pratiche di politiche di innovazione legate al territorio, e Antonella Chiusole, dell’agenzia del lavoro della Pat, che ha raccontato l’esperienza del Trentino. Nell´incontro "Chi sono i nuovi contadini 2.0" si è evidenziato come si stia rafforzando negli ultimi anni il fenomeno dei cosiddetti “ritornanti”, ragazzi ultra-specializzati, che hanno studiato all’estero che decidono di tornare alla terra. Hanno partecipato all’incontro Alex Giordano e Francesco Martusciello di Rural Hub ed Erika Pedrini, vicepresidente Coldiretti Giovani Impresa e Jacopo Sforzi (Euricse). L’agricoltura 2.0 si caratterizza per un sistema valoriale molto forte che si distanzia da buona parte della produzione mainstream e fa della sostenibilità sociale, economica e ambientale le sue parole d’ordine. Insistendo sulla qualità dei prodotti e sul fare sistema con la comunità in cui si inserisce l’impresa agricola. Con l´incontro "Tornare a investire" (18:30) si concluderà stasera la terza edizione di Allora Crealo! evento dedicato alle giovani imprese innovative ideato e organizzato da Euricse (www.Euricse.eu ).  
   
   
SLOT MACHINE, TRAPPOLA PER TOPI DEL LUDOCAPITALISMO  
 
Trento, 10 giugno 2015 - C´è un ambito economico nel quale l´Italia, paese che ha inventato il Lotto, è "leader" nel mondo: il gioco d´azzardo. Un primato che si sostanzia in un volume d´affari di 84,4 miliardi di euro all´anno (400 miliardi nel mondo), il 22 per cento della spesa globale, gran parte dei quali provenienti da un esercito di circa 400 mila slot machine, una ogni 150 abitanti (negli Usa il rapporto è doppio). La famiglia media italiana spende in media 4 mila euro all´anno in scommesse (34 miliardi la spesa totale), di cui mille vengono persi al gioco. Il 22 per cento della spesa globale del Paese se ne va in scommesse, una quota pari al 2 per cento del Pil. Un fenomeno le cui dimensioni sono raddoppiate complice la crisi. Una "piaga" (secondo alcuni) che risana le finanze dello Stato, che non a caso considera le slot machine meno pericolose del gioco del ramino, che a differenza delle prime continua a figurare nella lista dei giochi vietati. Ma cosa si nasconde dietro la gigantesca "trappola per topi" rappresentata dalle slot machine lo ha spiegato Natasha Dow Shüll, antropologa culturale americana, che del tema ha parlato al Festival assieme agli economisti Marcello Esposito e Luigi Guiso. Innanzitutto, quanto incassa lo Stato "biscazziere"? Dal 2003 al 2014 i volumi giocati sono arrivati nel nostro Paese agli attuali 84 miliardi di euro circa, le perdite dei giocatori toccano i 18 miliardi di euro l´anno, e di questi l´Erario incassa 8 miliardi. Le ragioni di questo successo sono presto spiegate: con la liberalizzazione del 2003 si concede all´industria dell´azzardo di arrivare nei bar, nei circoli ricreativi, nei ristoranti. Oggi, a fronte di 923 comuni "no slot", ce ne sono 8057 che accettano le macchinette. Tutto ciò in un contesto penale in cui il gioco d´azzardo è considerato illegale (art. 718 Codice Penale). "L´azzardo - afferma Esposito - ha una stretta correlazione inversa con il reddito delle persone, è altresì legato anche alla fragilità degli individui, ed anche alla qualità del tessuto sociale dei territori: laddove c´è maggiore volontariato si gioca di meno e viceversa (studio Banfield)." Ma torniamo alla domanda iniziale: cosa c´è dietro questa industria in continua e crescente evoluzione tecnologica? Lo ha spiegato bene, con le sue apprezzate ricerche, Natasha Dow Shüll, che ha indagato a fondo la relazione fra progettazione tecnologica e l´esperienza della ludopatia, descrivendo come funziona la "trappola per topi" nei casinó di Las Vegas, dove le slot sono dappertutto, persino nei supermercati e dal benzinaio, e dove è pure cresciuta anche una industria terapeutica contro il gioco. "L´ingegneria della dipendenza - spiega - nasce dall´interazione tra il prodotto, la macchinetta, e la persona. Conta molto la biografia del giocatore, ma gli oggetti di per sé sono più o meno bravi ad attirare le persone. Le persone che giocano ripetutamente alle macchinette sviluppano una dipendenza tre quattro volte più velocemente di quanti scommettono ad esempio sulle competizioni sportive; le slot moderne creano dipendenza perché creano situazioni di gioco solitarie, è una zona autonoma in cui la propria vita sociale, il senso del tempo e del proprio corpo scompaiono. I giocatori abituali sono valutati in base al Time on Device, il tempo speso alla macchina. Un progettista mi ha spiegato che i suoi clienti vogliono essere totalmente assorbiti dal ritmo del gioco. La produttività del gioco, dunque, è ciò che conta. La progettazione delle macchinette ruota attorno a questi elementi, l´obiettivo è tenere lì le persone, farle giocare di continuo e il più a lungo possibile." Le slot accettano le banconote e questo ha migliorato il gioco, la maggior parte dei giocatori usa le carte di credito, è comodo, non si tira più una leva, ci sono dei tasti compulsando i quali è possibile arrivare a 1200 puntate all´ora! Anche l ´ergonomia ha un ruolo importante per far sì che un giocatore di slot sia "produttivo", così le sedute dei casinò sono progettate per evitare il ristagno sanguigno nelle gambe dei giocatori, per non stancarli. Ma le innovazioni sono, naturalmente, anche dietro lo schermo, dove c´è un microprocessore che attiva programmi di rinforzo comportamentale per il giocatore, ci sono interi uffici matematici delle aziende che valutano l´efficacia degli algoritmi di gioco. C´è chi gioca per vincere e attende il jacpot, e chi gioca per vincere per poter così continuare a giocare. Il giocatore - spiega ancora l´antropologa americana - si sente "parte della macchina", come fosse una estensione del suo corpo, vuole lasciarsi andare in essa, c´è una collusione asimmetrica tra lui e la macchinetta. Le logiche economiche sono naturalmente quelle del profitto, e l´obiettivo è il giocatore quotidiano che gioca piccoli importi. Il ludocapitalismo, strategia economica che trae valore dalle scommesse, è sempre più rampante. L´azzardo è una strategia per aumentare le entrate dello Stato. Quali le strategie da adottare? Come regolamentare le macchinette e limitare la dipendenza da esse? Natasha Dow Shüll spazza via subito, definendole del tutto inefficaci, le campagne che promuovono il cosiddetto "gioco responsabile", il gioco che si fonda sulla libertá di scelta del singolo, sulla sua capacità di autoregolamentarsi. Perchè in Italia si scommette così tanto? "Non è facile rispondere a questa domanda - spiega Luigi Guiso - perchè lo stato non fornisce informazioni. Non sappiamo chi sono le famiglie che spendono i soldi al gioco, e cosa determina tali scelte. Possiamo fare una congettura: oggi il gioco è gestito in monopolio dallo Stato, le scommesse sono un ottimo modo per generare entrate per lo Stato, e rappresentano una tassa volontaria che non crea problemi di consenso politico, e questo spiega perché è difficile smantellarla. In Italia lo Stato si dimostra molto più cinico del mercato".  
   
   
ETIENNE WASMER: “LA TASSAZIONE DEL CAPITALE? UN’UTOPIA”  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Il bestseller economico di Thomas Piketty? “È inficiato nelle sue conclusioni dal modo in cui le proprietà immobiliari, cioè le case, vengono conteggiate nel calcolo del patrimonio”. L’economista francese Étienne Wasmer, docente a Sciences Po di Parigi e condirettore di “Labour Economics”, non concorda con l’autore de “Il capitale nel Xxi secolo” e con la sua teoria di una divergente disparità di ricchezza evidenziatasi in Europa negli ultimi 25 anni. “La tassazione del capitale è un’utopia, non ha futuro. Dobbiamo piuttosto concentrarci sui redditi”, conclude Wasmer, introdotto al Festival dell’Economia di Trento, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, dal giornalista Stefano Feltri, responsabile economia de “Il Fatto Quotidiano”. “Siamo stati i primi a riflettere in modo approfondito su libro di Piketty e sulla quota di capitale rappresentata dagli alloggi. I prezzi delle case sono triplicati, in Francia, dagli anni Novanta ad oggi, ma non per questo è cresciuto il divario tra ricchi e poveri”, afferma Étienne Wasmer. Per l’economista francese intervenuto questo pomeriggio al Festival dell’Economia di Trento, infatti, l’unico modo corretto per quantificare la ricchezza delle unità immobiliari è calcolare quanto esse rendono, non quanto valgono. E’ la rendita, non il loro valore di mercato, che determina l’andamento dinamico della differenza di ricchezza. Un dibattito di nicchia per pochi economisti? Tutt’altro. Misurare il capitale al prezzo di mercato, alla Piketty per intenderci, o farlo al prezzo del mercato degli affitti, considerando cioè il costo dell’affitto come unico fattore che entra a far parte della ricchezza di una persona, determina differenze sostanziali nei sistemi di tassazione. La casa va tassata? Tutti lo fanno. Ma se il suo valore cresce in modo esponenziale in pochi anni, come è stato per la gran parte dei paesi europei, ad eccezione della Germania, devono aumentare parimenti anche le tasse su quell’immobile? “Vanno tassate le successioni, cioè il momento in cui il patrimonio passa di mano agli eredi, non il patrimonio in quanto tale” suggerisce Wasmer che in conclusione del suo intervento si spinge anche oltre: “La tassazione del capitale è un’utopia, non ha futuro. Dobbiamo piuttosto concentrarci sui redditi per incidere sulla forbice di ricchezza dentro le nostre società”.  
   
   
DISUGUAGLIANZE E OPPORTUNITÀ: UN AFFARE DI FAMIGLIA  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Le tematiche dell’appuntamento, moderato dal vicedirettore de “Il Fatto quotidiano” Stefano Feltri ed approfondite dai due esperti di economia dell’Ocse, Orsetta Causa e Giuseppe Nicoletti, hanno messo in luce una situazione europea e più nello specifico italiana particolarmente difficile, che distinguerebbe il nostro paese per avere forti disuguaglianze, impari opportunità e scarsa mobilità sociale. “Solo se si riuscirà ad investire sempre maggiormente sull’istruzione, avremo una qualche possibilità per superare le diseguaglianze presenti attualmente in Italia”; così ha esordito questa mattina Giuseppe Nicoletti, responsabile della Divisione Analisi sulle politiche strutturali presso il Dipartimento Economia dell’Ocse a Parigi, parlando del futuro del nostro paese. Tema dunque, quello dell’istruzione, fondamentale per riuscire a superare le difficoltà attuali e riprendendo la tematica filo conduttore di questa decima edizione del Festival, per creare mobilità sociale, ovvero per consentire ai giovani di emanciparsi dall’influenza del contesto socioeconomico famigliare. Ma per avere le chiavi della mobilità, continua Nicoletti, bisogna dare una forte accelerata al concetto della pari opportunità, soprattutto correlato al mondo della scuola. Attualmente in Italia, sostiene l’economista, è dimostrato che chi nasce svantaggiato economicamente e culturalmente ha maggiori probabilità di rimanerlo. E sempre in tema di scuola gli altri dati forniti dagli esperti non sono più rassicuranti; per dare qualche misura, in Italia è in costante aumento la probabilità di non finire il liceo quando il padre non ha conseguito la licenza liceale; stessa cosa per quanto riguarda il diploma universitario; le cose non vanno meglio parlando del peso della famiglia sulle prospettive di salario, altro indicatore della scarsa mobilità sociale. Giuseppe Nicoletti fa poi un importante precisazione su quali siano i pilastri della mobilità sociale, pilastri che, continua, “dovrebbero essere presenti anche nel nostro paese” ed invece sono per la maggio parte totalmente assenti; il dinamismo economico, le politiche redistributive, l’accesso al mercato del lavoro, le eguali opportunità nell’educazione, un giusto peso della famiglia. Tra le varie criticità del nostro Paese l’esperto di economia cita in particolar modo un sistema fiscale che penalizza i giovani con un effetto poco redistributivo, una spesa pubblica sociale molto alta ma scarsamente rivolta ai giovani, un sistema educativo e di mercato del lavoro poco efficace, che sta a significare un altissimo abbandono dell’educazione secondaria e universitaria ed una generale inefficacia della scuola e del mercato del lavoro che concorrono tra le altre cause, allo spreco dei talenti. A peggiorare ulteriormente un quadro già piuttosto critico il numero altissimo di giovani incardinati in figure di lavoro “atipiche” che rendono ulteriormente debole un mercato del lavoro ormai “stremato”. Orsetta Causa, proseguendo la relazione odierna, sostiene che nonostante questo quadro estremamente critico, le possibilità per uscire dalla crisi e soprattutto sbloccare questa situazione di immobilità e disuguaglianza sociale in cui versa l’Italia ci siano tutte, a patto che fin da subito le istituzioni si impegnino, naturalmente assieme a noi cittadini, a ritrovare il dinamismo economico, per rimettere l’educazione in cima all’agenda politica, per migliorare i servizi per l’infanzia, formare meglio i giovani ma anche i meno giovani, per tutelare i lavoratori e dare sostegno ai disoccupati in modo da permettere loro di trovare altri impieghi e non ultimo, tassando in modo più efficace il patrimonio, ed in generale adottando delle politiche redistributive caratterizzate da maggior equità. Solo riconsiderando i fondamentali i pilastri della mobilità sociale, dunque l’Italia avrà la possibilità di uscire dalla crisi delle disuguaglianze e dell’immobilità sociale e di puntare su di un futuro, speriamo imminente, in cui i giovani avranno la possibilità di credere nuovamente nel concetto di meritocrazia, altro tema fondamentale ed ampiamente discusso in questo appassionante Festival.  
   
   
"I CARICHI DI CURA SONO UN MACIGNO SULLE SPALLE DELLE DONNE"  
 
Trento, 10 giugno 2015 - È un´analisi impietosa quella tracciata da Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento per le statistiche sociali dell’Istat, nell´appuntamento di "Confronti", promosso dall’Alleanza Regionale per le Pari Opportunità; con lei anche Ugo Morelli, professore di Psicologia all’Università di Bergamo, e Francesca Gennai, ricercatrice della Fondazione Demarchi, che ha chiesto alla direttrice Sabbadini di parlare proprio della mobilità femminile: "Sappiamo - esordisce Sabbadini - che le donne hanno un profilo di mobilità sociale diverso dagli uomini, peggiore. Entrano meno e più tardi nel mercato del lavoro, hanno un tasso di occupazione più basso e, anche a parità di istruzione, progrediscono meno in carriera, inoltre interrompono di più il lavoro in concomitanza con la nascita dei figli, sono più precarie e fanno più part-time. Tutto questo naturalmente incide sui loro percorsi di carriera. Infine sono sovra-istruite rispetto al tipo di occupazione, ovvero pur investendo di più in formazione e in cultura, e pur avendo risultati migliori in tutto il loro percorso scolastico, sono però caratterizzate da un forte sotto utilizzo del capitale umano che hanno maturato nel corso della vita, questo perché il loro percorso di carriera è molto più immobile di quello degli uomini". Quella delle donne è quindi una carriera molto più immobile: "Il 44% delle donne ha dovuto fare rinunce lavorative - commenta la direttrice del dipartimento Istat - contro il 19% degli uomini, a causa di impegni e responsabilità familiari. Fra i motivi principali per cui le donne hanno rinunciato ad entrare nel lavoro vi sono ovviamente la maternità e il dover farsi carico della cura dei figli e dei familiari". Di più: "Sono il 26% le donne che devono interrompere il lavoro per gli stessi motivi, mentre per gli uomini la percentuale è quasi del tutto assente, e il 20% delle donne contro l´8% degli uomini ha dovuto rinunciare a un particolare incarico che avrebbe voluto accettare. Infine, sotto il profilo della discriminazione, sono le donne a subire discriminazione di genere, mentre per gli uomini le cause sono di natura diversa: sindacale, politica, razziale". La crisi ha poi ha scombinato il quadro: "Dal 2008 ad oggi vi sono stati 875.000 occupati in meno, ma gli uomini sono stati più colpiti delle donne, questo perché i settori maggiormente toccati dalla crisi sono stati quelli tradizionalmente a maggiore occupazione maschile, come l´edilizia, mentre le donne sono per lo più inserite nel settore dei servizi". Vi sono poi altri fattori che hanno influito sulla tenuta dell´occupazione femminile: "Si è elevata l´età pensionabile delle donne - spiega Sabbadini - ci sono più donne occupate sopra i 50 anni, vi sono più immigrate occupate nei servizi alle famiglie, inoltre, un fattore che ha toccato il Sud Italia, a fronte della perdita di lavoro dei mariti/compagni, molte donne con stato sociale basso sono entrate nel mondo del lavoro diventando capo famiglia". Ma anche se l´occupazione femminile ha tenuto durante la crisi, le donne hanno dovuto pagare un prezzo elevato: "Sono aumentati i part-time involontari, sono diminuite le professioni tecniche e aumentate quelle non qualificate come i lavori domestici, è aumentata la sovra-istruzione delle donne rispetto al loro posto di lavoro. Infine la conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro è peggiorata". Sulla conciliazione poi Linda Laura Sabbadini ha aperto un´ampia parentesi: "Il problema della cura familiare rimane in Italia un tema privato, che riguarda principalmente le donne. I servizi sociali continuano ad essere scarsi, hanno smesso di crescere e spesso sono anche troppo costosi, soprattutto nel caso dei nidi, non alla portata di tutti e maldistribuiti. In Trentino siamo in una zona di eccellenza, ma ci sono luoghi, come nel sud del paese, dove la situazione è critica". I servizi sociali hanno smesso di crescere anche in seguito alle misure messe in atto per contenere la crisi, e la divisione dei ruoli nella coppia continua ad essere rigida e a modificarsi molto lentamente: "Non vi è simmetria dei ruoli nella famiglia: sono per il 70% le donne ad occuparsi della cura familiare, nel 1989 questo dato era all’80%, ma la diminuzione è dovuta più per effetto dell’azione delle donne, che hanno tagliato il tempo da dedicare al lavoro domestico e non quello alla cura dei figli, che per effetto dell’azione degli uomini". Vi sono alcune eccezioni, come "i padri laureati con figli piccoli, insegnanti o impiegati, che hanno orari che permettono flessibilità, in questi casi emerge una nuova paternità". Non sono incoraggianti le conclusioni di Sabbadini: "Sta entrando in crisi la catena di solidarietà femminile su cui si era basata la sopravvivenza stessa delle donne che lavorano, sia le madri che le nonne vivono un forte aggravio nell’aiutarsi reciprocamente. Questo perché le nonne lavorano di più, dovranno in prospettiva lavorare più a lungo e, in parallelo, hanno nipoti da accudire e genitori anziani. Inoltre il calo della fertilità fa sì che le nonne abbiano meno sorelle con cui condividere i carichi e spesso figli adulti in casa". In sostanza sta entrando in crisi la "catena di solidarietà femminile su cui per decenni il nostro Paese si è basato, il vero pilastro fondamentale del welfare italiano, visto che in Italia abbiamo introdotto politiche di conciliazione con molto ritardo, solo ad inizio 2000". La distribuzione dei carichi di cura è "un macigno sulle spalle delle donne", anche perché vanno tenuti conto i radicati "stereotipi di genere", dentro i quali la società italiana è ingabbiata. Ed è proprio a partire da queste ultime considerazioni che Ugo Morelli ha spostato l´attenzione sull´importanza delle differenze di genere, che ci aiutano a vedere il mondo in modo diverso, cercando di approfondire quale è il costo che la società paga per l´immobilismo lavorativo delle donne. Morelli ha quindi spiegato che, nella società attuale, vi è una "generale crisi della forma maschile, ovvero noi uomini non riusciamo a sostituire la forma patriarcale con nulla, stiamo arrancando". E se le strategie per superare le differenze di genere devono essere messe in campo soprattutto dalla parte politica, non si può parlare di sesso, che è il risultato di un processo genetico, e di genere, che è figlio dei processi educativi, senza parlare di codice affettivo: "Questo codice - sono le conclusioni di Morelli - è come il pin del cellulare, è la via attraverso la quale accediamo all’altro e rappresenta il motore per affrontare le differenze di genere".  
   
   
IL VALORE DEL "SAGGIO SULLE CLASSI SOCIALI"  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Innocenzo Cipolletta, Tonia Mastrobuoni e Ilvo Diamanti hanno commentato, alla Sala della Filarmonica, il "Saggio sulle classi sociali " dell´economista Paolo Sylos Labini, scomparso da dieci anni, e ne hanno messo in evidenza l´importanza. Il testo sara ripubblicato a novembre dopo quarant´anni dalla sua uscita. Borghesia, classe media e classe operaia è la distinzione che l´autore aveva operato e che è rimasta come un classico tra gli studiosi di fenomeni sociali. Negli anni è cambiata la fotografia della società ma è ancora attuale l´approccio analitico proposto dal "saggio". Partendo dall´opera di Sylos Labini i relatori hanno affrontato i cambiamenti della nostra società tra polarizzazione, paura della caduta sociale, uscita dal ceto medio dopo una costante espansione di questa categoria. Dopo anni in cui si pensava che il domani sarebbe stato migliore dell´oggi, ai giorni nostri non è più così, molti pensano che per avere opportunità i giovani debbano andarsene e si crede sempre meno che i giovani potranno uguagliare o migliorare le condizioni dei genitori. "Sylos Labini - ha detto Cipolletta - è stato un maestro per tutti noi. Non era solamente un economista. In piena epoca macro economista aveva scelto come punto di riferimento l´oligopolio. Fece anche battaglie politiche e difese con coraggio le sue idee. Il saggio di cui parliamo oggi è diventato un classico, ancora lo si trova nelle librerie. A suo tempo ruppe la tradizione che allora voleva le società occidentali proletarizzarsi sempre di più. L´autore si concentrò invece sul ceto medio che andava ingrossandosi". Oggi, è emerso dal dibattito, si tende a dire che la società si sta polarizzando di nuovo tra ricchi e poveri. Nella definizione delle classi di appartenenza conta anche la genesi della ricchezza, non solo la sua quantità. "La distribuzione del reddito - ha aggiunto Cipolletta - non la fa la politica fiscale ma la spesa pubblica e l´attuale battaglia politica contro il fisco contrasta quindi con l´idea della proletarizzazione della società". Il populismo, secondo lui, cresce perché agli umori della pancia non corrisponde la presenza di una classe sociale che riesca a sovrapporre i suoi interessi con quelli del paese. Per Ilvo Diamanti il "saggio" è un testo importante che ha il pregio di essere innovativo, sistematico e prefigurativo. Negli anni ´70 parlare di lotta di classe e di divisione in due della società aveva, ha spiegato Diamanti, un significato molto diverso rispetto ad oggi. Sylos Labini introdusse nel dibattito la piccola borghesia. Ci ha detto che tra proletariato e borghesia c´è un altro corpo sociale. La differenza tra gli anni ´70 e oggi è che ora accettiamo l´idea che la società sia un "unicum". "Oggi - ha detto Diamanti - alla classe operaia mancano i luoghi dove formarsi e che le possano dare stabilità attraverso legami di solidarietà. Ci troviamo in una situazione diversa rispetto a quella descritta da Sylos Labini. Il ceto medio si è dilatato e ha cambiato il suo fondamento". Una visione classica, ha aggiunto, vede una piccola borghesia fatta di piccoli imprenditori e lavoratori autonomi poco incline ad accompagnare processi riformisti e poi un ceto medio cosiddetto riflessivo, che è riformista e innovatore ed è composto da pubblico impiego e intellettuali. Oggi il ceto medio si è così dilatato che sfuggono i confini e le definizioni tra le diverse componenti. Dall´altra si sta tornando anche alla dicotomia alto-basso. Dalle analisi periodicamente condotte, negli ultimi dieci anni, dal 3 al 6 per cento della popolazione rappresenta la classe dirigente, si rileva poi una percezione di declino sociale a partire dal 2008. Sempre più italiani, in particolare donne e casalinghe ma anche lavoratori autonomi e piccoli imprenditori, si sentono appartenenti al proletariato. Siamo in una fase di uscita dal ceto medio e di rappresentazione di sé stessi come in caduta verso il basso. "Oggi - ha detto Diamanti - parlare di classi sociali e mobilità crea disagio soprattutto riguardo ai giovani. Se il futuro è ieri che mobilità sociale vuoi avere".  
   
   
EREDITA’, DISUGUAGLIANZA, MOBILITA’  
 
 Trento, 10 giugno 2015 - Graziella Bertocchi, docente di economia politica presso l’università di Modena e Reggio Emilia, ha questa mattina introdotto un’altra tematica particolarmente interessante per il mondo dei giovani e più in generale da cui noi tutti non possiamo prescindere per cercare di spiegare le radici di quelle problematiche così attuali che la crisi odierna ha riacutizzato e riportato a considerare come temi di forte attualità e che ritroviamo nei concetti di disuguaglianza sociale e di assenza di mobilità. Per eredità innanzitutto si intende un trasferimento di patrimonio che in ambito prettamente economico è costituito da beni materiali come ad esempio da attività finanziarie o da immobili. Il concetto generale sottolineato più volte dalla docente, nella fase introduttiva dell’approfondimento odierno, è che la ricchezza nel mondo è distribuita in modo del tutto ineguale: una consistente parte della ricchezza è infatti ereditata piuttosto che essere frutto del lavoro assiduo o del merito individuale. Ma se gran parte di questa ricchezza ci arriva in forma ereditaria, piuttosto che come guadagno o risparmio, questo favorirà il mantenimento della disuguaglianza, comportando dunque un ostacolo alla mobilità economica e sociale. A questa prima visione fortemente critica del concetto di eredità si affiancherebbe una seconda visione diametralmente opposta alla prima: l’eredità rappresenterebbe un incentivo a lavorare e investire per il bene dei propri figli, incentivo che consentirebbe la crescita economica. In realtà questa seconda visione è piuttosto carente di dati e studi sufficienti che a livello generale la possano avvalorare. In questo campo, spiega la professoressa, esistono in ogni caso “grossi problemi di misurazione” in particolar modo sul contributo dell’eredità alla crescita, anche se è stato stimato che l’eredità spieghi la maggior parte della formazione del capitale produttivo. La seconda parte del partecipato incontro di stamane ha riguardato non solo l’aspetto economico dell’eredità ma anche quello legato all’ordinamento giuridico: poter disporre dei beni della propria famiglia infatti dipende dall´ordinamento giuridico presente nelle varie nazioni. Da qui l’importanza di approfondire e conoscere il diritto successorio, secondo il quale esistono diverse regole e consuetudini per la trasmissione dell’eredità, misure che a loro volta interagiscono direttamente con l’economia di un paese. Il tema trattato dalla docente dell’università di Modena e Reggio Emilia ha poi affrontato un punto fondamentale per la svolta dell’intero discorso: “E’ un bene tassare maggiormente l’eredità?”. Il quesito ha creato alla fine dell’appuntamento un vero e proprio dibattito del pubblico tra coloro che sostenevano che tassare maggiormente è un bene poiché l’imposta colpirebbe la ricchezza distribuita in modo ineguale e non meritocratico e tra coloro che sostenevano che la maggior tassazione in realtà scoraggerebbe il risparmio, l’investimento e la crescita economica. Dibattito a parte, quello che è certo, continua la professoressa, è che oltre ad un fattore economico e giuridico del concetto di eredità è bene considerare anche l’importanza del “capitale umano” . L’eredità infatti coinvolge anche la trasmissione di beni non economici in senso stretto ed il concetto di capitale umano, considerato come una forma di ricchezza non materiale come ad esempio l’istruzione o l’attenzione che un ragazzo riceve da parte dei propri genitori, sarebbe distribuito in modo meno diseguale rispetto alla ricchezza. In realtà come nel caso delle due teorie contrapposte riguardo al concetto di eredità, anche in questo frangente la tesi riguardante l’importanza del capitale umano per la mobilità sociale viene profondamente ribattuta, sostenendo che anche il capitale umano sarebbe distribuito in modo ineguale, contenendo, secondo la tesi che una famiglia più ricca e dunque maggiormente istruita dedica maggior tempo ed istruzione ai propri figli, una componente ereditaria e dunque ereditabile.  
   
   
LA DITTATURA DEGLI ESPERTI: EASTERLY, L´AFRICA E I DIRITTI IGNORATI  
 
Trento, 10 giugno 2015 - L’assenza di diritti politico-economici per i poveri del pianeta, causa della loro "immobilità sociale", è costantemente ignorata dagli economisti: parola di William Easterly, docente alla New York University ed editorialista, fra gli altri, del New York Times. Introdotto da Federico Fubini, Easterly ha sottolineato come gli interessi delle elittes politiche ed economiche spesso coincidano, perpetuando all’infinito la disuguaglianza e la discriminazione. E gli aiuti allo sviluppo - specie nelle loro declinazioni tecnocratiche - non risolvono il problema. "I diritti negati ai poveri sono in primo luogo i diritti politici", ha detto l´economista, concentrando la sua analisi sull´Africa e sul diritto alla mobilità, ma ricordando che i tecnocrati - che non vengono eletti e quindi non devono rispondere ai cittadini che subiscono le loro scelte - imperversano anche in Occidente, basti guardare al caso greco. Agli agricoltori africani vengono negati i diritti più elementari: alla terra, alla sicurezza, alla mobilità. Easterazy ha raccontato un episodio riguardante l´Uganda - contadini espropriati della propria terra, minacciati, fatti oggetto di violenza, per il fatto di vivere in un´area oggetto di una compravendita fra Uganda e Gran Bretagna - su cui la Banca Mondiale si era impegnata a svolgere un´inchiesta. "L´inchiesta - ha detto - non c´è mai stata, l´Uganda è governata da quasi 30 anni da un dittatore che però è alleato dell´Occidente, mentre il destino dei poveri non interessa a nessuno". Easterazy ha ripercorso la storia dell´Africa dall´inizio della tratta degli schiavi, gestita in un primo momento dai portoghesi, poi dalle altre potenze europee, fino ad oggi. Alla tratta è seguita la stagione del colonialismo, che in particolare nelle colonie britanniche poggiava spesso su una forma di amministrazione indiretta, o "indirect rule". La classe dirigente locale, africana, veniva selezionata dall´Inghilterra (o era comunque soggetta ad una legittimazione esterna). Non aveva naturalmente alcun incentivo a fare qualcosa di buono per il suo popolo: essa piuttosto doveva servire gli interessi della potenza coloniale, quali che fossero. Al colonialismo è succeduta la Guerra fredda. Di nuovo l´Occidente (così come l´Urss) si è appoggiato a dittatori locali (come Mobutu nel Congo/zaire) per coltivare i propri interessi. Si sono create elittes politico-economiche basate sugli interessi dell´Occidente e su un´economia basata sulle esportazioni. Alla Guerra fredda si è sostituita la cosiddetta "Guerra al terrore". I dittatori a cui l´Occidente - soprattutto Usa e Inghilterra - si può appoggiare continuano a ricevere aiuti politici, economici, militari, come nel caso dell´Etiopia. Quando poi si passa all´approccio tecnocratico ai temi dello sviluppo accadono cose bizzarre: spesso i tecnici riscoprono soluzioni (per problemi che vanno dalla povertà alla malaria) che erano già state consigliare in epoca coloniale, 70 anni fa. Il che dimostra come questo approccio non funzioni, perché ignora la radice politica dei problemi, e in particolare la negazione dei diritti fondamentali, come quello alla mobilità (e quello speculare dei piccoli coltivatori a rimanere sulla propria terra). Bill Gates ha lodato apertamente il dittatore dell´Etiopia Meles Zenawy, che rimuoveva i contadini dalle terre che coltivavano per realizzare programmi di sviluppo concordati con organismi internazionali o per mettere le terre a disposizione di acquirenti stranieri. La storia del Ghana è più felice: nel 2000 ci sono state le prime elezioni libere e da allora le libertà politiche non sono state più in discussione. Ciò si è tradotto anche in più alti livelli di sviluppo. Nonostante tutto quindi ci sono progressi anche in Africa e sempre più persone che lottano per vedersi riconosciuti i propri diritti. E noi in Occidente cosa possiamo fare per aiutarli? Chiedere ai nostri governi di non appoggiare i dittatori perché ci fanno comodo, innanzitutto.  
   
   
EKINS: "DIAMO UN PREZZO AL CARBONIO E POI TASSIAMOLO"  
 
Trento, 10 giugno 2015 - "Ci si chiede spesso, con una certa ansia per il futuro delle nostre riserve energetiche, quando finirà il petrolio, ma se vogliamo limitare a 2 °C l´aumento della temperatura sulla Terra dobbiamo mantenere sotto terra l´80 per cento del carbone, più di due terzi del gas naturale e metà del petrolio. La nuova politica energetica parte da qui". Per Paul Ekins, docente di Politica energetica e ambientale all´University College London, la soluzione al problema energetico, quella capace di ridurre la contraddizione tra energia e ambiente, dipende dalle scelte dei decisori politici. E tra queste scelte la priorità va all´attribuzione di un prezzo al carbonio, premessa per poi poterlo tassare. Sapendo che, in ogni caso, anche così facendo non riusciremo comunque a fermare il global warming. Tutto si gioca attorno al "trilemma" della questione energetica - ovvero la compatibilità tra l´esigenza di garantire la sicurezza delle forniture, l´efficienza economica del sistema (mantenere basso il prezzo dell´energia) e i cambiamenti climatici - introdotto ad inizio incontro da Matteo Di Castelnuovo che, assieme al climatologo Antonio Navarra ha animato il confronto con Ekins, moderato dal responsabile scientifico del Festival della scienza medica di Bologna, Pino Donghi. "Secondo l´Agenzia internazionale dell´energia - spiega Di Castelnuovo - nel 2014 le emissioni si sono fermate, non accadeva da 40 anni, a causa di un cambiamento nelle modalità di consumo di energia in Europa e negli Usa. La nostra dipendenza dai combustibili fossili è scesa in dieci anni dall´82 al 75 per cento, un risultato straordinario, ed ancora tale dipendenza si ridurrà in futuro. Il mercato della Co2 è nel frattempo crollato, ma la novità è che le centrali a carbone stanno riguadagnando terreno, mentre quelle a gas stanno perdendo spazio. L´energia elettrica? È diventata spazzatura, le centrali pagano perchè sia ritirata, sono crollati i prezzi e le centrali tradizionali non sono più in grado di recuperare. Anche in Italia la domanda di elettricità è in calo: nel 2014 quasi il 40 per cento della domanda di energia è stata soddisfatta da energie rinnovabili. Anche la domanda di picco è andata scendendo, nonostante questo si è continuato a costruire centrali idroelettriche, che sono raddoppiate, a fronte di una domanda rimasta stabile o in declino. Pure la domanda di gas è scesa." Questo il sintetico quadro fatto da Di Castelnuovo di cosa sta accadendo nei mercati elettrici. Alla questione energetica, come sappiamo, è strettamente legata quella climatica. "Difficile fare qualsiasi politica che non tenga conto dei cambiamenti climatici" afferma Navarra, "ma dobbiamo essere ottimisti perché l´umanità è in grado di risolvere i problemi, restando al tempo stesso preoccupati perchè non sempre sapere che fumare fa male porta a smettere, e noi ci stiamo fumando il pianeta." "Creare un mercato energetico diverso, che sia meno in conflitto con l´ambiente - questa la conclusione di Ekins - è certamente possibile, l´unica opzione non accettabile è quella di non prendere nessuna decisione. Le decisioni sono difficili perché gli investimenti che dobbiamo fare avranno un impatto per decenni. Dobbiamo iniziare chiedendoci quanta energia ci servirá; possiamo diminuire la domada di energia, e quasi tutti i Paesi chiedono oggi meno energia, ma dobbiamo anche dare alla rete la capacità di rispondere su molte fonti distribuendo l´energia. Ci sono solo 4 nuove fonti da usare su grande scala: le grandi rinnovabili, le rinnovabili distribuite, il nucleare, il carbone. Dobbiamo scegliere, sapendo che tutte queste opzioni comportano dei problemi. La stessa bioenergia, ad esempio, è in competizione con la biodiversità, e poi ci sono i problemi sociali e le lotte politiche soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Dobbiamo, soprattutto, sviluppare una politica specifica per le nuove tecnologie, quelle ambientali e quelle Itc, che devono integrarsi per dare sempre maggiore efficienza al sistema."  
   
   
UNA CULTURA IN MOVIMENTO: L´ESEMPIO DEL MUSE  
 
Trento, 10 giugno 2015 - La location dell’incontro dedicato a ‘Una cultura in movimento: libri, sviluppo economico e mobilità sociale’ non poteva essere più azzeccata: è negli spazi del Muse che si è svolta la discussione sul genere di indotto economico che oggi la cultura può portare su un territorio, in particolare quale strumento per rimettere in moto la mobilità sociale. Il Muse, che tra qualche settimana compirà due anni di attività, ha detto il presidente Marco Andreatta, ha già superato il milione di visitatori, ponendosi all’ottavo posto tra i musei italiani per numero di visitatori. La sua attività è quindi coerente con il tema scelto per l’incontro di oggi che parla di ‘cultura in movimento’. Nel 2014 l’ indotto portato del Muse sul territorio è stato superiore ai 50 milioni di euro, che superano il contributo provinciale, dando lavoro a 130 persone con un età media di 36 anni, impegnando nella sperimentazione di formazione nella comunicazione scientifica 90 giovani che vengono da tutta Italia. L’ indotto creato dal Muse, ha concluso Andreatta, influisce sulla dinamica dell’economia della città e della provincia. Il Muse ha vinto la sfida: è riuscito a creare il rapporto tra cultura e sviluppo economico, inducendo una mobilità sociale oltre a quella già presente grazie all’Università di Trento. Diversa la panoramica nazionale illustrata dalla ricerca condotta dal docente Giulio Guarini all’Università della Tuscia, al cui titolo si è ispirato l’incontro . La popolazione dei laureati in Italia è in crescita, ha osservato Guarini, tuttavia siamo il fanalino di coda dell’Europa. Esiste poi ‘una questione meridionale’ perché c’è un gap tra nord e sud sul livello di istruzione con un alto indice di disuguaglianza che si riflette su tutte le variabili culturali tra cui la lettura di libri, di giornali e di siti internet di informazione, visite ai musei e alle mostre. Il divario è strutturale, e influisce sul tasso di occupazione. Poi l’Italia spende meno della media Ue per l’istruzione .L’istruzione è anche strumento per acquisire competenze e quindi una leva per lo sviluppo ma è anche una dimensione importante del benessere dài vita perché offre maggiore opportunità di inclusione sociale. Sul gap italiano è intervenuto Innocenzo Cipolletta, presidente dell´Università di Trento, sottolineando che è fondamentale accorciare i tempi per passare dalla scuola al lavoro. Il nostro Paese resta il Paese delle raccomandazioni. Nei Paesi anglosassoni c’è la referenza, se chi fa da referente sbaglia per tre volte su garantire una persona, non viene più preso in considerazione, da noi invece vige la raccomandazione quasi paternalista. “Dai è giovane è bravo dagli una mano”. Dobbiamo trasformare le raccomandazioni in referenze, ha osservato Cipolletta, per conferire il valore giusto e importante alla formazione. Anche le nostre imprese pagano poco le professionalità competenti, quando viene assunto un laureato si pensa sia un lavoratore alle prime armi che va formato. “Cerchiamo di restituire valore e dignità a chi ha studiato nel mondo del lavoro”. “Siamo in una cultura in movimento perché i dati stanno cambiando, ma poco abbiamo fatto per recuperare il gap e ce lo dimostra in maniera impietosa ´Il peso dell’ignoranza’ libro scritto da Solimine, ha affermato Flavia Piccoli Nardelli, membro della commissione cultura della Camera dei deputati, abbiamo investito troppo poco in conoscenza. Ma ricordiamoci che siamo partiti da condizioni drammatiche, all’inizio dell’Unità italiana, il 68% degli italiani erano analfabeti mentre in Francia erano il 38%. "Al Trentino - ha sottolineato, Piccoli Nardelli - sotto l’Austria venne imposta la scuola elementare dell’obbligo e di recente gli investimenti in conoscenza e in ricerca sono stati di notevole entità. Da due anni sto lavorando con il Ministero all’Art Bonus che sta portando delle defiscalizzazioni nei Beni culturali di grande importanza, così come al disegno di legge sulla scuola, fondamentale per ridurre il gap di cui si è parlato". Nel Sud ci sono livelli di crescita totalmente diversi dal quelli del Nord. Al Sud si rischia il blocco della mobilità sociale e il Governo sta lavorando proprio per colmare questo gap. Ci sono anche dati confortanti sui primi 4 mesi del 2015 secondo l’Istat c’è un lieve recupero sull´ istruzione scolastica ed esiste una mappa del nostro Paese in cui le attività culturali riescono a disegnare dei distretti della bellezza.  
   
   
RICCHI E SUPER RICCHI: UN PROBLEMA DA AFFRONTARE TRA LE DISTORSIONI DEL MERCATO E L´ AUMENTO DELLE DISUGUAGLIANZE  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Quello legato ai ricchi e ancor più ai super ricchi è considerato un non problema da gran parte degli economisti. Ma la concentrazione del reddito a livello globale rischia, se non lo è già, di diventare un grave problema per la tenuta delle società e del sistema democratico. Sono questi alcuni degli spunti offerti dall’incontro proposto questa mattina per il Festival dell’Economia sul libro “Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? Le disuguaglianze estreme nel capitalismo contemporaneo” a cura de Il Mulino. Ne hanno discusso la sociologa Chiara Saraceno e Maurizio Franzini docente di Politica economica all’Università di Roma La Sapienza che ha firmato il libro insieme a Elena Granaglia e Michele Raitano. Nel suo intervento Chiara Saraceno ha evidenziato come si debbano distinguere i ricchi da patrimonio dai ricchi da lavoro sui quali maggiormente si sofferma l’analisi del volume. Secondo la Saraceno bisogna chiedersi se sia necessario controllare in qualche modo i ricchi o sia un rischio per il sistema economico farlo. Le argomentazioni a questo proposito sono differenti. Ad esempio si dice che i ricchi finiscono per produrre ricchezza anche per gli altri ma questo è vero fino ad un certo punto perché nello stesso tempo finiscono anche per aumentare il costo dei beni per tutti. “I grandi ricchi – ha spiegato Chiara Saraceno – specie negli Stati Uniti sono anche dei grandi filantropi. Ma la filantropia, pur importante, è sempre discrezionale e non risolve certo il problema dell’ingiustizia". Maurizio Franzini ha posto subito l’attenzione su come in Italia l’anomalia sia quella che vede i ricchi da lavoro facenti parte di due categorie: gli autonomi e i dirigenti del settore pubblico. Nell’analisi di Franzini è emersa una forte preoccupazione per l’aumento delle disuguaglianze a livello globale: “La concentrazione del reddito oggi è in mano all’1% della popolazione con una quota in costante aumento mentre per il restante 99% risulta quasi ovunque in calo e questo porta ad un crollo della classe media che scivola in molti Stati verso la povertà”. Anche in Italia nell’ultimo decennio è aumentato il peso dell’1% della popolazione più ricca a discapito della classe media. Le cause di questo divario di reddito secondo Franzini sono da trovare nella degenerazioni dei mercati verso un sistema di fatto sempre meno concorrenziale: “Si è creato un sistema distorto che si deve correggere: il meccanismo è più quello della gara sportiva che del mercato. Nella gara sportiva il primo prende tutto e agli altri non resta più niente o quasi. Questo porta ad esempio al fatto che anche una minima differenza di talento fra i manger sia causa di un enorme differenza di compenso”. Fra le cause di questa degenerazione c’è anche la tecnologia che permette ad esempio ad un artista di muoversi sui mercati globali o a un manager di controllare dal suo ufficio con un pulsante decine di aziende senza particolare sforzo. “Nella nostra società siamo tutti vittime del fascino delle classifiche – ha sottolineato Franzini – con la logica del migliore che impera, con l’esaltazione del ranking dalle aziende alle università senza valutare assai di frequente con quali criteri vengano stilate. In questa logica si inserisce l’importanza della notorietà che non sempre, anzi assai di rado, significa qualità e anzi diventa spesso una barriera per la concorrenza”. Per Franzini oggi i mercati generano pochissimi vincitori e tantissimi perdenti e questo sta diventando un grave problema per la democrazia perché i pochi “vincitori super ricchi” finiscono per influenzare anche i governi e la politica in una pericolosa spirale perversa. Per bloccare la crescita delle diseguaglianze è quindi sempre più urgente intervenire sulle distorsioni dei mercati e trovare nuovi sistemi redistributivi. In gioco c’è la democrazia che rischia di trasformarsi in una plutocrazia se non si comprende anche l’importanza della concorrenza che non è solo data dalla possibilità di scegliere ma anche di poter sfidare chi sta più in alto di te, di raggiugerlo e di superarlo.  
   
   
LUCINDA PLATT: "L´ISTRUZIONE È FONDAMENTALE PER LA MOBILITÀ VERSO ALTO"  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Lucinda Platt, introdotta dalla giornalista del "Corriere della Sera" Maria Antonietta Calabrò, ha presentato oggi alla platea del Festival dell´Economia di Trento 12 anni di studi sugli immigrati di seconda generazione nel Regno Unito. Secondo la professoressa della London School of Economics, elemento discriminante per la mobilità sociale dei figli degli immigrati è rappresentato dall´istruzione: "L´istruzione è fondamentale per la mobilità verso alto, ovvero è questo il modo attraverso il quale i migranti hanno successo - sono state le sue parole - spesso però non è sufficiente per evitare un rischio di disoccupazione maggiore. Vediamo anzi che l´elevata istruzione, a volte, non si traduce in analoghi risultati sotto il profilo occupazionale. Forse, quindi, la classe sociale conta più dell´etnia". Lucinda Platt ha presentato la peculiare situazione inglese, dove il fenomeno dell´immigrazione è avvenuto molto prima di altri Paesi, come l´Italia, e può quindi rappresentare un buon modello di studio per il futuro: "Le minoranze caraibiche sono arrivate negli anni ´40-´50 e si sono posizionate intorno a Londra, gli indiani fra gli anni ´60 e gli anni ´70, si sono concentrati nello Yorkshire e hanno lavorato principalmente nell´industria tessile, mentre i pachistani sono arrivati verso la fine degli anni ´60 e l´inizio degli anni ´70 e si sono insediati nella parte settentrionale dell´Inghilterra più industrializzata, un´area che ha subito un forte processo di deindustrializzazione". "Gli immigrati in Gran Bretagna rappresentano il 14% della popolazione e sono ormai in crescita in molti paesi europei - chiarisce Lucinda Platt - al punto che in alcuni luoghi possiamo parlare di terza generazione, inoltre molto spesso sono popolazioni giovani, che quindi diventeranno significative per il futuro". Secondo Lucinda Platt: "Per capire la posizione delle minoranze etniche, dobbiamo considerare le famiglie di origine e il contesto che si trovano ad affrontare", vi sono ovvero situazioni differenti a seconda dei gruppi e diversa mobilità sociale, sia in alto che in basso. Per esempio, sotto il profilo dell´istruzione: "Alcuni gruppi di minoranze, considerati svantaggiati come i pakistani, raggiungono un buon livello di istruzione, addirittura migliore degli stessi giovani britannici". Ma spesso questa istruzione non si traduce in un posto di lavoro adeguato al livello raggiunto. In sintesi: "Analizzando i dati vediamo che c’è, effettivamente, una mobilità verso l’alto dei gruppi di migranti, rispetto alle origini svantaggiate, ma non esiste un elemento di protezione per la seconda generazione rispetto alla mobilità verso il basso. L´istruzione poi è fondamentale per la mobilità verso alto, ovvero è il modo attraverso il quale i migranti hanno successo, ma non è sufficiente per evitare un rischio di disoccupazione maggiore". L´istruzione non è discriminante per la prima generazione, ma è il modo per la seconda generazione di ottenere maggiore mobilità, anche se da sola non basta "perché gli esiti occupazionali rispetto all´istruzione sono minori". In definitiva, come spiegato da Platt: "I migranti si stanno allontanando dallo svantaggio sociale, ma ci sono grosse diversità fra i gruppi e forse la classe sociale conta più dell’etnia".  
   
   
POLETTI: SUL LAVORO IL TRENTINO IN LINEA CON LA RIFORMA NAZIONALE  
 
Trento, 10 giugno 2015 - "Sui temi del lavoro e degli ammortizzatori sociali il Trentino sta facendo esperienze interessanti, in linea con quello che stiamo cercando di realizzare a livello nazionale con la nostra riforma. Dobbiamo ora trovare assieme le modalità per rendere compatibili strumenti e misure sviluppate localmente con l´impianto generale a cui stiamo dando forma con i decreti che il ministero a breve licenzierà, uno sulle politiche attive del lavoro e l´altro sugli ammortizzatori sociali". Questa in sintesi l´opinione espressa dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti al termine dell´incontro svoltosi stamani in Provincia con il presidente Ugo Rossi e il vicepresidente Alessandro Olivi. Temi oggetto dell´incontro i servizi pubblici all´impiego - con la quarantennale esperienza di Agenzia del lavoro - e la delega sugli ammortizzatori sociali stabilita dall´Accordo di Milano del 2009, con le misure adottate in seguito in Trentino fra cui reddito di attivazione (per i disoccupati), il reddito di qualificazione professionale (rivolto ai giovani che già lavoro) e il reddito di continuità (per i lavoratori, soprattutto delle piccole imprese, sospesi dal lavoro). Con il ministro si è parlato inoltre del futuro assetto del credito cooperativo, alla luce anche qui delle novità che si stanno profilando a livello nazionale. Come valorizzare le strategie e le azioni sviluppate a livello locale i, tema di lavoro, in virtù delle competenze autonomistiche e delle nuove deleghe concertate in epoca recente con Roma, nel quadro delle riforme che stanno avanzando a livello nazionale: questo in sintesi il tema affrontato nel lungo colloqui svoltosi stamani nella sede della Provincia fra il ministro Poletti, il presidente Rossi e il vicepresidente e assessore allo sviluppo economico Olivi. Con il Ministero il rapporto è già molto buono, anche alla luce del contributo offerto a suo tempo da Poletti allo sblocco del finanziamento della cassa integrazione straordinaria per i lavoratori della Whirlpool, nel quadro di una chiusura che la Provincia ha concertato con l´azienda allo scopo di evitare l´esplosione di un conflitto sociale che altrove ha assunto ben altra portata. Con il ministro si è parlato però innanzitutto di credito cooperativo, alla luce di un disegno generale che sembra andare nella direzione di dar vita ad una solida istituzione nazionale, un unico gruppo bancario di riferimento per tutto il sistema cooperativo, ma senza entrare in conflitto con esperienze territoriali molti forti e caratterizzate, come quella trentina. Venendo al tema del lavoro, Rossi e Olivi hanno brevemente illustrato al ministro l´esperienza quarantennale dell´Agenzia del lavoro, unica in Italia, caratterizzata da un modello di governance compartecipato dalle parti economiche e sociali. La sfida è ora quella di coordinare l´Agenzia trentina, che a sua volta sta attraversando una fase di rinnovamento, con l´agenzia nazionale prevista dal Governo. L´altra questione fondamentale riguarda gli ammortizzatori sociali. Il Trentino è l´unico territorio ad avere ottenuto la delega amministrativa sul tema, fin dal 2009. In virtù di ciò, ha messo a punto e sta finanziando una serie di ammortizzatori integrativi e/o innovativi rispetto a quelli esistenti. L´intenzione della Provincia è quella di gestire in futuro la partita anche come leva di sviluppo locale, ragionando di rapporti con la scuola, l´università e le imprese, sulla base del Patto per lo sviluppo e il lavoro sottoscritto ad inizio legislatura con le parti economico-sociali. Il Trentino è partito in verità già ad inizio crisi con un nuovo strumento che non è propriamente un ammortizzatore sociale, considerato il suo carattere universalistico, al servizio di tutti i cittadini residenti, ovvero il reddito di garanzia, una sorta di reddito di cittadinanza, anch´esso unico nel suo genere in Italia, che assorbe 16 milioni di euro all´anno e di cui il ministro Poletti ha sottolineato l´estrema attualità (considerato il dibattito che sta avanzando a livello nazionale sul tema del reddito minimo). A seguire è stato messo in campo, lo scorso autunno il reddito di attivazione, pensato per i disoccupati over 55, under 50 e i lavoratori discontinui, con uno stanziamento di 25 milioni di euro in 3 anni. L´obiettivo del Trentino è di continuare ad usare e anzi rafforzare questo strumento , inserendosi però nel complesso delle misure che si stanno varando a livello nazionale. Lo stesso dicasi per il reddito qualificazione professionale e soprattutto per il reddito di continuità, che prevede la creazione di un fondo intercategoriale territoriale, su base volontaria, con la partecipazione sia del datore di lavoro sia del lavoratore, ed eventualmente anche della parte pubblica. Il dubbio è che esso possa collidere con la volontà del governo di far convergere in futuro i contributi delle imprese su un unico fondo nazionale. Il ministro Poletti ha assicurato la volontà del Governo e del suo Ministero di conciliare strumenti ed esperienze che stanno funzionando bene come quella trentina con le misure che si stanno mettendo a punto a Roma. Nel prossimo futuro, dunque, i tecnici dovranno quindi confrontarsi per mettere a fuoco le modalità attraverso le quali rendere possibile questa armonizzazione e rimuovere eventuali ostacoli.  
   
   
L´ASCENSORE CRIMINALE: LA MAFIA COME MODELLO DI SUCCESSO  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Sia la mafia, sia la camorra sia la ‘ndrangheta offrono ai giovani un modello di ascesa sociale fondato sulle prospettive di rapido e “facile” guadagno. Le fortune economiche dei boss e i loro stili di vita diventano ciò a cui la manovalanza criminale, fatta soprattutto di giovani, guarda con ammirazione. Michele Prestipino, un magistrato che fra l´altro ha fatto arrestare, nel 2006, il boss di Cosa Nostra Michele Provenzano, attualmente procuratore aggiunto di Roma dove ha partecipato all’inchiesta cosiddetta “Mafia Capitale”, e Giovanni Ladiana, un sacerdote gesuita, ex-bracciate e muratore, impegnato nella lotta alla ’ndrangheta calabrese, hanno affrontato al teatro Sociale, senza reticenze un tema essenziale per la crescita sociale e civile dell’Italia. Con un appello anche ai trentini: "Leggete, informatevi. Non penserete che la ´ndrangheta dica: questo è il Trentino Alto Adige, lasciamolo stare. Se pensate così vi state scavando la fossa. La ´ndrangheta è dappertutto, in Canada, Australia, Usa, ora anche il Africa". "Le mafie sono grandi fattori di mobilità sociale - ha detto Gaetano Salvaterra nell´aprire l´incontro di ieri sera al Sociale, di fronte ad una sala particolarmente affollata di giovani - Ma fino a quando potremo accettare questo tipo di mobilità e qual è il suo costo sociale?". Una cosa è certa: le mafie non sono fatte solo di esperti di violenza, ma anche di persone che sanno parlare, stringere relazioni. Le mafie generano condizionamento sociale, verso il basso, cercando consenso, e verso l´altro da sé , verso la non-mafia e solitamente gli strati alti della società. Verso il basso, la fascinazione si esercita soprattutto sui giovani. La criminalità evoca ricchezza, visibilità e riconoscimento sociale, anche se il prezzo da pagare è alto: carcere, a volte la perdita della vita. "In certe realtà però la mafia e l´unica organizzazione a darti una identità". I costi sociali della criminalità organizzata sono evidenti. Reggio Calabria - è stato detto - è la città con il più alto tasso di povertà assoluta e tuttavia naviga in un mare di denaro. Il controllo esercitato dalla "casa madre" di Reggio sulle attività che la ´ndrangheta gestisce nel mondo è ferreo. Il volume di affari è di circa 140 miliardi di euro, di cui 43-44 vengono riciclati nell´economia pulita. Cosa fare, allora? Informarsi, studiare, per non dover dire un domani: "Come facevo a saperlo?". Ma anche recuperare alcune categorie di pensiero: quella fondamentale è quella dell´amico-nemico. L´amico è quello che sta piangendo e ci porta le sue lacrime. Il nemico quello a cui non vogliamo stringere la mano perché sappiamo che è sporca di sangue. Ma c´è anche dell´altro. Ci sono le alleanze, ad esempio. "L´unico strumento che abbiamo - ha detto Ladiana - è quello che creò Bregantini quando era vescovo a Locri, costruendo collaborazioni con il ´suo´ Trentino, e dando vita a cooperative che davano lavoro ai giovani. Anche noi abbiamo fatto partire un piccolo consorzio di produttori agricoli che si è preso l´impegno di pagare regolarmente i dipendenti, per costruire un´economia diversa, dal basso, pulita, controllata in ogni segmento della filiera. Per lo stesso motivo stiamo facendo nascere in Calabria qualcosa di simile alle vostre casse rurali". Il cammino è lungo. Ma come sottolineato da Prestipino, "se intorno alle mafie crolla il consenso sociale le mafie iniziano a disgregarsi. E il consenso sociale si compone di tanti fattori, anche religiosi, che si incarnano in tradizioni popolari, con i loro rituali, le loro venature di superstizione, con radici che affondano nel paganesimo, come l´inchino nella processione della Madonna a Oppido davanti alla casa del boss, durante la processione". Ma non tutto viene per nuocere: quell´evento, che seguiva alle scomuniche del Papa e dei vescovi contro i mafiosi, ha costretto i vescovi calabresi a fare uscire un documento contenente parole durissime. "Ora - ha chiosato Ladiana - bisognerà vedere come si tradurrà in pratica".  
   
   
CARRIERA, QUESTA SCONOSCIUTA (PER LE DONNE). DIFFERENZE DI GENERE NEL RAPPORTO COL POTERE  
 
Trento, 10 giugno 2015 - La professoressa Francesca Gino dell´Università di Harvard ha presentato i risultati di un inedito lavoro di ricerca, testato su uomini e donne di diverse nazionalità, sugli stereotipi e le differenze di genere nei luoghi di lavoro. Il libro, di recente pubblicazione, ha posto un focus privilegiato sull´analisi del divario che emerge fortemente tra uomini e donne interrogati nella loro personale relazione con le ambizioni di potere e i desideri di carriera. Già dai primi test si sono evidenziati due mondi divergenti con scale di priorità ed interessi di vita diametralmente opposti. Frutto di fattori culturali, sociologici, storici o altro? No, la motivazione sta nel fatto che le donne hanno il doppio di "obiettivi di vita" rispetto agli uomini e questo può avere un doppio lato della medaglia: conciliare vita e lavoro è possibile? ma a quale prezzo? L´incontro con Francesca Gino ha analizzato un tema sempre di forte attualità, protagonista sulla scena pubblica di svariati accesi dibattiti, che analizzano la permanente presenza minoritaria delle donne nelle posizioni apicali, nonostante la loro presenza nel mercato del lavoro si sia affermata ormai da decenni: "meno del 5% delle donne nel mondo sono amministratori delegati; meno del 15% dirigenti e meno del 6% ricopre una posizione di comando nel settore finanziario" – ha chiosato Francesca Gino di fronte ad una gremita platea nell´Aula Kessler di Sociologia. Docente dal 2001 alla Business School di Harvard, ha coordinato un gruppo di ricerca i cui risultati sono stati presentati oggi e sono confluiti nel volume da lei curato "La scelta giusta. Come contrastare i fattori che ci portano fruori strada". I fattori individuati dalla Gino, che condizionano i destini di uomini e donne, sono tre: noi stessi, gli altri e il contesto esterno, che a loro volta, e sono accompagnati da altre due suddivisioni in macro categorie: 1) fattori dal lato della domanda: ad esempio le barriere istituzionali (le donne sono percepite meno competenti e prive di leadership); 2) fattori dal lato dell´offerta (sono fattori legati alle diverse percezioni, decisioni e comportamenti di uomini e donne). Il primo questionario, che ha coinvolto nel mondo oltre 4.000 persone, adulti con lavoro (rappresentativi di varie categorie professionali: neolaureati, amministratori delegati, impiegati, ecc.), è stato teso a capire la motivazione della difficoltà delle donne nel fare carriera: "innanzitutto – ha proseguito Francesca Gino – un elemento altamente condizionante sta nel constatare dai questionari che le donne hanno il doppio di obiettivi di vita degli uomini, in quanto assommano insieme obiettivi di lavoro, famiglia, carriera, figli, relazioni, ecc (di cui meno del 50% sono legati ad obiettivi di potere), mentre i desideri cui mirano gli uomini si esauriscono in pochi traguardi da tagliare nella loro vita: crescere professionalmente, avere influenza sugli altri, ricevere messaggi di stima, ecc." Inoltre, alcuni dati interessanti da evidenziare sono che le donne, nel loro rapporto con il potere, lo percepiscono meno desiderabile rispetto all´altro sesso, ma ugualmente raggiungibile, e collegano alla carriera sentimenti di stress, tensione, orari incompatibili con la famiglia versus sentimenti di felicità, ambizione, guadagno dei loro colleghi maschi. Insomma due mondi agli antipodi, come lo yin e lo yang, e il paradosso è che nelle domande poste agli intervistati mirate ad indicare quali vie trovare per risolvere questo insanabile abisso culturale, sono arrivate risposte del tipo: "è meglio chiedere agli uomini di fare "un passo indietro" e lasciare spazio anche alle donne nelle posizioni apicali, che chiedere a loro di fare "un passo in avanti". Affermazione, quest´ultima emblematica di uno spaccato della società odierna, quello "in rosa" incapace di affermarsi nel mondo del lavoro e la cui unica "colpa" è quella di avere troppi obiettivi di vita e il desiderio di conciliarli. Ancora una volta si apre lo scenario di una società priva di un´offerta di strumenti efficienti per aiutare uomini e donne a gestire armonicamente la sfera della vita personale (famiglia, figli) con quella del lavoro. Francesca Gino ci da´ appuntamento al prossimo volume, che darà gli esiti di altre importanti ricerche testate sul campo nella speranza di poter dare dati meno critici e più rincuoranti.  
   
   
IL DRAMMA DELLA POVERTA´ E LA MANCANZA DI RISPOSTE CONCRETE A LIVELLO NAZIONALE ED EUROPEO  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Oltre sei milioni di persone in Italia, secondo i dati diffusi nel 2013, versano in uno stato di povertà assoluta e fra questi il numero dei minori è aumentato in una maniera drammatica rispetto alle rielvazioni del 2007 prima quindi della grandi crisi. Sono questi alcuni dei numeri che testimoniano la gravità della situazione in Italia e in molti Paesi europei se si parla di povertà e di conseguenza di politiche del lavoro contenuti nel nuovo libro della sociologa Chiara Saraceno “Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi” al centro dell’incontro proposto questa sera nel cartellone del Festival dell’Economia. Insieme alla Saraceno ne hanno discusso Chiara Appendino, Consigliere comunale di Torino del Movimento 5 Stelle e Roberta Carlini caporedattrice di “Ingenere.it. Chiara Saraceno ha spiegato al pubblicato che ha affollato la Biblioteca comunale di Trento come già prima della crisi si discutesse a livello europeo di come riconciliare le politiche dell’occupazione con quelle legate alla lotta alla povertà che anche allora era in preoccupante aumento. Una strategia spazzata via della crisi e che ora mostra un´Europa senza una direzione precisa, senza una politica concreta in grado di affrontare questi problemi così urgenti per la tenuta del tessuto sociale. Bisogna anche fare chiarezza su cosa si intenda per povertà che può essere relativa, quindi legata al tenore di vita medio di una nazione e assoluta se parametrata ad un paniere di beni primari. E a fare paura secondo Chiara Saraceno sono proprio le cifre della povertà assoluta in Italia: “Un numero che è triplicato passando dai 2, 4 milioni nel 2007 agli oltre sei milioni resi noti nel 2013 e fra questi poveri è impressionante e spropositato quello dei minori. Davanti a queste cifre appare ancora più grave come gran parte della politica e anche la coscienza del Paese di fatto tenda a rimuovere il tema della povertà”. Fra le cause di queste cifre che non possono lasciare indifferenti c’è anche quella legata ai lavori a bassa remunerazione, con un numero sempre maggiore di persone impiegate ma con un reddito insufficiente per condurre una vita dignitosa. Negli ultimi anni anche a livello europeo sono diminuiti i trasferimenti per le famiglie dei lavoratori, già assai limitati in Italia, e questo ha avuto fortissime ricadute sulle famiglie a basso reddito o a monoreddito che sono cadute di conseguenza in una grave situazione di povertà. Per guardare al presente e al futuro il quadro dipinto dalla Saraceno non lascia presagire nulla di buono: “In Europa non si vedono strategie mirate per un’occupazione in grado di non creare ulteriori contesti di povertà, mentre in Italia le politiche in questa direzione sono inesistenti o quando ci sono frammentarie e di fatto inefficaci”. In questo contesto la Saraceno è apparsa anche pessimista su quel reddito minimo di cittadinanza che è la bandiera del Movimento 5 Stelle rappresentato in questo momento del Festival dalla cittadina Chiara Appendino. “Nella mia città, Torino, - ha detto la consigliera comunale – i fatti confermano i numeri che emergono dal libro della Saraceno dove si evidenzia come un italiano su dieci sia a livello di povertà assoluta. Basti dire che a Torino il 43% dei giovani è disoccupato e sono in aumento i fattori della disuguaglianza con i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi”. Sull’opera di Chiara Saraceno, edita da Feltrinelli, si è soffermata anche la giornalista Roberta Carlini: “Bisogna rendersi conto di come la povertà sia una compagna stabile della ricchezza e del progresso. Ma si fa fatica a far comprendere questo concetto ad una politica che a livello nazionale ed europeo guarda altrove”. In attesa di scelte più illuminate il presente ci racconta come i nuovi poveri siano sempre più anche lavoratori sottopagati, come siano in crescita le disuguaglianza e di come sia sempre più necessario pensare ad uno strumento di protezione universale. “Perché la povertà – ha detto Roberta Carlini – non è solo una mera questione di risorse materiali ma si parametra anche dal potere di ciascuno di decidere per sé e per la propria vita”.  
   
   
A LEZIONE DI ECONOMIA DA JOSEPH STIGLITZ E ANTHONY ATKINSON  
 
Trento, 10 giugno 2015 - "Bisogna partire dal fatto che nel mondo ci sono delle disuguaglianze e la moderna economia questo non lo riconosce". Joseph Stiglitz e Antony Atkinson sono concordi, finché gli studi economici non prenderanno in considerazione il problema delle disuguaglianze, queste continueranno ad esistere. I due economisti, protagonisti nel pomeriggio di un confronto al Festival dell´Economia, nel 1980 pubblicarono il libro "Lectures on Public Economics" che a distanza di 35 anni hanno deciso di ripubblicare, riscrivendone l´introduzione. "Molto ovviamente è cambiato da allora - hanno detto i due - ma non il punto di partenza del libro, ovvero che le disuguaglianze esistono". Rispetto al 1980 ha ricordato Atkinson, viviamo oggi in un contesto globale e questo influenza il comportamento delle aziende, dei lavoratori e anche le politiche di spesa dei governi. "Quando si prendono delle decisioni - ha detto - dobbiamo sempre chiederci chi paga. Ad esempio, se alziamo le tasse sugli oggetti di lusso, chi paga? I ricchi che comprano gli oggetti o i lavoratori del settore a cui potrebbero venire ridotti i salari". "Il punto di partenza è importante - ha aggiunto Atkinson - e il libro partiva dal fatto che ci sono molte disuguaglianze e che per affrontarle occorre avere una visione multidisciplinare, questo tentava di fare il libro". Atkinson ha ricordato come l´economia oggi sia molto frammentata e settoriale, divisa in piccoli pezzetti. Invece, come ha sostenuto Stiglitz, dovrebbe essere considerata in modo globale e intero. "Bisogna capire qual è la reale struttura dell´economia - ha aggiunto il premio Nobel - ed è quello che cerca di fare il libro che ha avuto il merito di reggere alle ingiurie del tempo". "I mercati finanziari sono imperfetti - ha detto ancora Stiglitz - ma per comprenderli dobbiamo cercare di creae un linguaggio comune, una sorta di unica grammatica che possa analizzare il contesto". "Se vogliamo ridurre le disuguaglianze - hanno concordato al termine i due economisti - non possiamo farlo solo con le politiche fiscali. Bisogna capire come funziona il mercato e come tutto questo entra nelle politiche pubbliche, non basta il ministro delle finanze o quello delle politiche sociali".  
   
   
"IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE AIUTI ORA I PAESI PIÙ PICCOLI E DEBOLI"  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Su qualcuno pensasse che il Fondo Monetario Internazionale sia una "agenzia della disuguaglianza" anziché un´istituzione impegnata, com´è scritto nel suo statuto originario, a contrastare la povertà nel mondo, si metta il cuore in pace perchè, anche se la percezione è quella, il Fmi ha oggi un nuovo modello di riferimento, più improntato ad accompagnare i Paesi nella risoluzione dei loro problemi, suggerendo anziché imponendo le riforme da fare, e più orientato ad intervenire nei Paesi più piccoli e più poveri. A garantirlo è l´uomo che del Fondo è diventato lo storico ufficiale, James Boughton, Senior Fellow di Cigi - Centre for International Governance Innovation in Canada, protagonista al Festival dell´incontro alla Facoltà di Giurisprudenza moderato dal giornalista Rai Pietro del Soldà. "La riduzione della disuguaglianza mondiale - assicura Boughton - è un obiettivo del Fondo, ma c´è bisogno di fare di più e va risolto il problema della sua governance." Il Fmi nasce sul finire del secondo conflitto mondiale, nel 1944, come frutto della volontà politica di mettere fine al disordine generato dal conflitto, e come risposta a una sfida ancora attuale: garantire il funzionamento di un mercato globale in un mondo che continua ad essere diviso tra le prerogative degli Stati Nazione. Sembrava una sfida ardua allora, ma lo è, drammaticamente, ancora oggi. L´italia, per inciso, entrò a far parte della rappresentanza del Fondo nel 1947 grazie alla lotta partigiana contro i tedeschi. In questi 70 anni il Fmi ha operato per garantire la stabilità del sistema finanziario internazionale, un periodo lunghissimo durante il quale il mondo ha cambiato pelle più volte. Il Fondo è sempre rimasto fedele al suo statuto; la sua azione basata sui prestiti da erogare ai Paesi si fonda su due concetti: la condizionalità e l´adozione da parte degli Stati dei piani di riforma "suggeriti" dal Fondo stesso. Molti sono però convinti, spesso con rabbia, che il Fmi abbia in realtà funzionato come "agenzia della disuguaglianza." Boughton, prima di rispondere all´accusa, mette subito le mani avanti: "Non sono qui per difendere il Fmi ma per spiegare perchè il Fondo è stato creato e come potrebbe funzionare meglio." La premessa è che "non c´è nessun compromesso di lungo periodo tra la stabilità e la crescita che promuova l´occupazione e il benessere delle persone; la stabilità finanziaria va di pari passo con la crescita dell´economia. Per passare ad una situazione di migliore equilibrio - aggiunge - bisogna per forza pagare degli scotti." Il Fmi si è impegnato pubblicamente e più volte nel compito di ridurre la povertà e la disuguaglianza nel mondo, questo è, per lo meno, l´obiettivo dichiarato sempre enunciato dai suoi vertici. Il problema è però, svela Boughton, che le persone che ci lavorano non perseguono gli stessi obiettivi dichiarati dai vertici. C´è una resistenza, una cultura che è tipica della mia generazione che va cambiata, questa è una delle sfide del Fmi oggi". "Anche se non è formalmente un´agenzia - afferma Boughton - il Fmi ha comunque strumenti importanti che gli permettono di aiutare i Paesi a ridurre i loro squilibri. Il Fondo ha avuto anche qualche successo, non è solo una brutta storia, però potrebbe e deve fare di più e meglio. Serve una maggiore governance del sistema finanziario internazionale, i problemi che ancora ci sono hanno portato a un calo di fiducia nei confronti del Fondo. La sua struttura è troppo isolata. Si deve garantire che i Paesi a basso reddito possano avere voce in capitolo dentro il Fondo. Negli anni 90 c´era il G7 (i Paesi ricchi) e il G24 (emergenti), il Fondo doveva fare da giudice. Ora c´è il G20, che rappresenta l´85 per cento degli scambi mondiali e il 77% dei voti rappresentati dentro il Fondo. Che ruolo hanno i Paesi piccoli? Nulla, nessun potere, è un problema da affrontare."  
   
   
LA SECONDA ETÀ DELLE MACCHINE, ALLEATE NEL LAVORO  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Come insegnare alle macchine le cose che abbiamo appreso spontaneamente, come camminare, riconoscere un viso o parlare le lingue? Per l’economista David Autor: «Il paradosso di Polany si può aggirare rendendo l’ambiente più compatibile con le macchine, oppure insegnare al computer a imparare autonomamente». I progressi dell’intelligenza artificiale e della robotica a confronto con la paura della tecnologia. «Alcuni lavori sono già stati sostituiti dall’automazione, per altri può essere complementare, ma quelli che richiedono adattamento all’ambiente o ai rapporti interpersonali la sostituzione è al momento impossibile» Le macchine ci ruberanno il lavoro? Probabilmente no ma ci porteranno a cambiarlo radicalmente, basti pensare che, secondo un recente studio, circa il 47% dei mestieri saranno automatizzati nei prossimi anni. Si parla di una “seconda età delle macchine”, in cui i robot saranno in grado di svolgere compiti sempre più intellettuali. David Autor, professore e direttore associato del Dipartimento di Economia del Mit, ospite al Festival dell’Economia di Trento nell’incontro tenutosi a Palazzo Geremia, ha proposto un viaggio a ritroso alla scoperta del rapporto tra l’uomo e le macchine nel lavoro, partendo dalla paura delle persone nei confronti dell’avvento della tecnologia. «Una questione aperta da molto tempo - ha spiegato Autor – che ha a che fare con l’aumento delle disuguaglianze, della disoccupazione e con il crollo dei salari. Ma già all’epoca della rivoluzione industriale l’introduzione dei macchinari per sostituire il lavoro umano era fonte di preoccupazione. Nel 1964 il presidente degli Stati Uniti Johnson istituì un’apposita commissione per monitorare la questione e nel 1974 il Dipartimento degli Interni lo definiva “uno tra i problemi più preoccupanti per il futuro”. Molti ritengono che il fatto che la tecnologia non abbia creato particolare disoccupazione nel passato non significa che non la genererà in futuro. Questa convinzione sta alla base delle paure contemporanee. Da allora a oggi il mondo occidentale ha attraversato tre grandi rivoluzioni: quella agricola e poi quella industriale, in cui progressivamente l’automazione ha garantito più produttività ma ha allontanato le persone dal lavoro e ha contribuito all’aumento dell’istruzione rendendo possibile un notevole investimento in capitale umano. La terza rivoluzione è iniziata con l’introduzione e la diffusione del computer. Le attività che attualmente sono svolte dai computer sono tutte quelle ripetitive e procedurali. Quelle invece ancora non automatizzate riguardano le abilità astratte, di problem solving, la flessibilità mentale, la creatività. Per queste si prevede una forte complementarietà con i computer. Le attività manuali, che richiedono capacità di adattarsi all’ambiente e ai rapporti interpersonali non sono invece sostituibili dalle macchine». Perché la tecnologia non ha ancora spazzato via il lavoro? «Qui entra in gioco il paradosso di Michael Polany, filosofo ed economista ungherese, secondo cui ognuno di noi conosce tacitamente le cose che cerchiamo di apprendere. Questo avviene, ad esempio, per le attività ripetitive, che possiamo insegnare alle macchine perché siamo stati noi ad codificarle. L’intuito, la capacità di parlare le lingue e di adattarsi all’ambiente, sono invece competenze difficili da insegnare perché le abbiamo apprese spontaneamente. Possiamo insegnare l’algebra a una macchina, ma non a camminare. Perché lo abbiamo appreso spontaneamente. Questa è la grande sfida dell’automazione. Che ha due grandi implicazioni: non possiamo automatizzare ciò che non capiamo chiaramente, che è spontaneo (come, ad esempio, le competenze nella la cura delle persone o le funzioni manageriali). Ci sono invece delle azioni che possono essere integrate con migliori risultati in termini di performance con l’ausilio della macchina (ad esempio le valutazioni mediche sulla base di test diagnostici svolti dalle macchine)». Ma quando si ha complementarietà e quando sostituzione? «Dipende dal settore e dall’elasticità di domanda e offerta. Ma anche dalla rapidità con cui alcune mansioni possono essere automatizzate. Il costante avanzamento dell’intelligenza artificiale ci lascia pensare che potremmo presto insegnare alle macchine ad imparare. Per farlo, dobbiamo rendere la mente più semplice possibile. Ad esempio, le automobili di oggi sono affidabili e sicure, ma sono incompatibili con superfici diverse dalle strade. Se riuscissimo a rendere l’ambiente più compatibile con le macchine, allora molte altre funzioni sarebbero possibili e si potrebbe rompere così il paradosso di Polany. Le macchine non sono in grado di gestire situazioni complesse. La maggior parte dei compiti quindi sono automatizzati e il fattore umano interviene solo nell’ultima fase. Questo è uno schema di relazione macchina-uomo che funziona. Esiste però un altro modo per aggirare il paradosso, quello del ragionamento indotto: dare delle etichette alle cose e lasciare che il computer faccia l’associazione statistica. Questo avviene già, ad esempio, con i sistemi di riconoscimento vocale, quando parliamo e la macchina completa automaticamente la nostra frase». Ma quali saranno i posti di lavoro disponibili da qui a 50 anni? « Difficile dirlo. Le macchine hanno sostituito la gente. Ma nessuno pensa quanto hanno integrato il lavoro delle persone. Di sicuro nessuno avrebbe immaginato il futuro dei mancati agricoltori cento anni fa nell’informatica o nel management. La risposta a queste paure deve essere nell’istruzione. Questa è la leva e la sfida che garantirà un futuro al lavoro delle persone. Se, al contrario, le macchine prenderanno il posto delle persone nel lavoro, allora il problema sarà invece diverso e riguarderà la redistribuzione della ricchezza.  
   
   
LA SCUOLA NON È PIU’ L’ASCENSORE SOCIALE  
 
Trento, 10 giugno 2015 - Formalmente aperto, sostanzialmente chiuso: "Il sistema educativo italiano e la mobilità sociale" è stato il tema dell’incontro promosso dalla Fondazione Agnelli, che si è svolto per la sezione ‘Confronti’, in merito alla funzione dell’istruzione per la riduzione delle disuguaglianze sociali. Ne hanno parlato il ‘maestro di strada’ Marco Rossi Doria, ex sottosegretario all’istruzione del governo Monti, il sociologo Carlo Barone e Giuseppe Bertola, docente di Economia presso l’Edhec Business School di Nizza. Non sono solo le barriere economiche, ma anche quelle culturali che depotenziano l’istruzione nell’essere facilitatore di mobilità sociale. In Italia sono pari al 17% i giovani che al 25esimo anno di età non hanno né un diploma né competenze per svolgere un’attività lavorativa. Un dato migliore di sette anni fa, che si attestava al 24%, ma si tratta sempre di poveri del meridione, delle periferie urbane del centro nord, che provengono da famiglie monoreddito o sotto la soglia di povertà o vicine alle soglie di povertà. Questi giovani sono stati veicolati dalle medie a istituti professionali e tecnici. In genere più maschi che femmine. Da questi dati pubblicati dall’Ocse il 27 maggio scorso è partito Marco Rossi Doria per sottolineare le priorità in Italia per ovviare al fatto che “siamo l’ultimo paese dell’area Ocse per occupazione giovanile: appena il 52,8% dei giovani tra i 25 e i 29 anni hanno un’occupazione contro una media del 73,7% dell´area di riferimento E tra chi lavora, oltre il 50% ha un lavoro precario, è la terza percentuale più alta dell’Ocse”. “Oltre a esserlo i figli dei poveri - ha detto Rossi Doria - sono tutti i giovani ad essere penalizzati, c’è una sorta di attacco generazionale. I motivi sono molto complessi. I Neet sono il 26,09% a fronte di una media Ocse del 15%. Siamo il quarto dato più elevato tra i 34 Paesi Ocse, dopo Spagna, Grecia Turchia, con un incremento di 5 punti percentuali rispetto al 2008”. Rafforzare le competenze di base prima della scuola media, dare un sostegno pubblico alla scolarità nelle fasce deboli della società, aumentare le scuole professionali, prolungare la possibilità di tornare scuola fino a 30 anni, sono i suggerimenti espressi da Rossi Doria. In Italia, più che in altri Paesi chi è figlio di laureato si laurea, chi è figlio di diplomati si diploma, in buona sostanza si ricalcano le orme di chi ci ha preceduto. A dirlo è stato Giuseppe Bertola sottolieando che le diseguaglianze in Italia vengono tramandate di generazione in generazione. Uno degli snodi è la scuola media: qui si verificano i presupposti della differenziazione sociale nella nostra scuola. La scuola elementare mantiene il ruolo di facilitatore di mobilità sociale. Il nostro sistema di scuola di secondo grado conferma che la scelta tra liceo e formazione professionale è dettato dal background socio economico della famiglia. Se da un punto di vista filosofico, ha spiegato, è giusto dare di più a chi ha la sfortuna di partire male, ma nei fatti economicamente è più produttivo dare le cose a chi le sa fare e meno redditizio darle a chi parte da zero. Parlare di merito vorrà dire dare peso alle posizione di partenza, ma cosa può fare la scuola. Per mobilità efficiente un insegnante deve darsi da fare e aiutare chi è partito male oltre a insegnare. In un Paese culturalmente privilegiato, la scuola pubblica va meglio, in uno con poca cultura va meglio la scuola privata. Sul piano dell’alta formazione, Carlo Barone ha affermato che chi viene da famiglie meno istruite anche se con possibilità finanziarie, si iscrive meno all’università. Bisogna contrastare, le disuguaglianze, ha sollecitato, prima che si arrivi al diploma, ovvero lavorare per tempo sulle motivazioni di studio dei ragazzi che vanno bene a scuola, ma che vengono da famiglie non attrezzate culturalmente. L’italia ha meno laureati rispetto agli altri Paesi europei, e questi non vanno neanche meglio che altrove. Un apparente paradosso: la nostra economia ha smesso di chiedere alte professionalità perché non investe in ricerca, sviluppo e cultura e rischia di indebolire le lauree, e così l’ascensore sociale si blocca.  
   
   
FEDERLAZIO PRESENTA: “ORGOGLIO MANIFATTURIERO”  
 
Roma, 10 giugno 2015 - Si è svolto ieri, presso la Centrale Montemartini di via Ostiense, l’evento “Orgoglio Manifatturiero” organizzato da Federlazio. All’incontro sono intervenuti, oltre al Presidente della Federlazio Silvio Rossignoli e al Direttore Generale Luciano Mocci, l’Assessore Sviluppo economico e Attività produttive, Guido Fabiani, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, il Presidente del Met (Monitoraggio Economia e Territorio), Raffaele Brancati, il Deputy Regional Centro Italia Manager Unicredit Spa, Mario Fiumara. Nel corso degli ultimi decenni il paese ha un po’ attenuato la sua identità manifatturiera, di fronte a un trend, che sembrava inarrestabile, verso la terziarizzazione e la finanziarizzazione dell’economia, da un lato, e di fronte all’acquisizione da parte di capitali esteri di numerose imprese manifatturiere poi ridimensionate o addirittura smantellate. E’ però indubbio che qualunque seria, concreta e non ideologica ipotesi di rilancio del sistema economico nazionale e regionale non possa che muovere da una ricollocazione al centro dello scenario dell’industria manifatturiera. E’ proprio su tali basi che Federlazio ha voluto organizzare questo convegno dal titolo molto eloquente - “Orgoglio Manifatturiero” -, convinti che bisogna tornare a considerare il manifatturiero come il settore trainante dell’economia, quello a partire dal quale si può costruire una nuova strategia di rilancio e di superamento della crisi. Dal 2008 l’Italia ha perso circa 5 punti di valore aggiunto del settore industriale, passando dal 20% al 15,5% del totale. Nonostante questo, il nostro paese rimane la seconda potenza manifatturiera d’Europa. Il Lazio, dall’inizio della crisi ad oggi, ha registrato una caduta complessiva del sistema manifatturiero di circa il 26%. Dai dati presentati nel corso dell’incontro, è emerso che il Lazio presenta caratteristiche analoghe a quelle nazionali, ma con alcune differenze di rilievo: · una struttura industriale più polarizzata di quella nazionale (presenti più imprese eccellenti, per occupati non per numero); · In termini di occupazione, durante la crisi, si è accentuato molto il peso delle eccellenze. Queste, in termini di numero di aziende, sono al di sotto del 2%, mentre oltre il 75% degli operatori sono statici (nessuna strategia di crescita); · Le “imprese in movimento” (quelle che durante la crisi cercano di attuare strategie dinamiche) sono calate molto (dal 75,2% del 2008 al 39,7% del 2013) a fronte di un calo complessivo dei valori medi dell’industria; · Nella nostra regione sono presenti grandi difficoltà operative sia con riferimento ai vincoli finanziari e reali sia con riferimento alla disponibilità di servizi e di relazioni tra imprese; · Il Lazio, infine, è caratterizzato da un minore grado di innovatività dell’industria rispetto alle altre regioni italiane del centro-nord e l’integrazione tra Innovazione ed R&s è anche inferiore. “Se non si torna a puntare su uno sviluppo fondato sull’industria – ovviamente moderna, tecnologicamente avanzata e ad alto contenuto di innovazione – gli altri settori rischiano di avere il fiato troppo corto per poter trainare un grande paese come il nostro. In tal senso, i dati ci confortano nel certificare che esiste una significativa correlazione tra sviluppo in un paese e presenza dell’industria manifatturiera. Per dare corpo a tutto questo occorre però che le Istituzioni siano vicine al tessuto produttivo in termini di politiche concrete e, per quanto ci riguarda, ciò significa essenzialmente tre cose: stabilire un ordine di priorità nelle politiche industriali della Regione; lavorare sul sistema burocratico; assegnare al tema dell’innovazione tecnologica una centralità che esso ancora non ha del tutto conquistato. Riguardo i piani di internazionalizzazione, dobbiamo necessariamente spostare l’attenzione sui settori in cui l’Italia può ancora mantenere (e possibilmente ampliare) i suoi margini competitivi: il know how, la R&s e il capitale culturale e di conoscenze di cui dispone. Sotto questo profilo apprezziamo l’iniziativa della Regione Lazio che prevede il varo del Piano di ‘Reindustrializzazione’ del nostro territorio comprendente un pacchetto di interventi per 150 milioni di euro”. Questa la dichiarazione del Presidente della Federlazio, Silvio Rossignoli.  
   
   
PROMOZIONE ECONOMICA, IL COMUNE DI FIRENZE CERCA PROGETTI INNOVATIVI DA FINANZIARE IN ARRIVO IL BANDO DOPO L’OK DELLA GIUNTA ALLA DELIBERA  
 
 Firenze, 10 giugno 2015 - Artigianato artistico, moda, eccellenze locali e tecnologie applicate ai beni culturali. Sono i settori che il Comune intende promuovere e sostenere finanziando progetti innovativi attraverso un bando ad hoc. Lo ha stabilito la giunta di Palazzo Vecchio dando l’ok, nei giorni scorsi, alla delibera presentata dall’assessore allo Sviluppo economico e turismo Giovanni Bettarini, che definisce i contenuti per le proposte. “Sono settori che consideriamo strategici per Firenze e che vogliamo sostenere – ha detto Bettarini – Lo faremo in modo innovativo finanziando il 50% di progetti o eventi originali che puntino davvero sulla qualità. Abbiamo la storia e le competenze, si tratta ora di fare innovazione, sviluppo e di trasmettere queste competenze trovando sistemi di promozione capaci di rendere questi settori sempre più vitali nel tessuto economico locale. Le eccellenze sono la nostra occasione e la nostra risorsa. Su questo stiamo investendo molto”. Il budget previsto per questo primo intervento è di 33mila euro. Al contributo economico messo a disposizione dall’Amministrazione comunale si aggiunge il supporto per la promozione del progetto/evento attraverso i canali istituzionali e la concessione gratuita di locali comunali o aree pubbliche. La selezione avverrà attraverso uno o più bandi che saranno pubblicati a breve dalla Direzione Attività economiche e turismo.  
   
   
ATTIVITÀ PRODUTTIVE: OGGI A PORDENONE CONVEGNO SU RILANCIMPRESA  
 
Poredenone, 10 giugno 2015 – Oggi alle ore 18, nell´auditorium della Regione di via Roma 2 a Pordenone, si svolgerà il convegno "Credito e impresa nel Friuli Venezia Giulia" nel quale saranno illustrate le opportunità attivate dalla legge regionale "Rilancimpresa". A concludere i lavori sarà il vicepresidente della Regione, Sergio Bolzonello, dopo gli interventi di Renzo Liva, presidente I Commissione del Consiglio regionale, Diego Angelini, direttore del Servizio per l´accesso al credito delle imprese, e Lydia Alessio Verni, vicedirettore centrale dell´Area per il manifatturiero.  
   
   
FERRIERA: FVG A COMITATI, MAI COSÌ ALTA ATTENZIONE A AMBIENTE E SALUTE  
 
Trieste, 10 giugno 2015 - L´assessore regionale all´Ambiente Sara Vito ha incontrato ieri a Trieste il presidente del Circolo "Miani", Maurizio Fogar, e il portavoce dell´associazione "Servola Respira", Romano Pezzetta. Vito ha illustrato il "rinnovato impegno dell´Agenzia regionale per la Protezione dell´Ambiente (Arpa), che ha registrato un tangibile cambio di passo nella sua operatività generale e in particolare nell´attività di controllo dell´impianto siderurgico di Servola". "Credo - ha sottolineato l´assessore - che mai come in questo periodo sia alta e concreta l´attenzione alla sostenibilità ambientale e alla salute da parte della Regione, così come deve essere chiara la nostra ferma volontà di mantenere aperto il dialogo con tutti i portatori di interesse, in particolare con i cittadini e le associazioni che li rappresentano". Specificamente nel corso dell´incontro Vito ha ricordato che in Arpa è stato creato un gruppo di esperti formato dalle migliori competenze tecniche e scientifiche presenti nell´Agenzia per monitorare la situazione della Ferriera e che è stato istituito l´Osservatorio ambiente e salute, finalizzato ad approfondire gli aspetti legati agli impatti e alle ricadute ambientali ed epidemiologiche. Arpa, inoltre, è molto più presente nell´area della Ferriera e delle zone residenziali limitrofe, con numerosi interventi e con un dialogo continuo con la dirigenza dello stabilimento. Relativamente alla concessione dell´Autorizzazione integrata ambientale, l´Agenzia ha dato "ampia assicurazione di svolgere una valutazione accurata della documentazione". L´aia, è stato indicato, "è un passaggio importante e cruciale per dare attuazione all´accordo di programma siglato il 21 novembre 2014 e per dar avvio al processo di messa in sicurezza ambientale e di riconversione dell´area". L´assessore, evidenziando che anche l´incontro odierno era finalizzato a raccogliere e valutare eventuali osservazioni che potrebbero essere presentate, ha spiegato che alla conferenza dei servizi chiamata ad esprimere il parere per il riesame con valenza di rinnovo dell´Autorizzazione integrata ambientale per lo stabilimento siderurgico di Servola, che si terrà nelle giornate del 10, 11 e 12 giugno, saranno ammessi a partecipare solo figure istituzionali. Ciò, ha precisato, "seguendo un orientamento comune a tutte le Aia che la Regione rilascia".